sabato 14 luglio 2012

Sesto e volentieri (non commettere fatti impuri)






Non commettere fatti impuri !
(Sesto e volentieri)





Credo che il sesto comandamento abbia turbato più di ogni altro la la mia generazione e quelle precedenti, condizionandole non poco.
Ripensandoci può sembrare incredibile, ma neppure cinquantanni fà il "proibizionismo" sessuale, rigidamente informato dai dogmi di molte Confessioni religiose bacchettone, a partire da quella Cattolica, tendeva fortemente ad inibire ogni pulsione sessuale che non fosse strettamente finalizzata alla procreazione, fustigandola ad oltranza, con il risultato di esasperarla o perfino deviarla, con energia ed attenzione certamente superiori a quelle dedicate al quinto comandamento, “non uccidere” !
Ciò forse anche perchè l'istinto sessuale è fortunatamente assai più forte e diffuso che non quello omicida.

I tabù sessuali esasperavano ogni possibile eventualità, così era ad esempio proibito "toccarsi", e l'onanismo (da Onan, segaiolo biblico che “sprecava il suo seme nella terra” anziché destinarlo alla procreazione) era classificato grave peccato mortale !
Viene fatto di domandarsi a quali ispirazioni, a quali fantasie ricorresse Onan a quel tempo, in assenza riviste patinate, cinema, TV e sopratutto Internet. Forse ad esplicite scene erotiche rappresentate su graffiti rupestri cavernicole ?

Alcune indicazioni, tipicamente Gesuitiche, prescrivevano che quando un maschio faceva pipì poteva scrollarsi il pisello al massimo 3 volte, per sgocciolarlo, la quarta scrollata equivalendo a masturbazione...
Soltanto in età sinusale si poteva andare oltre, dato che neppure la centesima scrollata sarebbe valsa a determinare un orgasmo (e perlopiù nemmeno ad arrestare lo sgocciolamento...)
C'è una bella scena nel film Amarcord di Fellini, quando il protagonista Titta và a confessarsi, ed il prete confessore redarguisce lui ed altri soprattutto per questo grave peccato, che fà piangere San Luigi (*v. filmato alla fine di questo post).
Era proibito denudarsi, anche solo parzialmente, sopratutto alle femmine.
Erano proibiti i rapporti prematrimoniali, anche solo a livello di "petting"(o pomiciata), era proibita la contraccezione, tranne poi la tardiva concessione per
l’assai improbabile metodo Ogino Knauss.
Era proibito il "concubinaggio", cioè il vivere insieme di copie eterosessuali non regolarmente coniugate (il fascista Codice Rocco, strettamente informato ai Patti Lateranensi, rimase in vigore per circa 30 anni nella nuova Repubblica, sino all'approvazione del referendum sul Divorzio !).
E fino a gran parte degli anni sessanta le ballerine in TV dovevano indossare i mutandoni per non esibire le coscie nude, ed al cinema e sui giornali non potevano esibirsi scene o foto di nudo, ancorchè parziali.
Non parliamo del porno !
Riviste osè come Playboy e Playman arrivavano clandestinamente in Italia (talune edicole, come quella in piazzetta Pedrocchi a Padova le spacciavano sottobanco).

Molti film erano censurati, tagliati delle scene più scabrose, altri non arrivavano proprio. Ricordo di aver visto a Parigi la prima del film "Emanuelle" in versione integrale nel gennaio del 1975: in Italia arrivò dieci anni dopo, censurata.
Ma prima ancora aveva provocato grandi discussioni, dibattiti, perfino interrogazioni parlamentari la scena del burro in “Ultimo tango a Parigi”, discutibile film di Bertolucci in cui un decadente Marlon Brando sodomizza la sua occasionale partner consenziente, attrice divenuta famosa solo per quello, per il ...“burro”.







Ultimo Tango: la scena del burro

Ovviamente nel film non si vedeva nulla, ma si capiva a quale particolare uso lubrificante fosse destinato quel condimento.
Negli anni '90 era disponibile in videocassetta e vedendolo per la prima volta io lo verificai assai meno osè di tantissimi spettacoli che passavano in Tv, nei programmi diurni alla portata dei bambini...

Oggi siamo arrivati agli estremi opposti, non si riesce a scaricare un video da Internet senza correre il rischio di incocciare almeno dieci film porno, tutti uguali, uno peggio dell'altro, la meccanica pura del sesso, la cui trama segue il rigido divenire di schemi sempre uguali: fellatio iniziale, penetrazioni vaginali intervallate a penetrazioni anali viste con diverse angolazioni, spesso c’è anche con doppia penetrazione (due maschi ed una femmina) e/o perfino la tripla (tre maschi ed una femmina in concomitante fellatio e doppia penetrazione), e per finire sempre, rigorosamente, fellatio in cui la femmina gargarizza lo sperma dell’eiaculato. Tale è perlomeno il tipico divenire della "sceneggiatura".

Ma la cosa più avvincente sono i "dialoghi": "ah, ha, ahi, oh, oh, ohi...fuck me please, fuck me dear...", per cui anche viene spesa fantasia ad oltranza.
Li trovi, senza cercarli, senza volerli, nascosti perfino nei titoli dei cartoni animati disneyani. Praticamente tutti riconducibili alla stregua di "Manuali Tecnici", assolutamente ripetitivi, fantasia zero !
Se cerchi Bianca Neve puoi trovare"anche"il famoso cartoon di Walt Disney,

ma faticosamente, perchè frammischato tra decine e decine di analoghi titoli di film pornografici, per cui la protagonista ha rapporti sessuali multipli ed esasperati con nani superdotati, tutti insieme impegnati ad ingombrare a turni ogni orifizio della "fanciulla".







calia
Nei siti da me frequentati, i più noti per “scaricare” video, musica ed altri files, tutto ciò è gratis, per cui continuo a domandarmi a che prò, in funzione di quale perversione siano messi on line, a libera disposizione di tutti, con palese ed invasiva forzatura.






10,ma sopratutto il sesto...!

Col passare del tempo tutto cambia e lo fà spesso in maniera drastica ed imprevedibile seppure, ma non sempre, diluita in tempi più o meno lunghi.
Oggi si vanta l’ “orgoglio” dell’omosessualità, ciò che pochi decenni addietro era vergogna o perfino crimine, in ogni caso veniva considerata “malattia”.
In effetti la medicina continua a considerarla come “deviazione sessuale”, ma il pensiero politicamente corretto si scandalizza per una tale discriminante definizione proteggendo i “diversi”, sino a considerarli una sorta di casta superiore, di intoccabili eletti (ma ciò accadeva anche in altre antiche culture, Indiani d’America inclusi).







Brenda il travestito (v.Marazzo)

Al di là di ricorrenti banali esagerazioni, la libertà dei costumi sessuali, così come altre tipiche delle democrazie evolute, forse giova agli stili di vita, favorendoli e semplificandoli.
Indubbiamente poi c’è il rovescio della medaglia che fa da contraltare ai liberi costumi: la generale riduzione della libido, forse perché non più sostenuta dal gusto per il frutto proibito, il dilagare di tradimenti ed infedeltà, la minor durata di tanti matrimoni nonostante i figli (sempre più pochi) nel frattempo concepiti, il calo demografico della popolazione (cui concorrono la grande libertà di contraccezione e l’aborto legalizzato), ma anche altri fenomeni nefasti o perfino infami, come la violenza sulle donne, che il maschio marito, padre e padrone non riesce ad accettare in quanto libere ed indipendenti.
La pedofilia, il peggiore io credo di tutti, il cui dilagare è favorito dalla pressochè totale depenalizzazione dei tabù sessuali, al punto che in alcuni paesi, tipo il Belgio, si sono costituite associazioni di Pedofoli che pretendono di essere riconosciute e legalizzate, perfino premiate, come lo sono di fatto gli omosessuali nei paesi del politicamente corretto !

