giovedì 26 maggio 2016

MOMENTI FELICI DELLA MEMORIA 3^ Parte (1961 - 1966)
Padova, Prato della Valle.

A fine Settembre del 1961 arrivai a Padova iniziando così un nuovo, diverso tipo di vita.
Compiendo 20anni ero ormai ufficialmente entrato nell'età adulta, anche se da adulto vivevo e mi comportavo ormai da almeno un paio d'anni.
Ma dovevo ora risolvere l'impasse, fisica e mentale, dell'esaurimento che aveva caratterizzato i miei ultimi mesi di vita a La Spezia.
A causa di una ripetuta frattura a un piede avevo smesso ogni attività sportiva ed ero finito in forte sovrappeso, ed un breakdown nervoso mi aveva apannato lucidità e brillantezza.
Fu un periodo di solitaria riflessione, in cui cercai di riorganizzare me stesso, i miei programmi di vita, cercando nuove vie e stimoli per ricostruire motivazioni e target esistenziali.
Padova era la prima città lontana dal mare in cui mi capitò di vivere da quando avevo 5 anni, ciò che mi creava qualche problema di orientamento spaziale.
Essendo sino ad allora sempre vissuto in città di mare (Genova, Civitavecchia, La Spezia), avevo invalsa l'abitudine di muovermi pensando "da quale parte fosse il mare". Ma come già avevo fatto a Roma, Milano, Torino, occasionalmente frequentate, mi procurai una buona mappa della città e mi risolsi ad usare i punti cardinali in aggiunta ai monumenti di riferimento.
Tracciai idealmente una lugna linea che attraversava Padova, dalla Stazione Ferroviaria, accanto alla quale abitavo, da Est ad Ovest: C.so del Popolo, i giardini con la Cappella degli Scrovegni, piazza Cavour, il Pedrocchi, il Bo (Sede dell?Università), via Roma, Prato della Valle ecc...fino al piazzale Santa Croce, oltre il quale si usciva verso il Bassanello e La Paltana, con la piscina della Rari Nantes in riva al torrente Bacchiglione. Ad Est, oltre la Stazione c'era invece il grande quartire dell'Arcella, con il campo di atletica.
Questo era il mio nuovo mondo.
Ma i miei veri problemi di orientamento riguardavano invece le istanze di vita, il mio futuro, che cosa volevo fare "da grande" ?
Per inciso ciò che intendo fare "da grande" non l'ho deciso ancora adesso, dopo 55 anni...!
Mappa di Padova centro, da c.so del Popolo a Prato della Valle.

  Per prima cosa mi attivai perrecuperare una buona forma fisica e mentale. Alla biblioteca comunale trovai in prestito un libro che parlava di diete, "come dimagrire" e cominciai a farmi un'idea circa i canoni di una corretta alimentazione. Oggi esistono valanghe di testi, intere sconfinate biblioteche che parlano dell'argomento, ma nel 1961 l'argomento era del tutto marginale. Tra i 18 ed i 20anni ebbi un peso forma che si aggirava attorno al quintale, più che meno, con una "massa magra" di circa 90 kg., costituita da una potente e dinamica muscolatura che mi permetteva di eccellere nei lanci, ma anche di correre i cento piani in meno di 12" e di saltare oltre 1,60 cm. in alto.
Ma ora avevo strabordato oltre i 120 kg., davvero troppi, anche per la mia alta statura e la mia ampia struttura scheletrica.
Iniziai così un tentativo di dieta ferrea, con attività fisica, ginnastica da camera e lunghe camminate quotidiane. Camminare a lungo mi dava euforia (probabilmente grazie all'attivazione di endorfine), mi aiutava a bruciare calorie, persistendo per ottenere tangibili esiti ai controlli quasi quotiziani sulla bilancia automatica della stazione, vicino a casa.
In sei mesi riuscii a perdere, non senza fatica, 30 kg., un quarto del mio peso.
Persi ovviamente anche parte dell'eccessiva massa muscolare, realizzando una profonda trasformazione del mio fisico, che cesellai nell'estate del 1962 tornando al nuoto agonistico con la Rari Nantes Patavium. Raggiunsi una forma strepitosa e risultati agonistici di qualche spessore.
Il mio sopranome era allora diventato quello di "Nembo Kid" (Il nome iniziale del Superman dei cartoons), attribuitomi da ragazzine mie fans, che venivano a vedermi gareggiare gridando "forza Nembo Kid!" e con quel nome mi salutavano incrociandomi per strada.
Mi chiamavano Nembo Kid...

