martedì 3 luglio 2012


AGLAJA
Storia di una barca un po’ speciale,
preceduta da brevi cenni storici sulla navigazione a vela.

L'argomento "barche", in particolare se "a vela" non è per tutti.
L’ Italia ha una tradizione di diffusa ignoranza ed insensibilità che riguarda l'arte della navigazione, ma anche la pratica del nuoto:
è un antico retaggio, da più parti ribadito, ma che nessuno è mai riuscito a spiegare bene.
Siamo infatti un paese ricco di montagne, ma in gran parte circondato dal mare, con uno sviluppo costiero enorme, circa 8mila chilometri ed un rapporto tra superfice totale e lunghezza delle coste tra i più alti: un km di costa ogni 40 km. di superfice !
Ma solo qualche decennio fà la percentuale di persone che sapevano nuotare in Italia era tra le più basse e l'andar per mare (o sui tanti laghi navigabili Italiani) era sfizio per pochi.
C'era giusto chi osava affittare un "moscone" (o "pattino") per pasticciare con i remi a pochi metri da riva, col mare piatto e sotto l'occhio vigile del bagnino, rigorosamente in Agosto, per dare un tocco di "avventura" alla breve vacanza ad Alassio, Jesolo, Rimini, Viareggio, Ladispoli ecc...
Il massimo era il "pedalò", possibilmente con il timone a "volante", tipo automobile: bastava pedalare come in bici e sterzare come in auto !
Cioè il massimo della vacanza al mare nello stereotipo del Milanese sulla costa Romagnola, magari a…”Milano” Marittima, tra piadine e discoteche.

Poi per fortuna le cose sono cambiate: lentamente siamo diventati un paese quasi evoluto, con un'esponenziale crescita di piscine scoperte e coperte, anche nei Comuni più piccoli e meno ricchi, ed una gran massa di giovanissimi è stata avviata ai "corsi di nuoto"(i risultati positivi si sono poi visti anche nell'agonismo, oltre che nel diminuito numero degli annegati...).
Ed anche la "Nautica"ha avuto un grande sviluppo, sia a livello di marine attrezzate che di cantieri dediti al business, oltre che di utenti, aspiranti Capitani di lungo corso.
Ma il maggior incremento si è avuto sopratutto con i "canotti pneumatici", o gommoni dotati di motori fuoribordo (di potenza
rigorosamente al di sotto dei 25 cavalli e quindi esentati dall'obbligo di patente nautica), facili d trasferire e rimessare, facili da alare e condurre,
in definitiva “facili”!
A seguire, con l'arricchirsi del reddito medio, del tempo libero e delle ambizioni personali, in molti sono poi passati ai "cabinati", spesso nella logica edonistica ed esibizionistica del "mi faccio la barca"!
Barca che nelle aspirazioni medie era (ed è !) il classico "ferro da stiro", cioè un piccolo, possibilmente medio Yacht, dotato di potenti motori entrobordo, cabina armatoriale, salottino, prendisole attrezzato e comoda piattaforma di poppa per un facile accesso al bagno. Il tutto in una lunghezza minima di 7 metri, meglio 10, assai meglio 12, possibilmente ancora di più, in funzione del portafoglio. E tra i VIP tradizionalmente è competizione a chi ce l'ha più lungo...lo Yacht.

Ma il costo di questi giocattolini cresce in maniera esponenziale con la lunghezza: se per un attrezzato 7 metri possono volerci 80mila euro per arrivare ai 12 (cioè neppure il doppio di lunghezza) ce ne vogliono almeno 300.000, cioè 4 volte tanto !