Arriveremo anche all’”Orgoglio Pedofilo”in funzione di una visione politicamente sempre più “corretta” del comune sentire democratico ?


Sesso e fame.







Dal film "la grande abbuffata"

Considerato in assoluto, il sesso è una delle due grandi istanze della vita, come ebbero assai bene a definire i due primari scienziati, antesignani del pensiero moderno, Charles Darwin e Sigmund Freud: la fame ed appunto la libido.
Da questi due basilari e fondamentali istinti dipende infatti la sopravvivenza dell’individuo e della specie di tutti gli esseri viventi.
I piaceri che si provano nel soddisfare entrambi, fame e libido, sono infatti il premio che la natura riconosce al servizio della propria continuità.
Senza nutrirsi e senza procreare la vita non potrebbe infatti durare !

Ma può succedere che le due primarie istanze del nostro divenire biologico entrino in conflitto tra di loro. Ciò accade ad esempio quando si verifica una qualche forma di stress, trauma psicologico o repressione, che finisce con il determinare un trasfert, deviando in tutto od in parte un istinto verso l'altro.
Significativo è a proposito il detto: "a tavola con i santi, a letto con i peccatori"..., nel senso che spesso accade che i "santi", cioè coloro che per definizione sono dediti alla castità, indulgano invece alla buona tavola, sfogando nei piaceri del cibo la loro libido deviata, come se fosse per altrimenti compensarla...







Frati crapuloni
Verso l'alto.







...sale, fino al cervello
Fatto scientificamente conclamato è che con l’avanzare degli anni il sesso sale…
Non come fatto erettile, purtroppo, ma sale dal corpo alla mente...
Partendo dall’inguine, cioè dai genitali, sale su, fino allo stomaco, al cuore, per poi arroccarsi fortemente nel cervello, dove acquista sempre più spazio !
Il postpubere adolescente può infatti avere un orgasmo anche soltanto in presenza di una minima stimolazione fisica (v. sopra la "quarta scrollata"...). Più tardi, in età adulta, spesso risultano necessarie altre componenti: sentimentali, o perlomeno romantiche, comunque prettamente psicologiche. Elementi che con il progredire degli anni diventano sempre più importanti, sicchè infine, senza quelle si rischia quasi di andare in bianco…

Le fantasie erotiche ed i preliminari, talora assorti perfino a riti propiziatori, finiscono con l’essere determinanti per la buona riuscita di un rapporto completo e di reciproca soddisfazione. In breve: calano gli ormoni e cresce la fantasia, finchè alla fine rimane forse solo quella, tuttavia sufficiente ad alimentare un desiderio perfino sostenuto e persistente !

Viagra, Cialis ed altro, di cui per altro abusano anche troppi giovani, timorosi di non essere all’altezza, sicuramente aiutano molti anziani a prolungare la pratica sessuale, riconducendo in zona pubica stimoli che altrimenti potrebbero solo languire nell'ambito teorico della mente. Chi può ricorre anche al "Bunga, bunga...", arruolando sbarbine diciottennti (o quasi), talora riuscendo a sputtanarsi in maniera quasi incredibile !

Dimensioni.


Per i maschi, più che mai, c'è poi il problema delle “dimensioni”…
La stragrande maggioranza, dicono le statistiche, è preoccupata di non avercelo abbastanza grande, ciò che, soprattutto oggi, è conseguenza dell’ostentata esibizione di superdotati in tanti film porno. In effetti gli attori porno sono selezionati in funzione soprattutto delle loro dimensioni. Ma come se ciò non bastasse le loro misure vengono quasi sempre dilatate da specifici prodotti, eccitanti e vasodilatatori perfino ad effetto irritante, che provocano talora anche gonfiore patologico !






Quello della balena arriva a 8 mt.

Un'antica tecnica cinese prevedeva addirittura il morso di una vespa sul pene per ottenerne l’estrema, telescopica erezione !
Ci sono inoltre i trucchi delle riprese video, che utilizzando ad arte gli obbiettivi ottici riescono a moltiplicare ulteriormente l’effetto maxi di membri già enormi !
Circa poi le misure “normali” o “medie” dei falli esistono statistiche spesso discordi, le più evolute delle quali tengono conto dei tipi raziali: i più dotati gli africani, i meno dotati gli asiatici. Tutte comunque fanno riferimento alle differenze tra la condizione “a riposo” e quella “in erezione, là dove si verificano talora escursioni di incredibile entità, per cui può accadere in certi individui che il pene arrivi a triplicare come minimo le sue dimensioni !
Gli esperti sessuologi patentati giurano tuttavia che per soddisfare sessualmente al meglio la propria partner siano sufficienti dimensioni persino men che “normali” e che più della grandezza funzioni la tecnica delle capacità amatoriali…
Sarebbe significativo sapere che cosa direbbero le signore interessate, qualora dovessero rispondere sinceramente ed anonimamente al quesito, circa le loro preferenze dimensionali…

No sex !
La repressione sessuale è sempre deleteria, spesso causa di deviazioni e/o perversioni, per cui la frustrazione del forte, fondamentale istinto primordiale, finisce con il canalizzare altrimenti le proprie istanze, dando luogo a deviazioni, manifestazioni patolagiche, coazioni deleterie, comportamenti come minimo scorretti che tanta parte occupano nell’eziologia della psicoanalisi (fissazioni, monomanie, impotenza, feticismo, aggressività eccessiva, frigidità così come il suo eccedere al contrario…).
Così come esemplificato più sopra a proposito del conflitto tra fame e libido.
Ma voglio citare un altro esempio di deviazione indotta dalla repressione.

Per cui ricordo ancora perfettamente il comportamento di giovani maestri della mia scuola elementare, che erano preti, ma spesso anche baldi giovani attorno ai ventanni, imprigionati nell’abito talare dell’assoluta, forzata castità…
Rammento in diversi casi le loro esternazioni, palesemente parapedofile, nei confronti dei loro allievi più teneri e carini: baci e carezze dati con particolare trasporto, il viso arrossato, i tratti che denunciavano evidente comozione…Comportamenti fondamentalmente innocenti, tuttavia significativi di qualcosaltro tendenzialmente assai più preoccupante che non il mero apprezzamento dei loro pupilli…, significativo di ben altre istanze, quelle prepotentemente determinate dalle loro giovani, rigogliose ghiandole ormonali, che nessuna fustigazione dei costumi od improbabile sublimazione catartica avrebbe mai potuto adeguatamente ovviare, in assenza di quegli sfoghi naturali che sono l’intima essenza del divenire vitale.






La moglie del prete...

Io allora, se pur giovanissimo, percepivo comunque l’eccessiva rilevanza di quei
comportamenti, in ogni caso li memorizzavo per poi elaborarli ed inquadrarli diversi anni dopo in una sicuramente più adeguata valutazione, che non fosse solo quella dell’innocente, tenero affetto del maestro per i suoi allievi.
Ciò seppure non fossi io mai oggetto di simili attenzioni, essendo già allora un piccolo energumeno, fisicamente strutturato ben oltre la media, quindi assai poco adatto a suscitare slanci di tenerezza.

Concluderei l’argomento considerando un tema, sempre attualissimo nonostante la pretesa evoluzione dei costumi e delle abitudini sessuali:

la fedeltà.



Ma che cos’è la “fedeltà” ?
L’impegno reciproco che formalmente si ratifica, sopratutto in occasione dell’unione matrimoniale, e/o comunque sempre si giura solennemente di perseguire nel rapporto di copia, sia etero che omosessuale ?
Sicuramente è un retaggio ancestrale basato sulla monogamia della copia umana (ma anche di altre specie animali), che nasce innanzitutto dall’esigenza del maschio di perpetrare nella specie, nei discendenti, le sue proprie caratteristiche ereditarie.
La madre, per quanto infedele possa essere, resta sempre certa della propria discendenza, essendone lei stessa pregna e partoriente: mater certa !
Mentre il Pater restava per definizione incertus.
Ma ora anche lui ha le sue certezze, i suoi bravi riscontri, volendolo, grazie alla banale verifica del DNA: con la modica spesa di alcune centinaia di euro chiunque oggi può verificare se può grattarsi le corna a ragion veduta, oppure no.
In compenso l’Infedeltà non è più considerata “colpa” nelle cause di separazione, almeno in Italia, con il nuovo Diritto di Famiglia.
Si può in definitiva disconoscere la paternità dei figli, ma è vietato lapidare la moglie fedigrafa, tranne che il marito sia di religione mussulmana e trovi poi un magistrato democraticamente sensibile alle diverse istanze socio culturali.