Ma nel frattempo avevo anche iniziato a lavorare e mi ero iscritto all'università.
Iniziò anche il periodo degli amori, i flirt con le fanciulle, i festini casalinghi, le esaltanti feste goliardiche nella Padova universitaria dei "gran dottori", le discoteche, site sopratutto nella vicina zona termale di Abano Montegrotto.
Finii presto "fidanzato", cotto ed arapato per circa 5 anni, con una ragazza padovana per cui provavo forte trasporto, ma che fù infine ostacolato da vari problemi, in parte caratteriali, in parte alla contrarietà della famiglia di lei. Ne valse a risolverli il fatto che io riuscissi poi a sistemarmi con un occupazione più che adeguata, stabilendomi a Padova dopo che i miei genitori erano altrimenti tornati a Genova. ma non anticiapiamo gli eventi.
Padova, il Veneto...gente ospitale e "paciosa", fondamentalmente cortese e  perlopiù sincera, ma fortemente ancorata, sopratutto allora, al conformismo.
Comunque allegra e laboriosa. Ambito in cui mi trovai facilmente inserito.
Scoprii le montagne alpine, lo sci, le lunghe spiagge piatte e sabbiose, talora perfino deserte dell'Adriatico. L'incredibile fascino di una Venezia non ancora contaminata dal turismo di massa, la dolce bellezza della marca trevigiana, le colline prealpine del vin bianco, e località meravigliose, da Marostica a Bassano, Asolo, Montebelluna e le ville palladiane sino a Conegliano, la riviera del Brenta, i Colli Euganei...
E lee dolomiti ! Cortina d'Ampezzo, i boschi del Cansiglio ecc...ecc.. Tutti luoghi in cui per anni ebbi anche la fortuna di girare per motivi di lavoro.
I Colli Euganei, che più tardi divennero mia dimora ed occasione di piacevoli escursionisti: Abano e Montegrotto, Teolo, i monti Rua e Vendola, ed a seguire i colli Berici vicentini.
Flash della memoria: tiepide notte d'estate, un fresco venticello salmastro ci accarezza, teneramente abbracciati in cima al campanile di San Marco. 
Sotto di noi, tutt'intorno, la splendida Venezia, la sua laguna, brillanti di luci nel trasparente chiarore della limpida serata.


Capodanno 1961, ristorante al Cavallino Bianco a nord di Treviso, entrambi la con le rispettive famiglie ed amici, tutta la sera abarbicati a ballare romanticamente, con Francesca, diciasette anni, slanguide musiche tipo "...dimmi quando, quando, quando...".
Capodanno 1962, una baita montana sull'Altipiano di Asiago, la dolce musica romantica, il tepore del grande camino, tutta la gioia e l'illusione della nostra imperdibile giovinezza, languidamente abbracciati in lente movenze, ebbri d'amore, di sana, appagante stanchezza per la giornata trascorsa sulla neve, al sole, nell'aria frizzante, profumata di pinete. 
Il mare di Caorle, le lunghe nuotate, i giochi nell'acqua, le passeggiate la sera, i baci apassionati, i corpi vibranti, frementi di desiderio...
Al Moulin Rouge, grande "dancing" di Jesolo, lunghe notti di ballo, alternando ritmi agitati di frenetica allegria con la dolce "mattonella", i corpi incollati ed arapati dall'inesorabile spinta di un romanticismo fortemente caratterizzato dalla travolgente spinta ormonale di tutta la nostra intatta, esuberante giovinezza.
I "dancing" di Abano e Montegrotto, il Rastua, il Settimo Cielo, il San Daniele...Con noi sempre dolcemente arapati, fusi in un unico corpo, fingendo di ballare al suono di musiche e canzoni di quel lontano passato: Peppino di Capri, Fred Buongusto, Gino Paoli, Bobby Solo, Luigi Tenco, la Spaak, Vianello, Battisti, Mina, Venoni, Donaggio, Adamo, Roberts, Vecchioni...e gli struggenti arrangiamenti di Papetti.

E tutti i posti in cui ci infrattavamo per...approfondire i nostri sensi: gli argini boscosi di Brenta e Bacchiglione, la cave deserte dei Colli Euganei, i prati di Pianezze, sopra Valdobiadene, gli arenili deserti di Caorle, oltre il fiume Livenza, non ancora lotizzati dal Porto Santa Margherita, perfino la pineta di Ravenna...e l'enorme abitacolo della mia Opel Rekord 6 posti con cambio al volante ed il mio piccolo ma ospitale monolocale di via Ognisanti...

Ma riuscivo a godere anche dello sport, senza più lostress del periodo spezzino, quando volevo  diventare un campione.
Ora mi divertivo a nuotare, gli allenamenti alla Rari Nantes non erano allora ancora estremizzati come poi divennero negli anni successivi, massimo 3 - 4 km al giorno, con tanto interval training che la fatica la implicava comunque...E alla fine dell'allenamento, mi sentivo forte e sano come un dio immortale ! Nella velocità divenni in zona uno dei più forti, stilelibero e delfino, ma fu un vero peccato che allora le gare ufficiali non prevedessero ancora la distanza dei 50 mt., in cui realizzavo tempi che mi avrebbero portato alla ribalta nazionale ! Comunque nel 1965, richiamato all'agonismo dopo che avevo l'anno prima abbandonato, raggiunsi il massimo della forma e vinsi il campionato italiano a squadre di Nuoto Salvamento, insieme a Dario Delfino e Dino Silvestri (amico e poi collega di lavoro, purtroppo recentemente scomparso).
Episodicamente ritornai anche all'Atletica, gareggiando in campo universitario con il CUS Padova, riuscendo a vincere qualche gara provinciale e perfino una gara nazionale di lancio del disco a Roma, stadio dei marmi, ma solo perchè non c'erano i più forti...
Nel 1964 partecipai improvisando ai campionati Italiani Universitari all'Aquila, nuotando i 100 stile libero in poco più di un minuto, essendo totalmente privo di allenamento. 
Mi aiutò la temperatura dell'acqua: 16° ! Durante la notte si era allagata la caldaia che riscaldava l'acqua e la piscina si era mezza svuotata per la rottura di un oblò sommerso...( era Aprile e l'Aquila si trova ad 800 mt. s.l.m.).
La nuova vasca olimpica della Rari Nantes Patavium nel 1965.