Poi c'è il Mondo della "Vela", cioè…l’altro mondo, completamente diverso.
Non perchè non richieda anch'esso notevoli capitali, ma perchè cambia totalmente o quasi la mentalità e la cultura.
Per condurre in mare un "Ferro da Stiro"basta un pirla qualunque, teoricamente essendo più facile che non guidare un'auto.
Ed infatti si vedono tanti pirla che se ne vanno così in giro, ignari e/o dimentichi di ogni regola della navigazione, ma anche della buona educazione e del buon senso.
Qualcuno arriva perfino a governare transatlantici da 300 metri ed ad arrembarli sugli scogli dell'Isola del Giglio, in un folle delirio di onnipotenza supportata da svariati precedenti impuniti...
Guidare un "ferro da stiro" in mare è persino banale: c'è la chiavetta d'accensione, il timone a ruota del tutto identico allo sterzo dell'automobile e c'è la manetta del gas, il variatore di velocità che regola l'andatura in avanti e indietro e funziona anche da freno: basta spingerlo avanti o indietro...Fine.
Non c'è il cambio, non la frizione, non il freno a mano.
E sulla strada, pardon la "rotta", non ci sono corsie; c'è invece tanto, tanto spazio, ed in genere poco o pochissimo traffico, spesso assenza totale.
Come magistralmente stigmatizzava il grande Govi in una sua divertente commedia
(Colpi di timone), paragonando la differenza nel condurre un veliero o un piroscafo, cioè una moderna nave a motore: su quest’ultima basta “sciaccà un pumellu” (cioè schiacciare un bottone) “e a nave a vira…ti sciacchi un atru pumellu e a nave a se ferma…”, cioè basta premere dei pulsanti e tutto o quasi avviene automaticamente !
E ai tempi di Govi non c’erano ancora il GPS, l’elettronica digitale e tutti gli ulteriori sistemi di controllo che oggi attrezzano le navi più recenti, ma che non impediscono comunque alle teste di cavolo di finire sugli scogli in condizioni di mare e di visibilità ottimali ! Magari solo per esibire ad una ballerina Moldava l’abilità di un comandante a fare l’inchino, in barba alla sopravivenza di qualche migliaio di persone a bordo…

Si, apparentemente risulta elementare guidare un natante in giro per il grande mare. E molti si lasciano ingannare e trascinare da queste apparenze, tralasciando le condizioni meteo, che possono repentinamente mutare, l'azione del vento (deriva), quella delle correnti (scarroccio), la difficoltà delle manovre di ormeggio ed ancoraggio, le insidie di secche e scogli perfidamente celati appena sotto la cresta delle onde, le regole di precedenza ed ingaggio tra le imbarcazioni, la complessità dei segnali che è obbligo esporre e comunicare, sopratutto nella navigazione notturna, per non parlare della cultura specificamente necessaria per calcolare una rotta e mantenerla, sopratutto nella nebbia e/o in alto mare.
Ma oggi anche le barchette sono dotate di GPS, cioè del rilevatore satellitare, il Tom Tom dei natanti, che ti dice in qualunque momento dove sei, dove vai e quanto ti manca ad arrivare..., vanificando gran parte dell'arte della navigazione, che esprimeva la sua massima cultura nell'uso di Bussola, Sestante e Cronometro, utili a verificare e calcolare rispettivamente la direzione, la Latitudine e la Longitudine.
Per cui si confermerebbe a maggior ragione che, teoricamente, un pirla qualunque può condurre un transatlantico da 300 metri ad arenarsi sugli scogli all'Isola del giglio. Anche se non si chiama Schettino !

(a destra: immagine di un "sestante", indispensabile per il calcolo della Latitudine prima dell'avvento del GPS satellitare)


Andare a vela è invece tutta un’altra cosa !
Non ci si può “improvvisare” velisti, anche l’ultimo dei cretini lo capisce, perché salito su di una barca a vela non saprebbe da che parte cominciare, dove mettere le mani e ci sino Paesi, come la Francia, dove per andare a vela non è richiesta alcuna “patente”, alcun “brevetto”, dandosi per scontato che nessuno può improvvisarsi “velista” come invece si può nella navigazione a motore, simulando una versione apparentemente semplificata della guida dell’automobile.

Quella del navigare a vela è una vera e propria “arte”, che ha una sua specifica cultura, un suo vocabolario e tecniche ben precise e colaudate che si rifanno alla storia antica: “la storia della vela”è un po’ anche quella della civiltà.


(a destra: una barca scuola dei "Glennans"la mitica scuola di vela Francese)


E non a caso la conquista del mondo è legata all’evoluzione della navigazione a vela, dai Fenici che circumnavigarono l’Africa sino ai Vichinghi che raggiunsero a Terranova l’America del Nord, secoli prima che lo facesse ufficialmente Cristoforo Colombo, così come tutto il pacifico fù colonizzato da asiatici, soprattutto indiani ed indocinesi, che in qualche modo partirono per mare verso Est su improvvisate feluche o piroghe, sino a raggiungere e colonizzare nei secoli l’America Centrale (v. Kontiki*)
Più tardi le grandi scoperte geografiche e le grandi conquiste Imperiali, avvennero grazie ad importanti flotte di velieri, navi mirabilmente costruite ed attrezzate, al servizio di Portogallo, Spagna, Francia, Olanda e soprattutto Gran Bretagna !