Ma la fedeltà, almeno nell’ambito dei comportamenti sessuali, ha perso gran parte della sua rilevanza grazie alla contraccezione, soprattutto quella femminile.






Condom
La “pillola” ha assolutamente emancipato le donne, rendendole assai più libere nei loro comportamenti, mettendole praticamente in posizione del tutto paritaria con i maschi, almeno in quanto ad abitudini sessuali.

Gli inerenti aspetti “morali” restano poi in balia dei costumi, dei modelli di comportamento sempre più ispirati da media pressochè imperativi, che ogni giorno divulgano, raccontano, enfatizzano, sbandierano in tutti i modi possibili decine e decine di storie esemplari, derivate dal “gossip” globale, là dove gli amori, le avventure, i tradimenti, le “corna”…sono elemento portante di fondamentale intedresse !
Una per tutte: la bravissima Maria de Filippi, regina degli show di sbrodolamento patetico-sentimentale, essenzialmente basato sull’esibizione del nuovo sport nazionale: grattarsi le corna in TV !
O fare “outing”, come la moda suole definire il seguitissimo passatempo.

Anche le corna bisogna saperle portare !
Con eleganza e nonchalançe, con signorile e disincantato distacco, come se appartenessero ad altri. Guai ad accusarle o a volerle negare !

Mai pretendere di “metterci la mano sul fuoco” ! Mai esibire gelosia e preoccupazione…, mai lasciarsi prendere da tic irrefrenabili, mai grattarsi vistosamente le ramificate appendici che ornano la fronte di chiunque, si salvi forse nessuno. Nel dubbio è preferibile dare per scontato di averle, ma assolutamente senza drammatizzare, con






Non drammatizziamo, è solo questione di corna (film di F.Truffa

rassegnazione, esibendo il sorriso dell’indiferenza,
così, come fatto di normale routine, come se fosse assai strano che altrimenti non fosse.

La cosa peggiore essendo sempre il ridicolo che caratterizza il comportamento di chi sapendosi o credendosi cornuto smania di gelosia, di rancore, di voglia di rivalsa e di vendetta.
O peggio ancora sia angustia nel dubbio, maldestramente incespicando alla ricerca di conferme di comprovata consapevolezza.

Ciò che io credo abbia a valere per ognuno, femmina o maschio che sia, onesto o disonesto, fedele od infedele a sua volta.
Del resto c’è poco da dire, basta considerare che trattasi banalmente solo o quasi meramente di “sesso”.

I sentimenti, l’amore…? Ormai perlopiù concetti vuoti, sepolti nella routine sotto la patina del tempo.
L’orgoglio ferito ! Quello si, sicuramente e soprattutto, sempre !
Il vecchio romanticismo di poche generazioni addietro prevedeva quasi come regola il “morire d’amore”.
Oggi resta assai più attuale e ricorrente l’uccidere per
amore !

Che amore non è poi mai, bensì orgoglio ferito.
Il tradimento fedigrafo viene infatti ancora considerato da molti come l’estrema offesa recata all’amor proprio.
Ciò che resta vero più che altro nella perdurante cultura maschilista, a spese di molte donne così spesso tragicamente uccise a causa d’infedeltà, pretesa o reale che sia.

Considerazione accessoria finale: cinismo esibito e millantata indifferenza sono spesso null’altro che difese, barriere sollevate a proteggere la nostra sensibilità, così frequentemente offesa, comunque messa a dura prova dai casi della vita…

Amen e così sia.

The lonely dolphin.


Da Amarcord un breve, assai divertente estratto.







giovedì 5 luglio 2012

venerdì 29 giugno 2012


PERLE & PORCI


Foto di classe da Amarcord di Fellini

Perle e porci

Ora non saprei esattamente chi erano le "perle" e chi i "porci"...,
ma allora pensavo che, modestamente, le perle fossimo noi, gli alunni della scuola istituzionale, tali perlomeno nel nostro potenziale di apprendimento e di sviluppo culturale, se ed in quanto adeguatamente edotti ed indirizzati.
I porci erano in gran parte coloro che avrebbero dovuto coltivare al meglio quelle perle, sfruttandone l'elevato potenziale assai più di quanto in realtà non accadesse. Con le dovute eccezioni, sia di perle che di porci.
Con la prof di matematica in Amarcord
Quando ormai più che trentenne vidi per la prima volta il film di Fellini, il mitico "Amarcord", subito mi identificai nel ritratto da lui fatto del vecchio ginnasio Riminese d'epoca fascista, con professori cialtroni e totalmente inadeguati alla loro missione e studenti tra la canaglia e l'imbranato, resi sicuramente tali dalla dissociazione per un sistema assolutamente incapace di coinvolgerli. (v. breve episodico filmato in calce a questo post)

I ginnasiali, "perle" nel film di Fellini.
A ridimensionare almeno in parte questa valutazione debbo aggiungere che probabilmente io fui quasi sempre elemento atipico, avente caratteristiche
particolari, difficile da inquadrare nel sistema in vigore.
Avevo infatti ricevuto dai miei genitori un'educazione molto liberale, più improntata alla logica che non al formalismo gerarchico dell'accdemia, nella quale non mancava la disciplina ed il senso del dovere, ma abbondavano anche il diritto di replica, la possibilità della discussione e della verifica critica delle regole e delle norme di base.
Ero inoltre dotato di fertilissima fantasia, pressochè sfrenata, che mi portava facilmente ad "assentarmi" dalle lezioni in corso..., sopratutto se scarsamente avvincenti, com'erano di fatto la maggior parte di quelle impartite da  insegnanti assai più pedanti, noiosi e ripetitivi che non avvincenti e motivanti.
Come se ciò non bastasse fui sovente e per lunghi periodi travagliato, distratto
e fisicamente assente da scuola per gravi motivi di salute o per continui trasferimenti della mia famiglia in città ed in ambienti diversi, in cui ogni volta occorreva riambientarsi, ritrovare coesione, amicizie, punti di riferimento.

Comunque fosse io infine giunsi alla conclusione, con la maggiore età, che il tempo trascorso sui banchi di scuola era stato per me in gran parte tempo perso: giusto le perle buttate ai porci !
Quello che sapevo, ciò che avevo veramente imparato ed appreso e che sentivo maggiormente valorizzarmi, era in realtà soprattutto conseguente il mio essere fondamentalmente autodidatta.
In effetti le circostanze di vita sudette ed altre ancora mi avevano indotto ad una precoce maturazione: avevo sempre letto moltissimo, di tutto e di più e la mia forte, innata curiosità era stata in gran parte soddisfatta, ma sopratutto in ambiti extrascolastici ed in funzione di amicizie e frequentazioni di giovani
normalmente di età maggiore della mia, nonchè di adulti.
Ciò che mi era  facilitato dal fatto di dimostrare spontaneamente più anni di quelli avessi ( a 15 anni ne dimostravo tranquillamente 18 e a 18 assai più di 20).