In tutto questo trovavano spazio anche gli esami all'università e svariate, iniziali formative esperienze di lavoro.
Nel'62, prima ancora di compiere 21 anni, con mio fratello Mario che ne aveva solo 17, dopo aver affiancato nostro padre, agente per il Veneto di primaria fabbrica di autogru, iniziammo ad andare in giro, tentando di procacciare nuovi clienti. Conoscevamo sommariamente i prodotti, le loro caratteristiche tecniche ed i punti di forza delle argomentazioni di vendita, essendo comunque digiuni di qualsiasi precedente esperienza di lavoro. Facevamo tuttavia buon affidamento su ciò che avevamo appreso da nostro padre accompagnandolo dai principali clienti. Inoltre avevamo presenza ed eloquio, sembrando entrambi assai più maturi delle nostre età reali. 
Ma presto, non ricordo perchè, passammo entrambi ad altri lavori:
la vendita di libri porta a porta, la mitica enciclopedia per ragazzi "Vita Meravigliosa", 40milalire pagabili comode rate mensili. Tipo di esperienza assolutamente fondamentale per chiunque voglia dicventare un "venditore", comunque un commerciale ! Poi macchine da scrivere, macchine da cucire, le solite polizze assicurative ecc...ecc...
Enciclopedia "Vita Meravigliosa"

Nel'63, non ancora 22enne, giravo Padova e provincia a bordo di un grosso furgone Fiat, reclamizzato Perugina, in qualità di subagente di quella nota marca dolciaria, con l'incarico di piazzare ovunque fosse possibile, bar, pasticcerie, trani ed osterie, cinema e drogherie, la nuova linea di Prodotti da Banco Perugina, a aprtire dai mitici Flippers, allora in fase di lancio.
Ricordo come il mio giovanile, vergine entusuasmo mi sostenesse nel riuscire a piazzare un set di prodotti perfino sui banchi delle più sperdute osterie della nebbiosa campagna padovana, dove allora si mescevano unicamente "ombre de vin", calici di "spritz" e grappini, eventualmente accompagnati dall'immancabile "uovo sodo". Ma la grande delusione mi aspettava al successivo passaggio, dopo una o due settimane, quando invece di reintegrare, magari allargando la gamma dei prodotti venduti, trovavo ancora tutto intatto quel che avevo lasciato.

E la povera esercente che con rassegnazione mi diceva: "ghe avevo dito mi, questi ne i xe posti per ste robe, che i ga dentro gnianca un pò de alcool". Ed in effetti si vendeva, e non solo in quei trani, solo la concorrenza dei cioccolatini di Ferrero,  con dentro la ciliegina al "liquore"...
Dopo l'estate, conclusa l'esperienza Perugina, che mi richiedeva assai più impegno di quanto non mi rendesse in provigioni, passati un pò di esami all'università, mi risolsi a cercare qualcosa di  più concreto ed attendibile. Come al solito risposi ad un pò di annunci economici, ricordandomi di essere immeritatamente in possesso anche di un diploma di ragioneria.
La locale agenzia dell'API (anonima petroli italiana, quella del cavallino nero) cercava un amministrativo. Ma il direttore sig. Padovani, gentiluomo scafato di lunga esperienza, mi inquadrò subito e dopo essersi informato sul mio curriculum mi disse, così a bruciapelo: "Ma lei vuole davvero fare il ragioniere ?". Al che d'istinto risposi dicendo il vero: "nenache un pò !".
Si mise a ridere e mi assunse, seduta stante, come funzionario commerciale, addetto alle vendite di carburanti e lubrificanti, nonchè al controllo di qualche decina di punti vendita (stazioni di servizio), sparpagliati nelle province di Padova, Vicenza, Rovigo e Belluno.
Iniziai così  la mia decennale esperienza nel settore Petrolifero, che alla lunga costitui ottima scuola di formazione "marketing oriented" ed infine utilissimo trampolino di lancio verso successivi incarichi di lievllo, sia professionali che economici.
"Volare con API"