*(a destra: il Kon tiki, la zattera a vela con cui il Norvegese Thor nel 1947 attraverasò il Pacifico per dimostrare come in passato fosse potuta avvenire la sua colonizzazione dalla Polinesia al sudAmerica).

L’Italia, con 8.000 km. di coste, nonostante il genio rinascimentale espresso da Leonardo e da grandi navigatori ed esploratori: Marco Polo, Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, Andrea Doria e tanti altri, rimase in pratica confinata al Mare Nostrum, il Mediterraneo delle Repubbliche marinare, più o meno sempre in lotta con Turchi e Saracini, ancora confinata nello stesso ambito che aveva visto , più di mille anni prima, l’espansione dell’Impero Romano, a bordo delle triremi mosse soprattutto dalla voga degli schiavi, più che non dalla forza del vento, che veniva sfruttato solo in parte e quando soffiava nella direzione voluta.
Lo stesso Colombo, figlio della grande repubblica marinara Genovese,
dovette andare ad elemosinare qualche piccola e misera nave alla corte di Spagna per poter infine scoprire la sua“via delle Indie”.
E faticò non poco a convincere la regina Isabella ed i suoi consiglieri circa i vantaggi di “buscar lo levante per lo ponente”, cioè arrivare in Oriente passando per l’Occidente…Teoria che presupponeva la sfericità del globo terrestre…

Concetto che allora solo pochissimi erano attrezzati e disposti a condividere, anche perché esso rappresentava una grave eresia al sapere ufficiale di quei tempi, gelosamente e dogmaticamente custodito dai “Sapienti della Chiesa”sulla base dell’assai più facile teoria geocentrica espressa dall’antico filosofo ed astronomo Tolomeo, che presupponeva un Mondo piatto, in parte circondato da cupole concentriche trasparenti su cui fossero incastonati gli astri celesti.

Le Carvelle con cui Colombo partì a buscar lo levante per l’occidente avevano tozzi scafi, scarsi di deriva e vele quadre, utili solo con i venti portanti e riuscirono a raggiungere le “indie”dei Caraibi solo grazie all’Aliseo Portoghese, il vento costante che soffia da Est Nord Est. E per il ritorno Colombo dovette sfruttare la providenziale corrente del Golfo, facendo rotta verso Nord Est.
In effetti la grande evoluzione della vela avvenne solo più tradi, grazie al perfezionamento delle vele trapezoidali ( latina, aurica ecc…), divenute poi“triangolari”e perfezionate nell’ applicazione, quindi in grado di risalire il vento, cioè muoversi quasi “controvento”, in quell’andatura fondamentale che è la “bolina”, che permette di “stringere contro la direzione da cui spira il vento”sino ad angolazioni inverosimili, cioè inferiori perfino ai 30 gradi, sulle barche meglio realizzate ed attrezzate !

Ciò scafi lunghi e sottili, estremamente filanti, dotati di profonde derive stabilizzanti, di alberi altissimi ed attrezzatissimi: i famosi Clippers, vere e proprie navi da corsa, nate negli Stati Uniti per collegare velocemente la Costa Atlantica con quella del Pacifico, quando ancora i 4-5 mila km di attraversata per via terra del continente, allora privo di ferrovie ed in balia dei Pellerossa, implicava una rischiosa avventura e molti mesi, anni di tempo. Con i Clippers la via del mare, nonostante fosse assai più lunga ed implicasse il rischiosissimo e difficilissimo passaggio del Capo Horn (ma sopratutto poi lo Stretto di Magellano, nel passaggio da Est ad ovest, cioè quello assai più impegnativo) risultava più veloce e relativamente sicura !
I Clipper furono poi imitati e perfezionati dagli Inglesi, sempre molto attenti a ribadire la loro tradizionale supremazia sui mari, ed utilizzati per “la corsa del tè”, cioè per il suo veloce trasporto a Londra dalle Indie, nella logica per cui le navi che per prime avessero sbarcato il nuovo raccolto avrebbero battuto i maggiori valori alle aste
di vendita del prodotto !
Con i Clippers la navigazione la navigazione raggiunse il suo massimo prestazionale, soprattutto in termini di rapidità: i tempi di percorrenza furono ridotti ad un terzo ed anche meno grazie a grandi navi, lunghe ed affusolate, dotate di 5, 6, perfino 7 alberi altissimi e migliaia di metri quadri di vele, attrezzate con equipaggi selezionatissimi, sempre pronti a rischiare la vita per salire in coffa a sbrogliare una qualche scotta si fosse incattivita nel mare in tempesta.