Alle scuole elementari avevo avuto un curriculum abbastanza normale, con l'unico problema che frequentando un Istituto religioso con docenti preti, mi trovai a subire un fortissimo condizionamento confessionale: un'ora di catechismo tutte le mattine (se fosse stato dedicato alle "lingue" ne avrei imparate almeno tre, fluentemente), frequenti messe, per cui ero chiamato spesso a fare da chirichetto, confessione, comunione e cresima giocando in casa, all’interno dell’Istituto...
l'Istituto Champagnat di Genova Albaro

A 8 anni ero fermamente deciso che da grande mi sarei fatto prete.
A 9 anni soffrii terribilmente la consapevolezza di essere caduto in un inconfessabile "peccato mortale" (vedi "la mia prima volta" su questo stesso blog).
A 13, 14 anni mi fù chiaro che ormai la mia anima era destinata all'inferno:
A 15 finalmente avevo realizzato che in realtà non esisteva quel dio crudele che tanto
mi angustiava e faceva soffrire, condizionandomi con i suoi dogmi: era la mia conquista di ateismo illuminista volterriano.

Passato brevemente alla scuola pubblica, in seconda media (Istituto Pascoli di Genova) ebbi giusto il tempo di attirare su di me le filippiche di una tremenda virago, professoressa di lettere, che mi insultò pesantemente davanti a tutta la classe per il mio essere costantemente distratto, definendomi alla stregua di"un lavativo, mangia pane a tradimento, che andassi a lavorare, che sicuramente non ero fatto per studiare !"
Era solo l’inizio dell’anno scolastico, non volli più tornare in quella scuola.
Nè potei tornare in alcun'altra, per più di un anno, dovendo di li a poco affrontare la peggiore e più significativa (ma fortunatamente infine risolutiva) delle mie esperienze di ammalato grave.

In terza media arrivai a 14 anni, avendo quindi perso un anno per malattia.
Dimostravo 16-17 anni, essendo un giuggiolone di un metro e ottanta per ottanta chili (giusto allora iniziai a far pugilato nei mediomassimi, di nascosto dalla mia famiglia).
Davanti all'ingresso della scuola media c'era anche il liceo, dove si presupponeva io andassi e mi vergognavo come un ladro a varcare invece il portone delle medie, in mezzo a ragazzini più piccoli di me mediamente almeno una spanna.
In classe era perlopiù la noia totale. Per fortuna fuori trovavo l'evasione dello sport, prima il pugilato, poi il basket ed infine il nuoto ed il rugby, dove mi accompagnavo a ragazzi della mia età apparente, cioè tra i 17 ed i 20 e passa anni.
I quali poi esclusivamente frequentavo nel tempo libero.
Tanto tempo, che facevo in modo di trovare in abbondanza assentandomi in ogni possibile circostanza da scuola. Già all’inizio dell'anno l’edificio scolastico fù dichiarata inagibile per via dei muri pericolanti (evviva!)…e quando poi trovarono ambiti alternativi in cui proseguire le lezioni io riuscii a beccarmi una pesante intossicazione avendo assorbito nel sangue, col sudore, i coloranti della tuta da ginnastica..., ciò che mi costrinese ad assentarmi pressochè sino al termine dell'anno scolastico. Non essendo quindi in grado di partecipare agli esami di terza media venni automaticamente rimandato a Settembre in tutte le materie.
Onestamente non feci poi gran che per riparare: passai l’estate a nuotare in quel di Santa Marinella, ad allenarmi per le gare di nuoto a Civitavecchia (una volta mi capitò di gareggiare anche, io ultimo dei pivelli, contro Giancarlo Pedersoli, al secolo Bud Spencer, allora fenomeno del nuoto Italiano) e spesso la sera lavoravo nella bella, moderna ed accattivante Sala Attrazioni che mio padre aveva aperto con successo accanto al cinema principale di Santa Marinella, sull’Aurelia.
Giancarlo Pederzoli poi Bud Spencer

Ero addetto al tirasegno, ma qualche volta anche alla cassa (mio padre in quella lunga estate dovette forzatamente assentarsi per circa un mese ed anche il mio aiuto ebbe la sua importanza).
Studiavo svogliatamente a casa, nei pomeriggi assolati, sotto l’occhio indulgente di mia nonna Gisella, spesso distratto da mille visioni, come quella di Scilla, procace ragazzina quindicenne che spopolava al Lido di Santa Marinella, ma soprattutto popolava le fantasie concupiscenti mie ed altrui… L’amavo alla follia !
Anch’io come molti altri…, ma non avevo neppure il coraggio di parlarle, imbranato com’ero.
Non bastassero le mille altre fantasie, a distrarre la mia mente, fervida di sogni ed avida di avventure, ci mancavano le visioni di lei a distrarmi, sculettante in bichini tra le onde, mentre correva nella spuma del mare, sulla riva del Lido !
Scilla, così come la vidi la prima volta

Ciònondimeno misi a punto la mia bella strategia per gli esami di riparazione: sapevo che le prof mi aspettavano al varco, soprattutto quella di lettere e di matematica e mi avrebbero chiesto di certo le cose più difficili.
Nel programma di esame d’Italiano c’erano una decina di poesie da mandare a memoria, ma l’osso di gran lungo più duro era Manzoni, il 5 Maggio, lunghissima ode a Napoleone, difficile da ricordare e da recitare.
In matematica l’osso era la formula algebrica del quadrato di un binomio…, non avevo mai capito a che cavolo servisse !
Pazienza, preparai al meglio quelle e poche altre cose.
In sede di esame l’arpia di lettere mi sparò subito a zero: “Il 5 Maggio” !
Ed io la sbalordii, partendo senza battere ciglio, sicuro ed inesorabile, non solo, ma con dizione quasi perfetta, enfasi giusta, da consumato attore, rispettando tempi e pause: “Ei fù, si come immobile, dato il mortal sospiro, stette…la spoglia immemore, orba di tanto…”, fino alla fine, senza perdere una virgola !
Ma per l’Arpia fù facile “vedere” se quello fosse il mio unico asso…
Bene, ora recitami “L'infinito”. Con Leopardi ero più scarso, ma se pure con qualche incertezza arrivai in fondo “Sempre caro mi fù quell’ermo colle, ove lo sgardo…”. Ma la vigliacca porca mi chiese ancora altre poesie a memoria, non ricordo quali, che io proprio non avevo mai studiate.
E così fù, più o meno, anche nelle altre materie.
Esito agli scrutini: “bocciato”.
Il prof di greco in Amarcord
Del resto tutto congiurava in quella direzione, compreso mio padre, che chiamato a colloquio dalla professoressa di lettere già durante l’anno scolastico, alle di lei rimostranze circa il mio palese assenteismo, tale anche quando non “bruciavo”ed ero formalmente presente in classe, ma quasi totalmente assente con la mente, lui, mio padre, riuscì a dirle, con disarmante senso di complicità nei miei confronti:”si signora, me lo immagino bene, anch’io a scuola ero proprio così, come mio figlio”…
Episodio che mi fù raccontato dal prof. Tinari, mio ripetitore, ottima persona, molto intelligente, che dichiaratamente mi considerava assai più maturo dei miei anni e dei miei scadenti esiti scolastici, il quale ebbe a riferirmi l’episodio, essendone venuto a conoscenza tramite una prof sua collega, già suplente di francese nella mia classe.
Una confidenza del genere tra professore ed allievo, sopratutto a quei tempi costituiva fatto assolutamente atipico ed io la considerai con senso di orgoglio rispettoso.
Non ne parlai mai a mio padre, sarebbe stato imbarazzante per entrambi…


Io comunque a quella scuola non ci torno più ! 
Ebbi di nuovo a ribadire.
La mia presa di posizione era ovvia ed ineluttabile e molto probabilmente condivisa dai miei genitori. Così mi accinsi a fare il biennio di recupero, per presentarmi poi all’esame di ammissione al secondo anno superiore.
Fui indirizzato verso il maestro Setaccioli, preside delle elementari, figura storica dell’educazione scolastica nell’ambito Civitavecchiese.
Profondo conoscitore di molte materie, dotato di grande carisma e strabordante personalità, nonché forte verve umoristica, che con l’aiuto di sua moglie, professoressa di matematica, si dedicava con impegno al recupero delle "perle", cioè dei più“somari”infortunati della scuola.
Con lui riuscii ad applicarmi, a concentrami sugli studi, anche perché era in grado di catturarmi quando tendevo ad evadere: riusciva a trovare argomenti ed esortazioni adatte ad intressarmi e coinvolgermi. Assai meno la moglie, la cui materia, matematica restava per me aridamente ostica.