Ma i miei primi passi con quella società non furono esattamente fortunati: dopo pochi mesi l'ottimo direttore Padovani che mi aveva asunto morì e fu rimpiazzato da un quaquraqua, campione di opportunismo, compromessi e contradizioni, con cui venni inevitabilmente in contrasto e dovetti infine lasciare.
Racconto la storia della mia esperienza nel settore petrolifero nel post: "Oro nero" della serie "Business&Administration - Dilettanti allo sbaraglio", su questo stesso blog, ed è una delle più visitate, con oltre 500 contatti. Chi volesse può provare a leggerla su:  http://swimmingeorge.blogspot.it/2011/07/oro-nero.html

A questo punto si apre una triste pausa nella cronolgia dei miei "Momenti Felici...", un paio d'anni duri e pesanti, fatti di avvilimento, indigenza, inadeguatezza, povertà ed anche perfino un pò di fame. Situazione alla quale tutti in famiglia, per quanto sofferti, riuscimmo poi comunque a reagire al meglio, superandola infine alla grande. Per me fu poi un'occasione impagabile, come scuola di vita, da cui uscii temprato ed attrezzato per le successive battaglie esistenziali, che mi riservarono comunque, anche nelle immancabili e reiterate difficoltà, sempre migliore fortuna di quanto in quel frangente non avessi trovato.
Era il solito guaio, quello che ancora non conoscevo e che in quella occasione imparai assai amaramente. Mio padre, eccezionale ed abilissimo uomo d'affari, che già era stato "ricco" oltre 15 anni prima, neppure trentenne, si era per l'ennesima volta rovinato (ma poi continuò a farlo fino al termine dei suoi giorni) con il maledettissimo gioco d'azzardo ! Racconto mio padre, bell'uomo, aitante, con grande cherme e savoir faire da vero signore, genitore irreprensibile ed uomo di grandi virtù...ed un terribile vizio, lo racconto in una serie di post su questo stesso blog a partire da
http://swimmingeorge.blogspot.it/2011/05/pericle-5-parte.html
e andando indietro (post più vecchi).
Il Casinò di Venezia al Lido
 Quella volta, in più riprese si era giocato al Casinò di Venezia un bel pò di "milioni" di allora, corrispondenti a svariati anticipi incassati da clienti cui aveva venduto le costose autogru della fabbrica di cui era agente. Anticipi che aveva tutti distratto dall'invio alla casa madre.
Fu la rovina, forse peggiore delle tante altre in cui era finito e da cui incredibilmente era risorso, eterna araba fenice.
Così a 23 anni (ma mio fratello ne aveva 19 e mia sorella 15...) imparammo
dolorosamente che c'era un'altra persona in famiglia, che coabitava nella mente di nostro padre, ed era una persona molto pericolosa per se e per gli altri. In qualche modo aiutati da parenti ed amici, vendendo una parte dei mobili, nel 1964 tornammo a Genova, quasi di soppiatto, con la coda tra le gambe e. la disperazione nel cuore. Mio fratello, che era già molto fidanzato 
e riusciva a cavarsela lavorando in qualche modo, si fermò a Padova dove poi rimase per sempre. Anch'io, che ero fidanzato con una ragazza del luogo, dopo qualche mese tornai a Padova, dove mi ingegnai a fare qualsiasi lavoro.
Anch'io vivevo in camera d'affitto e mi arrangiavo come potevo. Tornai a vendere libri, fui agente dell'American Encyclopedia, ma con scarso successo, feci il venditore e propagandista di cosmetici fasulli reclamizzati su Reader Digest...Infine un piccolo colpo di fortuna: fui assunto come contabile presso la filiale padovana della Lavazza (allora leader per il caffè). Lo stipendio non era gran che, ma mi permetteva di sbarcare quasi decentemente il lunario.
Ma anche il quel periodo negativo non mancarono momenti piacevoli, talora esaltanti. Innanzitutto realizzai la migliore forma fisica della mia vita.
Il caffè Lavazza
Che che se ne dica la "fame" aiuta ! Riuscendo poi a praticare il nuoto a livello agonistico avanzato (fu in quell'estate del 1965 che divenni campione italiano di Nuoto Salvamento) arrivai a portare sui blocchi di partenza 84 kg. di muscolatura, ben scolpita su 184 cm. di statura, con una massa "magra" da triatleta professionale (95%). Il mio sopranome in quel periodo era 007.
In piscina dove mi allenavo e sulle spiaggie al mare dove episodicamente andavo con la morosa, talora ospite della sua famiglia, svariate fanciulle mi puntavano, ma spesso anche le loro madri...
Ed a quella condizione fisica corrispondeva uno stato mentale di quasi eterea, estatica rassegnazione, che mi permetteva di abbandonarmi totalmente all'attimo fuggente, fosse una corsa sulla spiaggia, il relax nel caldo bagnasciuga salmastro, cullato dalle onde, un rapporto amoroso, del buon cibo nutriente (che solo se invitato da qualcuno potevo permettermi), la lettura di un romanzo, la visione di un bel film di seconda o terza visione in un cinema di periferia.
Ma alla fine del'65 mi risolsi di tornare a Genova, avendomi mio padre proposto di andare a lavorare con lui, avendo lui fortunosamente ricevuto l'incarico dal suo vecchio amico Novelli di aprire e gestire il nuovo Salone Mercedes, la Superga, in corso Europa.
Molto mi spiacque allontanarmi dalla morosa Padovana, ma in Lavazza non vedevo prospettive, il lavoro essendo monotono e quanto di più lontano dal mio carattere e dalle mie aspettative. Partii promettemdo comunque che in qualche modo sarei tornato. 
L'unica possibilità di farlo era però allora la Marathon Oil, con il cui direttore della filiale padovana del Veneto avevo già avuto un paio di colloqui.
Al termine dei quali lui mi aveva confermato di essere  propenso ad assumermi come funzionario addetto alla rete di distribuzione, con mansioni ispettive, ma che al momento era bloccato da una situazione interna alla filiale che gli impediva di farlo. "Se e quando si sbloccherà provvederò a contattarla". 
Il salone Mercedes di c.so Europa, 1965