Sulla maggior parte dei Clippers la “velocità” era un must, un imperativo totale, che non prevedeva l’allarme di “uomo in mare!”: virare di bordo e ritornare a recuperare lo sventurato che fosse caduto dalla nave sarebbe stata una perdita di tempo che nessun capitano avrebbe preso in considerazione, significava perdere ore preziose e compromettere la gara verso il primato nella corsa del te, la dove capitano ed equipaggio erano direttamente cointeressati al risultato economico dell’asta che si sarebbe battuta a Londra al loro arrivo, ed i primi che arrivavano ad aprire la nuova stagione con la consegna del prodotto fresco riuscivano a spuntare i guadagni maggiori !
Grandi velieri, estremamente slanciati, altissimi ed agilissimi, capaci su certe tratte di velocità medie perfino di 17 o 18 nodi, cioè tali che i “piroscafi” riuscirono ad eguagliare solo dopo molti anni dal loro debutto, i Clippers erano in grado di percorrere anche 400 miglia (700 km.) al giorno, cioè teoricamente di battere quel record del “giro del Mondo in 80 giorni” preconizzato da Giulio Verne nel suo

avveniristico Romanzo d’avventura !
E sicuramente qualcuno ci sarebbe riuscito se ci avesse provato essendo in possesso delle conoscenze geografiche e metereologiche oggi alla nostra portata, così come sono riusciti a fare alcuni
formidabili velisti in solitario solo qualche anno fa, a bordo di “barche a vela” estremamente sofisticate e tecnologicamente avanzatissime, di fronte alle quali forse impallidiscono anche le “Ferrari” più attrezzate per vincere il gran premio.

a destra: trimarano avela impegnato nel giro del mondo in menio di 80 giorni, mentre doppia capo Horn !)


Barche che hanno girato il mondo in 70 giorni ed anche meno, viaggiando prevalentemente a latitudini antartiche, così da poter sfruttare al meglio
l’assenza di ostacoli continentali e la presenza di venti portanti fortissimi, i mitici “quaranta urlanti”e “cinquanta ruggenti” e di correnti marine in grandissima parte favorevoli. Venti chiamati Quranta e Cinquanta per via delle latitudine Sud alle quali vorticosamente girano tutt’intorno alla terra, a Sud dei grandi “Capi”: Horn e di Buona Speranza, rispettivamente alle estremità meridionali di Sud America ed Africa.
Urlanti e Ruggenti ovviamente per via della loro fortissima intensità.
Rotte che prevedono comunque sempre il passaggio di Capo Horn, il terribile Capo delle Tempeste, da Ovest verso Est, cioè nel senso favorevole e non contrario alla spinta del vento.
Una curiosità: l’anello all’orecchio che oggi distingue tanti cicisbei e perfino qualche “politico”di sponda orgogliosamente omosex, una volta era ornamento distintivo strettamente riservato a quei pochi marinai che avevano avuto l’avventura di doppiare Capo Horn, i così detti “CapHorniers”, alla Francese.


(a destra: un vecchio veliero doppia Capo Horn
)

Ed in effetti la Francia su certe cose è sempre stata all’avanguardia, nel riconoscere il diritto all’unione matrimoniale tra copie gay…, come nella pratica della navigazione a vela, sfruttando al meglio le sue due grandi, impegnative palestre di pratica velistica:
le coste della Normandia, cioè lo sbocco nell’Atlantico del Canale della Manica ed il non meno impegnativo Golfo di Biscaglia, dove l’Oceano scatena spesso la spinta terminale dei suoi marosi tempestosi.
Non a caso nella Manica, tra miriadi di pericolisissimi scogli e secche affioranti,nebbie intense ed improvvise, la Francia ha la sua mitica scuola di vela, i famosi “Glenans”, la più famosa e rinomata al Mondo.

(sopra: la "rotta dei Clippers" intorno al mondo)

Ma la storia di “Aglaja”è ovviamente assai minore ed altra cosa, se pur ricca di annedoti e curiosità sorprendenti: un piccolo Cat Boat in legno massiccio, cabinato tosto, affidabile e ben invelato che in oltre 40 anni passò di mano tra diversi proprietari, cambiando anche tipo di armatura e navigando dalle Baleari ai laghi Lombardi, al Po’, all’Adriatico, alle isole Cornati della Dalmazia…

Come racconterò nella prossima puntata.

The lonely dolphin




















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