Ma pochi mesi dopo, dalle parti di Natale 1956,con la famiglia lasciammo Civitavecchia per tornare in Liguria, a La Spezia, dove mio padre aveva altre, sempre nuove…prospettive di lavoro.
Ed a La Spezia continuai gli studi all’IPAS, scuola specializzata nel recupero degli anni scolastici. Li trovai anche un prof. Napoletano, tale Jaccarino, dall’aria squisitamente arguta e disincantata, che stranamente riuscì a farmi finalmente imparare anche la matematica !
Ma soprattutto avevo infine maturato una capacità di concentrazione ed una determinazione per lo studio come non avrei mai creduto possibile.
Giunsi così all’esame di privatista preparatissimo e fui promosso a Giugno con la media del sette e mezzo !
E fù un vero peccato che io non continuassi a studiare così, come privatista, un biennio via l’altro, come per altro avevo proposto ai miei genitori di sponsorizzarmi a fare. Sono convinto che in quel modo a 22 anni mi sarei brillantemente laureato !
Io amavo lo studio, il sapere, la conoscenza, l’apprendere continuamente nuove nozioni e concetti, maturare sempre nuove esperienze didattiche…Lo studio non mi pesava affatto.
Ciò che invece non sopportavo era la “scuola”!
Non tolleravo l’incedere perolpiù noioso, farraginoso, talora spocchioso della maggior parte dei docenti, i loro pedanti e lenti ritmi, infarciti di saccente burocratese, il nozionismo ad oltranza, per cui erano le formule e le date da ricordare gli elementi di principale rilevanza, non il loro significato, né le motivazioni inerenti.
Per carità, ogni tanto ma raramente capitava che in cattedra arrivasse anche un autentico missionario del vero sapere, una fonte illuminante capace persino di tentare di far funzionare le nostre povere menti allo sbaraglio.
Ma in assenza di rari, fortunati accadimenti del genere, io preferivo fare da solo…Autodidatta ! 
Datemi un buon libro di testo e quello sarà il mio miglior docente !
 
Così, tornato ai banchi di scuola delle superiori, divenni presto di nuovo preda delle mie fughe di fantasia, delle mie evasioni forzate, via dalla noia che emanava dalle cattedre professorali. In talune circostanze divenni anche un “contestatore” ante litteram. Tra gli altri mi capitò infatti un insegnante di Matematica e Fisica che non conosceva affatto le materie che avrebbe dovuto insegnare. Era un maestro Calabrese che aveva, poi seppi, in qualche modo…conseguito una laurea. Insegnava unicamente con l’ausilio totale dei libri di testo e dei temi svolti. Ad un compito in classe di geometria mi dette l’insufficienza perché io avevo risolto il problema in un modo corretto, ma diverso da quello previsto dal suo “breviario”.
Non accettando le mie proteste mi costrinse ad andare dal Preside che si trovò nella incresciosa situazione di dovergli dare torto.
Allora, per vendicarsi, non trovò di meglio che interrogarmi in Fisica durante una sua ora di supplenza ! Io ovviamente rifiutai l’interrogazione, per la quale non potevo essere preparato in una data che non prevedeva tale materia. Lui mi assegnò linsufficienza ed io tornai dal Preside che questa volta, obtorto collo, la convalidò !
Così fui rimandato in Fisica, materia che io amavo particolarmente ed in cui ero sempre preparatissimo.
A Settembre giunsi all’esame senza aver aperto il libro ed ebbi la sosrpresa di essere interrogato da altri docenti (sicuramente c’era lo zampiono del Preside), al cui interrogatorio risposi esaurientemente e senza indecisioni, così che mi assegnarono un meritato sette e mezzo.
Sopra: domenicano. Sotto: Bertrand Russel

Ma alla lunga dovetti soccombere alla noia ed alla burocrazia scolastica.
Riuscii a durare tre anni grazie ad alcuni estimatori che avevo tra i prof: quello di Religione, un Domenicano appassionato che mi aveva convinto a frequentare le sue lezioni, io, ateo dichiarato ed unico esonerato di tutto l’Istituto (con l’eccezione di un mio amico ebreo, insieme al quale inizialmente uscivo dall’aula quando entrava il prete). Ma padre Masnovo non era un prete comune, era un vero filosofo con il quale io potevo animare la lezione di religione dibattendo i temi più scabrosi ed inusitati,
delle fede, della morale, dei costumi culturali.
Quella di religione divenne per me l’unica ora interessante, alla quale mi preparavo
sui testi di Bertrand Russel, con divagazioni che toccavano quasi ogni tema, dalla “rescerche” di Proust alla “Pelle” di Malaparte, dalla chiusura delle case di tolleranza (era giusto il peiodo della famigerata Legge Merin), a “La dolce vita” di Fellini, il film epocale del 1959, uscito in Italia tra mille polemiche e contestazioni.

Mi voleva bene anche il prof di Chimica, Paganini, non perché io brillassi particolarmente nella sua materia, ma perché lui era appassionatissimo di sport.
Ed io ero allora divenuto fulgido campioncino di Atletica Leggera, vincendo per due anni consecutivi i campionati studenteschi provinciali nei lanci e classificandomi al secondo posto ai campionati Italiani. In Atletica ero fondamentale elemento portante dell’Istituto, ciò che coinvolgeva anche la partecipazione del
Preside ad essere dalla mia parte.
Non parliamo poi di Bianchedi, il mio prof. di educazione fisica ed allenatore, dirigente della squadra federata in cui regolarmente gareggiavo e della quale ero ugualmente elemento di primaria importanza, unico ripetutamente convocato agli allenamenti collegiali nazionali della FIDAL !
Ma la prof. di Inglese, la perfida ed acida Moi, me l’aveva giurata contro ed aveva così minacciato il consiglio dei professori: “quest’anno mi prendete per fame (data l’ora avanzata degli scrutini), ma l’anno prossimo mi porto i viveri”…
Io nutrivo per lei la stessa forte, innata antipatia che lei aveva per me ed ebbi il torto di sottovalutarla. Così alla fine del quarto anno, dopo avermi rimandato riuscì infine a farmi bocciare !
Probabilmente io lo meritavo anche, ma non perché fossi alieno all’apprendimento della lingua o comunque estraneo alla sua conoscenza: io semplicemente non accettavo lei come docente, non la sopportavo e ciò sicuramente trapelava anche dal mio spavaldo modo di fare…Non accettavo il suo modo di insegnare, di proporsi, di “educare”…
Ma la Prof in cattedra, che mi piacesse o meno era lei !

Io a quella scuola non ci torno !
Di nuovo la storia si ripeteva…era il mio destino di essere ricorrentemente alle prese con i bienni di recupero…
 
Ma alla fine, in qualche modo, ebbi un diploma superiore, se pure dovetti promettere al prof di Ragioneria che mai avrei fatto il Ragioniere…
Ed in effetto ho sempre mantenuto quella promessa, essendo fondamentalmente con lui d’accordo di non essere assolutamente portato alla materia.
Feci sempre tutt’altro, tranne che per brevissimi peiodi, costretto più dalla fame che dall’opportunità di avere un lavoro qualunque !
Mi iscrissi invece a Statistica, all’Università di Padova, dove ebbi le mie piccole soddisfazioni, superando sempre o quasi con facilità gli esami del primo biennio.
Ovviamente in quanto autodidatta, senza mai o quasi partecipare alle lezioni.
A Padova allora c’era solo quello, per continuare avrei dovuto andare a Roma, ciò che non potevo assolutemente permettermi di fare essendo io necessariamente nella condizione di dover lavorare per potermi mantenere. 