A Gennaio del 1966 tornai a vivere con i miei e a lavorare per la Mercedes Benz, un pò in via Rimassa con Armando Novelli, un pò in corso Europa con mio padre. Il quale per l'ennesimo volta dimostrò le sue eccezionali capacità d'imprenditore commerciale, lanciando la filiale al massimo dei risultati, superando di gran lunga la Concessionaria di via Rimassa e divenendo uno dei migliori gestori italiani, con incrementi di vendita mai prima registrati da chicchesia. Avendo la fortuna di stargli accanto ebbi modo di imparare qualcosa della sua bravura, il modo di approcciare i clienti, con grande nonchalance ed apparente signorile distacco, con la verve e la simpatica ironia che gli erano proprie. E l'assidua determinazione nel lavoro, mai contento dei risultato ottenuti, sempre intento a studiare nuove vie di 
contatto con la clientela potenziale e ad attivarsi per farle divenire 
occasioni di successo. Mentre in via Rimassa, come sicuramente altrove, ci si aspettava che arrivassero i clienti per poi approcciarli quasi con sufficienza, in maniera piatta e quasi inospitale.
Nervi, il mare sotto la passeggiata.

Nel tempo libero continuavo a fare sport, di nuovo l'atletica, un pò di rugby, di nuovo la pallanuoto...Ed il mare, le scogliere di Nervi da cui mi tuffavo senza remore, perdendomi poi in prolungate immersioni in apnea ed in lunghe nuotate. Ma spesso scappavo a Padova, a trovare la morosa, magari facendo l'autostop all'ingresso delle autostrade, che risparmiavo i soldi del biglietto e qualche volta facevo anche prima.

A Maggio del 1966 ero seduto alla scrivania, di fronte alle grandi vetrate che davano sul corso Europa, nel salone che esibiva le costose auto Mercedes. 
Ero solo, nel caldo pomeriggio assolato, quando arrivò la telefonata che avrebbe cambiato la mia vita, il mio futuro.
Era il comnadante Rolando Ronconi, direttore della Marathon Oil veneta, che mi chiamava da Padova. La situazione si era sbloccata, io ero ancora interessato e disponibile ? Mi fissò un appuntamento al lunedì successivo per definire la mia assunzione.
Ero al settimo cielo ! Dopo tanta sfortuna e soluzioni di ripiego ecco finalmente la mia grande occasione ! Subito telefonai la meravigliosa notizia alla morosa padovana e poco più tardi, essendo ormai l'ora di chiusura, salii in casa dai miei (abitavamo l'appartamento soprastante il salone) per comunicare l'eclatante novità.
Nei giorni seguenti mi dedicai a ripassare tutte le mie cognizioni in materia petrolifera: realizzazione, normative e gestione dei distributori, caratteristiche tecniche dei prodotti ecc...E dedicai intere giornate a rimettere a nuovo una Fiat 1.100 TV usata che già avevo deciso di acquistare a prezzo di favore dall'usato del salone.
Fiat 1.100 TV bicolore anni 50-60

Partii per Padova come se andassi alla conquista del mondo e ne ritornai come se lo avessi conquistato ! L'incontro con il "Comandante" Ronconi non poteva andare meglio: mi presentò allo staff della sua filiale, sita in bellissimi uffici nel nuovissimo centro direzionale di largo Europa, giusto sopra le Porte Contarine, di fronte al ponte del Bacchiglione ed alla Cappella degli Scrovegni. Il mio stipendio era più del doppio di quanto non guadagnassi sei mesi prima in Lavazza, moltiplicato per 16 mensilità ! Inoltre prevedeva lauti rimborsi per pranzi, colazioni e pernottamenti, spese varie e rimborsi chilometrici per l'auto, che veniva comunque assicurata dalla ditta.
Superai alla grande un'approfondita visita presso il medico di fiducia del Comandante, che si complimentò per il mio fisico: "lei è sicuramente un nuotatore" specificò, dandomi un colpo secco con il taglio della mano alla "tartaruga" degli addominali (ma poi seppi che già era stato preavvertito da Ronconi, che gli aveva telefonato: "Le mando un atleta, un campione di nuoto"). 
Più tardi a pranzo, in una trattoria di mezza campagna in direzione Colli Euganei, festeggiavo la mia assunzione con la morosa, entrambi felici di ritrovare una nuova insperata prospettiva di vita comune.
Nel pomeriggio viaggiando verso Genova, nel lungo itinerario delle statali padane inferiori che vanno da Padova a Legnano, Mantova, Cremona, Piacenza, Voghera...fui colto da temporali ormai di tipo estivo, cui seguiva lo splendido sereno del tramonto. Nel mentre che alla radio i Rokes cantavano
le parole di Mogol "E' la pioggia che va...e ritorna il sereno..." ed io con loro, a squarciagola, mentre guidavo,  felice per quell'ampia, magnifica visione di sereno che si apriva ora sulla mia vita.
E ritorna il sereno...