Uno dei lavori che feci in quel periodo fù anche quello di insegnante, docente con incarichi e supplenze di educazuine fisica e di matematica, nonchè ripetitore privato di materie varie. Attività nella quale fui perfino apprezzato.

Ma il coronamento della mia corriera di studente allievo refrattario e contestatore della scuola lo ebbi poi come capo ufficio addestramento della multinazionale petrolifera in cui poi mi trovai a lavorare, incarico al quale fui promosso in seguito a precisi risultati ottenuti sul campo, grazie alla mia capacità di insegnare agli altri, coinvolgendoli ed entusiasmandoli, organizzando corsi ricchi di motivi d’interesse, inventandomi strumenti audiovisivi e scrivendo manuali d’addestramento per quanto possibile accattivanti, ameni e non noiosi.
Per gli aspetti commerciali facevo riferimento ai metodi già felicemente sperimentati dagli americani USA, per quelli tecnici mi sobbarcavo le pesanti lezioni dei nostri  pedanti ingegnieri, che poi facevo il massimo sforzo per rendere comprensibili e perfino divertenti ai miei allievi.

In altri termini cercai sempre di coltivare “perle”, nel senso di nozioni ed allievi, più che non allevare“porci”. E se almeno in parte ci riuscii fù soprattutto in funzione della mia precedente, assai sofferta  e diatribata esperienza scolastica e studentesca.
 

The lonely dolphin.
 
Video significativo estratto da "Amarcord"

di Fellini.
























martedì 3 luglio 2012

CAT BOAT 4^ parte


AGLAJA
Storia di un Cat Boat e di altre barche a vela.
4^parte: Malamocco come Capo Horn !

A Montegrotto Terme, vicino a Padova, andavo per alcuni lunghi Weekend a ritemprarmi d’inverno, con lunghe nuotate quotidiane in acqua termale.
Mio fratello abitava ad Abano, lì vicino, così a volte mi univo a lui per raggiungere l’Aglaja in quel di Sottomarina e farci il solito giro, dentro e fuori laguna.
Una volta, in pieno inverno, forse nel periodo delle vacanze di Natale, era una giornata di sole pallido, vento teso e mare formato, come lo trovammo uscendo dal canale di Pelestrina, appena lasciata Sottomarina.
Vento e mare ci erano a favore, arrivando da Ovest, Sud Ovest, tra il Levante e lo Scirocco, per cui impostammo un'andatura tra il lasco ed il traverso, essendo noi diretti come al solito verso Nord, Nord Est.
Percorremmo così tutta la lunghezza dell'Isola di Pelestrina, 10 km. in nemmeno un'ora, alla velocità di 6 - 7 nodi, niente male.

Arrivando al canale di Malamocco ero al timone e notai già da lontano una cosa stranissima: all'interno del canale c'era un importante cabinato che stava procedendo con tutte le vele armate, gonfie di vento, risalendo verso Venezia.
Stava entrando in laguna, sbandato e beccheggiante, cioè inclinato di lato, come sono spesso le barche a vela quando forzano l'andatura su venti tesi che incrociano la loro rotta. Il beccheggio è invece il dondolio dello scafo da poppa a prua, che lo porta ad alzare ed abbassare alternativamente poppa e prua per effetto delle onde.
Onde che noi, ancora in mare aperto, verificavamo sui due metri di altezza, mare forza cinque. Ma erano onde di lunghezza tale da non creare grossi problemi.
Lo strano di quel veliero era che, nonostante avesse vento e mare a favore e tutte le vele gonfie e ben tesate, rimanesse fermo nel canale, quasi senza avanzare...

Li per lì pensammo ad un improbabile effetto ottico, non trovando comunque spiegazioni: i punti cospicui di riferimento, per cui potevamo traguardando valutare i movimenti di quel natante indicavano un suo avanzamento nel canale praticamente irrilevante...
come se fosse fermo !
Ma arrivando poi all'ingresso del canale capimmo la ragione di quello strano fenomeno: Il canale era come un turbinoso torrente in piena che stava riversando in mare un'enorme massa d'acqua, quella che aveva il giorno precedente riempito la Laguna, determinando l'acqua alta a Venezia.


(veliero che procede sbandato a causa del vento)


Ritornando in mare aperto quell’alta marea formava una fortissima corrente che si scontrava con le onde del mare, che spingevano in direzione opposta, per cui la foce di Malamocco, alla quale stavamo arrivando, ci si presentava come una sorta di spaventoso guazzabuglio d'acqua, un alternarsi di forze contrapposte che creavano salti e spinte dirompenti di due o tre metri d'altezza, una situazione in definitiva molto critica e pericolosa da affrontare.
Io ero al timone da circa un'ora, ed avevo già faticato non poco a mantenere la barca in rotta, dovendo continuamente contrastare la spinta di poppa delle onde che tendevano a traversarla.
Ma a parte questo mi furono subito chiari i rischi della situazione.
Il pericolo principale era quello di trovarsi "traversati", cioè con lo scafo messo di traverso rispetto alla spinta delle onde dirompenti e quindi non solo in difficoltà di ulteriori manovre, ma sopratutto nel rischio di "scufiare", cioè di rovesciare la barca !
Le pareti del canale erano vicine, neppure cento metri, ma rimanere a galla in quel guazzabuglio di onde disordinate, con una temperature dell'acqua sicuramente assai vicina a zero gradi, per nuotare fino a riva sarebbe stata una prova ai limiti delle nostre capacità fisiche, per quanto notevoli e verificate potessero essere.
Con mio fratello ci guardammo perplessi, mi sembra senza quasi parlare: era chiaro che non avevamo alternative. Tornare indietro, contro il mare e vento era quasi improponibile. Forse proseguire, per tutta la lunghezza dell'Isola del Lido, sino al Cavallino, sperando di trovare poi là una situazione migliore...


(a destra: foto aerea del canale di Malamocco, che si
vede in basso, dove indicato "bocca di porto". Sopra c'è il litorale del Lido, sotto, dall'altra parte del canale, inizia l'isola di Pelestrina)

Ma poteva essere anche peggio !
Ci accingemmo allora ad affrontare quel gran "bullesumme" di onde disordinate e dirompenti, una sorta di piccolo Capo Horn… Come avevo previsto l'impatto fù molto duro e dovetti fare una fatica terribile per tenere in rotta l'Aglaja: le onde da poppa, il vento dal lasco e la corrente del canale da prua continuavano a spingerla in tutti i modi per farla traversare, cioè girarla su se stessa, ciò che io riuscivo ad evitare con la forza della disperazione, la possenza delle mie notevole ed allenate spalle e braccia, ed un’ abilità di timoniere che soprattutto in quell’occasione ebbi a confermarmi.
Mio fratello mi aiutava cercando di regolare al meglio le vele, ma in una situazione del genere era un lavoro quasi impossibile.
Tuttavia avanzammo di qualche decina di metri all'interno del canale, finchè trovammo la massima spinta contraria nella sua parte più stretta, quella per i cui il breve delta dell'imbuto si stringe nella sua minima sezione, quella della larghezza costante del canale.

Il mio punto di riferimento era il Faro, posto alla nostra destra all'ingresso del canale: lo avevamo superato di forse qualche metro, ma dopo mezz'ora di navigazione eravamo ancora lì davanti...
(a destra: il faro di Malamocco)


Mi domandavo che cosa stesse pensando chi dal faro ci stava sicuramente osservando. Sopratutto se sarebbe stato in grado di fornirci un qualche aiuto in caso di naufragio. Sicuramente non in tempo utile, temevo.
In quella, con le spalle che ormai non ne potevano più dalla fatica di contrastare continuamente la barra del timone (arrivai persino a temere che mi si potesse spaccare tra le mani, per le spinte cui era sottoposto), mi rivolsi a mio fratello e gli proposi, con falsa calma apparente: "e se accendessimo anche il motore?". Lui fù subito d'accordo, forse dalla serie di "boia chi molla", ed a mollare ero stato io...
La spinta del motore entrobordo unita a quella delle vele ci permise di risalire così tutto il canale, che allontanandoci dal mare assumeva un andamento più regolare, meno frastornato, pur restando fortissima ed impressionante la spinta contraria delle acque in uscita dalla laguna. In totale ci vollero due ore per risalire quel chilometro scarso, mentre prima in una nepure un ora avevamo filato i 10 km. dell'Isola di Pelestrina !
A metà canale cedetti il timone a mio fratello per riposare i muscoli affaticati dalla barra.
Come sbucammo finalmente in laguna fummo subito in tutt'altro mondo: la calma placida delle acque ferme, l'andare di bolina tra le bricole, episodicamente aiutati dal placido ronzio del motore tenuto a basso regime, senza quasi avvertire il vento, al riparo delle case, ridossati oltre il basso rilievo dell'isola.