Fine della terza parte.

the lonely dolphin 

P.S.: il Comandante Ronconi era un vero "leader", un manager di grandi carisma e capacità mi fu maestro ed in certi momenti quasi tutore (aveva la stessa età di mio padre). Era stato Camndante della Marina Militare durante la seconda guerra mondiale, facendo parte della eroicamente famosa Decima Mass. Decorato per meriti bellici era sopravissuto ad un naufragio nel mediterraneo, dove era stato abbattuto con il suo idrovolante.
Uomo risoluto ed esigente era comunque obbiettivamente comprensivo e perfino protettivo nei confronti dei suoi collaboratori.
Aveva sposato una nobile veneziana, aveva tre figli, un grande appartamento a Venezia ed una bella villa a Padova, vicino all'areoporto, nonchè uno splendido chalet a San Vito di Cadore.
Si diceva che tanto era duro e risoluto nel lavoro, tanto invece fosse tenero e permissivo in famiglia. Sulla sua scrivania ricordo che aveva una foto dei figli, la più piccola dei quali, allora neppure decenne, era Susanna...
Susanna Ronconi, poi divenuta tristemente famosa come brigatista rossa ! 
v. su questo blog il post "Il comandante Rolando":

http://swimmingeorge.blogspot.it/2011/03/il-comandante-rolando_19.html
  




mercoledì 18 maggio 2016

MEMORIE DI UN FUTURIBILE OTTUAGENARIO 2^ Parte

 MOMENTI FELICI DELLA MEMORIA 

2^ Parte (1955-1961)

 Inalavo a pieni polmoni l'aria primaverile della campagna, a cento metri dal mare, ricca di vegetazione, di orti, di piante mediterranee, su tutto il forte sentore dell'erba cipollina. 
Un mix di aromi, che dilatando le narici frementi invadeva totalmente il torace, ora finalmente libero di respirare fino in fondo, al limite delle suo ben ampio volume.
Sedevo accanto a mia madre, in un assolato, tiepido pomeriggio, all'ombra degli alberi, nel giardino della Clinique Saint Juliene, una decina di chilometri da Marsiglia, accanto al piccolo borgo marinaro in cui era nato Don Camillo, cioè Fernandel, suo famoso interprete cinematografico.

Arrondissement de la clinique


Tre settimane prima mi avevano operato, sei ore d'intervento, per asportare un adenoma bronchiale che chiudeva il mio bronco principale sinistro impedendo ormai da anni a quel polmone di respirare. Mi avevano aperto il lato sinistro del torace (64 punti di sutura) divaricando le costole e scoprendo anche il cuore, con un intervento maxinvasivo che solo qualche anno dopo sarebbe stato possibile ovviare per via broncoscopica, in day hospital.
Ma la broncoscopia allora era appena stata inventata dal marsigliese proff. Louis Metra, colui che mi aveva appena operato con l'assistenza del dott. Attilio Ferraris, suo allievo, primo broncoscopista italiano, che nel 1953 mi aveva salvato la vita, finalmente diagnosticando la mia patologia, dopo anni d'infinite analisi, consulti, radiografie, tante da farmi quasi diventare radioattivo !

Ma allora la broncoscopia, grossomodo un tubo da idraulico da 3/4 di pollice che venva infilato attraverso gola, nella trachea sino ai bronchi, con una mera anestesia locale preceduta da un' iniezione di morfina*, permetteva giusto di "vedere", ma non d'ntervenire, in particolare controllando le inevitabili emoragie.
La grande differenza arrivò poi con le fibre ottiche, che permisero tutta una serie d'interventi affatto invasivi, in quasi ogni parte del corpo, tramite un minimo foro attraverso il quale  inserire strumenti sempre più miniaturizzati e sofisticati, come il laser.
Avevo 12 anni e da almeno 4 la mia giovane vita era stata progressivamente condizionata da problemi broncopolmonari, per risolvere paliativamente i quali c'era solo la pennicillina, arrivata in Italia solo da pochi anni, di cui io fui costretto a fare uso massiccio, con pesanti controindicazioni...
MA ORA RESPIRAVO ! ! !

MA ORA RESPIRAVO ! E lo facevo a pienissimi polmoni !
Già pochi giorni dopo l'intervento il test dello spirometro aveva verificato il grande margine di miglioramento avvenuto dopo l'operazione, con mia grande gioia, a conferma della mia già meravigliosa sensazione di 
                        respirare"fino in fondo"!
Dopo un'altra settimana di fisioterapia e controlli, in totale rimasi a Marsiglia un mese, me ne ripartii dalla Clinique portandomi da solo la valigia, ben orgoglioso di farlo, 
essendovi giunto altrimenti debole ed asfitico.
Qualche mese più tardi già mi godevo finalmente il mare genovese, iniziando a nuotare da autodidatta il crawl nella nuova piscina da 25 mt. del sempre "nuovo Lido D'Albaro.
La vecchia piscina del Lido

L'anno seguente, a 13 anni, essendo sviluppato e cresciuto ben oltre i 170 cm di altezza, diventai il capitano della squadra di calcio della mia classe presso lo Champagnat dei fratelli Maristi: in una sola partita avevo segnato 5 gol e, sostituendomi al portiere, parato 2 rigori ! Io che per anni avevo dovuto guardare dalla finestra di casa i miei coetanei che giocavano a pallone.
Salivo e scendevo dai tram in corsa, saltavo il muro di cinta della scuola per non fare il giro da via Cavallotti, ero il primo nella risalita alla fune, il primo ad arrivare in cima alle colline, nelle gite ai Forti genovesi organizzate dai maristi.
Lo Champagnat dei Maristi com'è oggi.

Ricordo ancora il senso di totale pienezza, di salutare autonomia esistenziale, che provai qualche giorno prima di Pasqua, facendo a piedi un lungo giro delle sette chiese, a bordo di un paio di scarpe nuove fiammanti: l'aria che ora riuscivo ad inalare mi faceva sentire davvero come se indossassi gli stivali delle sette leghe, già tanto ambiti  dalla mia immaginazione infantile (v. prima parte delle Memorie).
Santa Marinella, la spiaggia del lido.

Nel 1955 ci trasferimmo sulla costa laziale, a Santa Marinella e Civitavecchia, dove trascorsi due estati indimenticabili. Avevo 14 anni e sentivo il mondo nelle mie mani, superavo ormai il metro e ottanta di statura ed ero molto portato per gli sport. Iniziai con il pugilato, di nascosto dalla famiglia, almeno finchè mi ruppero il naso (faceva parte dell'iniziazione). Così che poi i miei genitori mi deviarono a far pallacanestro e successivamente nuoto.
Facevo anche lunghe nuotate in mare, spingendomi ampiamente verso il largo, nel caldo mare di Santa Marinella, temendo unicamente l'incontro con le meduse. Sempre da autodidatta avevo ben perfezionato il mio crawl e fendevo l'acqua con lunghe, instancabili bracciate. Con la maschera mi immergevo ad almeno 12 metri di profondità e con il "pattino" (a Genova lo chiamavamo moscone) non mi stancavo mai di remare.
Le dolci, inebrianti serate sul lungo mare, sognando Scilla, avvenente ragazzina mia coetanea, già cortegiatissima ed ambita da tutti, ma che io, più imbranato che timido, non avevo il coraggio di approcciare !
Scilla, come mi apparì la prima volta.

E la sala attrazioni di mio padre, accanto al cinema estivo dell'arena, dove all'occorrenza lavoravo anche fino a tardi, talora stando alla cassa, ma sopratutto come adetto al tirasegno. Ma ero anche in grado d'intervenire,  se pur modestamente, sul funzionamento dei flippers e degli altri svariati giochi elettrici a fotocellula.
Ogni mattina c'erano gli allenamenti in piscina, nella vasca da 33 mt. sul lungo mare di Civitavecchia. Andavo bene sopratutto sui 200 e 400 mt., anche se avevo un ottimo spunto di velocità di base. Distanze per esprimermi nelle quali mi mancava però ancora un adeguata capacità di soffrire, riuscendo tuttavia ad ottenere tempi di buon livello per la mia categoria di età.
Mi capitò anche casualmente di gareggiare contro Giancarlo Pederzoli (poi divenuto famosissimo come Bud Spencer) sui 400 s.l., io l'ultimo dei pivelli, lui il grande campione, pluriprimatista (il primo italiano a scendere ufficialmente sotto il minuto nei 100 s.l.), reduce da un periodo di allenamento negli USA, che ci sbalordì esibendo la virata a capriola, che mai prima avevamo vista. Tutto ciò mi esaltava nel riscattare il mio recente passato di raggazzino sempre ammalato e sovrappeso.
La piscina di Civitavecchia oggi.