Ma non fù questa la mia sola avventura con Aglaja.
Anche perché qualche anno dopo ne divenni proprietario, in società con l’amico che svariato tempo prima l’aveva posseduta, navigandoci alle Baleari e sul Lago Maggiore.

Mio fratello con quella barca aveva fatto una grossa esperienza ed aveva abbondantemente concretizzato la sua formazione nautica, grazie ad una grande passione e propensione, che lo portarono ad avere in quella quasi una ragione di vita. Andando per mare a vela lui rinasceva, rifioriva, dimenticava o perlomeno esorcizzava i tanti guai e problemi che purtroppo lo angosciarono per tanto tempo, sia a livello familiare che professionale.
Soprattutto ritrovava la parte forse migliore di se stesso, esaltandosi poi nei continui progressi e successi della sua crescente bravura nel navigare.
Dedicando a quella passione quasi tutto il suo tempo libero divenne così molto competente: un ottimo “skipper”, con tutte le credenziali.
Almeno a livello diportistico, che nell’andare a vela non è assolutamente poca cosa.
Ci sono tanti che lo fanno, ma bisogna vederli, misurarli…
Molti escono solo con il mare calmo e venti moderati…, e non appena incontrano qualche problema subito accendono il motore e riparano in porto. Nel migliore dei casi alzano la tormentina (piccola vela di prua avente solo l’effetto di stabilizzare la barca in caso di tempesta…) o lasciano aperto un triangolino di vela sul girofiocco, che è quasi la stessa cosa, dando così un’illusione dell’andare a vela, ma con l’elica sotto che spinge in dislocamento.
Mio fratello invece si rassegnava ad accendere il motore solo nei casi estremi, ome quello del su citato, arduo attraversamento del canale di Malamocco.


Così dopo qualche anno capitò l’innevitabile: l’Aglaja era diventata troppo piccola ed inadeguata per le sue cresciute ambizioni e capacità, non gli consentiva un’abitabilità adeguata a bordo ed un livello di prestazioni che gli permettessero ad esempio un sicuro e più rapido trasferimento nella prospicente Jugoslavia, le cui coste sono assai più amene di quelle Venete e romagnole (Trieste a parte), ricche di baie ed insenature, soprattutto di un’infinità di isole, navigare tra le quali era assai più bello che non la ripetitiva monotonia del rifare per l’ennesima volta il giro dell’Isola di Pelestrina…

Ciò che verificammo insieme nell’estate del 1992, vent’anni fa, noleggiando un cabinato a vela sull’isola di Krck, subito a sud della penisola Istriana. Era un classico sloop sui 10 metri (Elan 33, v. foto a lato), con ampio pozzetto, saloncino ben attrezzato e posti letto adeguati per quattro, noi due più le mogli.
Fù una felice esperienza, favorita dal bel tempo, venti perlopiù adeguati e mare tranquillo, durante la quale unica settimana avemmo modo di apprezzare quel tipo di andar per mare, le mogli incluse (che non è poco!).
Non sviluppammo grandi itinerari, raggiungendo come massimo Lussino e fermandoci a dormire solo tre notti lontano dal porto base di partenza, due volte in rada libera ed un’altra in porto a Lussino, anche per necessità di rifornimento (riuscimmo infatti a fare il pieno d’acqua nel serbatotio del…gasolio…disastro!).
Ma potemmo distribuire al meglio il nostro tempo, tra l’andare a vela, nuotare, prendere il sole, pescare, visitare villaggi e cittadine, apprezzare qualche ristorante di pesce…
Forte anche di quell’esperienza mio fratello, che nel frattempo si era anche dotato di adeguata patente nautica, acquistò un Ketch, un due alberi a vela sui 10/11 metri, una bella barca classica stile “cutter” di fabbricazione Inglese, molto tosta e marina, in grado di esprimersi ottimamente a vela.

Trovò l’occasione nella grande marina di Aprilia, a Lignano Sabiadoro, dove nel frattempo aveva trasferito l’Aglaja, alla ricerca di itinerari meno ripetitivi.

(a destra: Cutter Ketch in navigazione)

E con la sua nuova barca nell’estate del’93 tornammo nella ex Jugoslavia per approfondire e dilatare la felice esperienza dell’anno prima: questa volta l’itinerario prevedeva due settimane di navigazione, durante le quali avremmo potuto raggiungere anche le mitiche isole Kornati, a Sud in Dalmazia.
Si era infatti ormai allontanata la brutta guerra che aveva disastrato fino all’anno prima gran parte di quelle regioni, che erano state perciò Off Limits, soprattutto nella parte Sud della Croazia.
Partimmo all’alba di una mattina d’inizio Agosto in una bella giornata di sole. Ci volle un’ora per uscire in mare, dalla laguna di Marano in calma piatta, all’interno della quale si trovano le grandi marine che ospitano migliaia di barche da turismo, Italiane, Austriache , Tedesche…
Noi battevamo bandiera Austriaca, quella dell’immatricolazione originale della barca, che mio fratello non aveva ancora fatto in tempo a cambiare e che spesso ci indusse in equivoco, quando incontravamo dei tedeschi che volevano fraternizzare con noi, che non parlavamo una parola di quella lingua !
La prima tappa prevista era Rovigno, a circa 60 miglia, ma presto fù chiaro che avremmo dovuto fermarci assai prima.
Uscendo in mare aperto incontrammo infatti un teso Scirocco che ci soffiava sul naso, contro il quale dovemmo ingaggiare una faticosa e scomoda bolina per tutta la giornata, contro onde formate ed irregolari che facevano beccheggiare la barca senza tregua. Uno sbattimento continuo, con inevitabili spruzzi che ci innonadvano in continuazione, ma sopportabili per il forte caldo della giornata di solleone.
Era quello il nostro unico ristoro. Per il resto era come essere, e lo fummo per ben dodici ore, in groppa ad un cavallo indomito al rodeo di Kansas City…

Le donne soffrivano in silenzio.
Mia moglie, che è sempre stata irrazionalmente paurosa delle barche, aveva il volto teso in una maschera tragica e si teneva con tutte le forze, contratta e rattrappita, incastrata contro la panca del pozzetto, le unghie conficcate nel tek della coperta…
(a destra: Rovigno, meta della nostra prima tappa di navigazione: Sullo sfondo la pineta nella cui baia riparammo per tre giorni)
Se fossimo stati soli o se la navigazione fosse dipesa da me solo, sicuramente avrebbe preteso di tornare subito indietro, comunque di cambiare registro a quella situazione.
Ma non essendo così e non volendo fare la guastafeste continuò a soffrire in silenzio, molto stoicamente. E per mia cognata credo fosse la stessa cosa.
Finalmente verso sera arrivammo all’altezza di Parenzo e mio fratello si arrese all’evidenza di una situazione che richiedeva un cambiamento di programmi.
In porto si erano già rifuggiati in tanti e non c’era più un buco, per cui riparammo in rada, dove io cercai di recuperare le articolazioni, anchilosate da quella lunga cavalcata, con una lunga e meritata nuotata. Poi col tender raggiungemmo la riva, andammo a cena ed a fare un po’ di turismo nella cittadina Croata.
La mattina dopo all’alba altra nuotata e poi via di nuovo, a goderci lo Scirocco ancora più teso del giorno prima e le onde contrarie, che ci sgropparono ancora per tutta la giornata, finchè infine non approdammo all'ambita prima meta: Rovigno.
Anche qui niente posto in porto, tutti scappavano quel mare rifugiando al riparo senza contare eravamo in Agosto... Riparammo in rada, come molte altre barche, accanto alla magnifica pineta del parco naturale di quell’antica cittadina, di origine tipicamente Veneziana.
E li restammo nei tre giorni successivi, perché il mare era ulteriormente incattivito ed il vento continuava ad essere assolutamente contrario alla nostra navigazione.
Mio fratello faticosamente si rassegnò e le donne tirarono un sospiro di sollievo.


(a destra: la baia in cui ancorammo, circondata dalla pineta. L'orrido albergone in primo piano
per fortuna non lo vedevamo dalla baia).
A me era facile essere solidale con loro, soprattutto per via della mia schiena che non mi permetteva “rodei” di 10-12 ore, ma richiedeva altrimenti lunghe nuotate. Che nella baia di Rovigno riuscivo a fare alla grande ! Così come lunghe passeggiate nella pineta, sul cui soffice tappeto erboso trovammo molte ore di ristoro e relax, apprezzatissimi anche dalla povera cagnolina di mio fratello, la nostra mascotte in quell’ardua navigazione, che come noi e forse più aveva sofferto e sopportato le due precedenti dure giornate di navigazione.
A sofrire era invece ora mio fratello, che aveva ormai sviluppato la sindrome del velista ad ogni costo, quello che deve andare, andar sempre andare e andar…, come qualcun altro mi è capitato di conoscere, gente che si ritrova a proprio agio soprattutto nelle grandi traversate oceaniche, che durano svariate settimane, senza mai vedere terra o toccare un approdo, cioè i veri lupi di mare della vela !
Era divenuto il suo “must”, la sua massima ambizione di skipper ed il suo principale divertimento e quindi mal sopportava nel sentirsi limitato a terra, li confinato con la sua nuova, tosta ed attrezzata barca a vela: le sue ormai esercitate capacità richiedevano ben altre verifiche! Come le Isole Kornati, molto più a Sud, il suo obbiettivo. I tempi previsti per il nostro viaggio, sole due settimane: a quel ritmo di avanzamento non ce l’avremmo mai fatta ad andarvi e tornare !
Ogni mattina lui era in capitaneria alleggersi il bollettino per il naviganti.
Che immancabilmente diceva: vento forte da Sud, mare forza 5-6…, cioè sempre una situazione del tutto sfavorevole al nostro procedere.
Per tre giorni tenne duro, sforzandosi di rilassarsi con noi, nella piacevole permanenza in baia, a Rovigno, ma la sera del terzo giorno annunciò: domani ripartiamo, non importa quale sarà la situazione del mare !
Anche perchè, aggiunse, è previsto un miglioramento delle condizioni…

Io allora mi feci carico della disponibilità di mia moglie a continuare: lei non avrebbe mai avuto il coraggio di ribellarsi ed avrebbe, incautamente e stoicamente accettato di ripartire, tranne poi pentirsene amaramente.
Io, che a livello strettamente personale sarei stato anche disponibile, pur non condividendo le istanze quasi ossessive di mio fratello, la feci realisticamente ragionare, suggerendole che avevamo un alternativa, da me già reconditamente verificata: prendere l’aliscafo che da Rovigno in due ore arriva a Grado e da lì raggiungere Aprilia, cioè Lignano Sabbiadoro, dove ci aspettava il nostro Pik Up Mitsubishi, comodamente attrezzato a camper, con un giaciglio perfino più comodo di quello che non avevamo sulla barca di mio fratello, gran natante ai fini della navigazione ma molto spartano in quanto a comodità di alloggiamenti.
Con ciò le feci un enorme regalo, quanto immenso lo imparammo solo tre settimane più tardi !
La mattina dopo in Capitaneria il bollettino recitava: vento da Sud teso ma in diminuzione, mare forza 4-5 (cioè un po’ meno agitato).
Mio fratello era felice, si parte ! A me toccò però ridimensionare la sua allegria annunciando che noi ci saremmo ritirati: mia moglie non se la sentiva più di continuare…Proseguendo in quella situazione per lei quella vacanza rischiava di divenire una sofferenza totale…
Già che eravamo in porto andammo a prenotare due posti sull’aliscafo per Grado (v.foto a lato), che partiva nel pomeriggio e poi tornammo in baia a fare un ultima nuotata.

Loro salparono alla volta del loro destino lasciandoci, mentre uscivano dal porto, al molo dal quale sarebbe partito di li a poco anche il nostro aliscafo.
Li vedemmo così allontanarsi verso il largo, tutti e tre votati ad un’avventura non da poco, che vale sicuramente la pena di essere raccontata, nella prossima puntata: mio fratello, finalmente tornato alla sua ambita navigazione, mia cognata e la loro povera cagnolina con uno sguardo negli occhi che ci sembrò esprimere invidia e già nostalgia per noi che invece tornavamo indietro…
Fù un presagio ? Forse, ma non benedimmo mai abbastanza quella decisione, alla luce di quanto poi accadde.
La bella barca dallo scafo classico e filante e dalle rosse, romantiche vele sembrò presto stranamente piccolissima, mentre si allontanava nel mare aperto, fuori dal porto, e presto sparì verso il largo, tra le onde altalenanti di un mare ancora agitato.

Dopo un ora noi salivamo sul grande aliscafo, velocissimo e silenzioso, dotato di aria condizionata, grandi vetrate a maxischermi TV. Comodamente rilassati nelle garndi poltrone viaggiammo nelle due ore successive godendoci alternativamente i panorami della costa Istriana e l'atletica leggera, in diretta dalle Olimpiadi in corso.
Giunti a Grado contrattammo con un tassista il nostro trasferimento ad Aprilia, dove arrivammo verso le sette di sera: grande nuotata nella piscina della marina super attrezzata ed una ricca, buonissima cena a base di pizza in un ottimo ristorante li vicino, in pineta. Quindi a nanna nel nostro comodo camper, improvvisato nel PikUp, assai comodo anche per la vicinanza con gli ottimi servizi della marina.
Il giorno dopo, mentre rientravamo, programammo un’improvvisata vacanza in montagna con altre due copie di giovani parenti, il fratello di mia moglie e mia cugina con rispettivi partenrs, ma ci fermammo a Montegrotto Terme, che era per strada, per un ulteriore giornata di relax. Passammo poi altri due o tre giorni a casa, in alta Brianza, dove eravamo comunque dotati di parco condominiale, tennis e piscina, in attesa che ci raggiungessero da Genova mia cugina e suo marito, per poi ripartire insieme verso il Trentino, la val di sole e la val Rabbi, dove arrivarono anche da Padova mio cognato e la sua compagna, e tutti insieme trascoremmo una piacevole vacanza, tra escursioni e nuotate nella piscina comunale di Malè.
Mentre eravamo ancora là, verso il 20 di Agosto, telefonai a casa di mio fratello per avere notizie della sua crociera: il rientro essendo previsto per quella data, ma imparai da sua figlia che erano ancora bloccati a Lussino dal maltempo e da una pesante avventura che gli era capitata, circa i cui particolari lei non aveva chiari elementi da riferire…
Richiamai di nuovo nei giorni successivi e poi ancora, ma al 26 di Agosto non erano ancora rientrati, quando noi lo avevamo già fatto da alcuni giorni.

(a destra: il porto di Rovigno da cui, per direzioni
opposte, ripartimmo)

L’avventura di mio fratello, quale poi lui ebbe a descrivermi, vale la pena di essere
raccontata, soprattutto in quanto emblematica dell’andar per mare.
Ciò che farò nella prossima puntata.
Sempre a proposito di Aglaja di altre barche curiose.

The lonely dolphin.