Ma quelli furono anche anni formativi per la mia crescita caratteriale ed intellettuale. 
A 15 anni frequentavo solo liceali più grandi di almeno 2 0 3 anni, che mi introdussero ad una maturazione  assai precoce. 
Un amico in particolare, compagno di nuoto e di rugby, mi iniziò al pensiero filosofico ed ai classici della letteratura mondiale, stimolandomi a considerare con la dovuta attenzione le opportunità che poteva offrirmi la mia biblioteca paterna, già ricca di opportunità, che io poi negli anni successivi provvidi ad arricchire con nuovi libri.
E quelle sere d'inverno, rincasando dalla palestra o dal campo di allenamento, ci attardavamo in lunghe escursioni sul lungo molo del porto di Civitavecchia, saltellando come caprioli sugli enormi blocchi di cemento frangiflutti, alla luce dei rossi fanali che ne tracciavano la diga, mentre quell'amico provocava la mia capacità di discernere e conoscere, istradandomi verso nuovi punti di vista in tema di etica morale.
Civitavecchia, il lungo molo del porto.

Ed io assimilavo, non senza criticare, mentre sentivo espandere la mia mente in nuove dimensioni, oltre il normale trend conservatore che l'educazione familiare, scolastica e sopratutto religiosa mi avevano sino ad allora imposto. E tutto ciò mi rendeva l'eclatante sapore della conquista e dell'emancipazione !

Nel 1957 tornammo in Liguria, a La Spezia, dove potei vivere gli anni della spensierata adolescenza nel fantastico contesto naturale che dal Golfo dei Poeti si estende verso le Cinque Terre a Ponente e Bocca di Magra a Levante. Ci arivammi a Gennaio, con l'aria frizzante dell'inverno che rendeva più terse le immagini, più vivaci i colori, del magnifico scorcio del Castello di Lerici, la chiesetta sul promontorio di Portovenere, la prospicente Isola della Palmaria e l'azzurrissimo mare, profumato di...mare.
Lerici: la spiaggia del Lido che io frequantavo e di fronte il Castello.
Visuali ed odori che i miei sensi ora intorpiditi dall'età, non mi permettono più di cogliere, ne oggettivamente credo siano più come allora, offuscati dal deterioramento del clima, dall'inquinamento, dall'eccessivo affollamento di gente, auto, navi, vaporetti, barche da diporto...
Per cinque anni, dai 16 ai 20 compiuti, in Primavera ed Autunno, spesso nel pomeriggio doposcuola, me ne andavo a Lerici, al Lido, oppure alla Baia Blu, per farmi ricche se pur fredde nuotate nel mare azzurro.
Cartolina dei "miei tempi": la passeggiata ed il Castello.

D'Estate ogni giorno nuotavo due volte, andata e ritorno (in totale 2 km e mezzo) dai bagni del Lido al Molo sotto il Castello, spumando bracciate vigorose e talora facendomi rimbrottare dalle sirene dei vaporetti di linea, da e per La Spezia e Portovenere, cui mi occorreva incrociare la rotta...E sotto il Castello facevo regolare allenamento di nuoto, nel campo di gara allestito lungo il molo tra due pontili gallegianti, come allora si usavano fare tutte le squadre di pallanuoto, quasi tutte giocatrici della serie "A", l'unica e più vicina piscina essendo quella di Genova Albaro, lontana oltre 100 km.
La sera ero inebriato di mare, di sole, di sale, che neanche più avevo voglia ne forze per lo struscio di "vasche" nella centralissima via Chiodo, all'inizio della quale abitavo, sopra piazza Italia.
Via Chiodo, i portici delle "vasche".

Mi divertivo anche con le immersioni subacquee e feci anche il corso per sub, indetto dalle officine Galeazzi, costruttrici di erogatori, bombole, materiali per le immersioni. 
Sperimentai anche un po di canottaggio: un amico, che non riusciva a trovare un compagno di voga della sua taglia, mi convinse ad affiancarlo sul 2 con, in quello sport durissimo ma esaltante. 
Partendo dalla sede della Cannottieri, accanto al molo Italia, aspettavamo la partenza del motoscafo di linea per Lerici, ingaggiandolo in una strenua gara, lunga ben 4 km., sino alla diga foranea del porto di La Spezia, menando palate alla morte, finchè tagliavamo il traguardo sempre primi, 
anche se vicini a morire per la terribile fatica.
Il Golfo dei Poeti, da Lerici a Portovenere e le isole di Palmaria e Tino.

Mi divertii molto anche con l'Atletica Leggera: arruolato dal Proff di ginnastica che mi indirizzò ai lanci, divenni presto campioncino locale di getto del peso e del disco, vincendo i campionati provinciali studenteschi, oltre a tutta una serie di gare, che mi collocarono tra i più forti lanciatori Juniores nazionali, per cui fui ripetutamente chiamato a fare i collegiali presso i nuovissimi impianti delle Tre Fontane, nella Roma Olimpica del 1960. 
Portovenere, la chiesetta con dietro la grotta di Byron e le 5 Terre sullo sfondo.

Avere 18-19 anni a Roma nel 1959-60 ! Mi sentivo veramente al "top" ! Già conoscevo la città per averla episodicamente frequentata nei 2 anni vissuti a Civitavecchia, ma quella fu un occasione straordinaria per visitarla e per viverla, se pur marginalmente respirando l'aria della "dolce vita" allora di piena attualità.
Roma, Trinità dei Monti, la scalinata sui cui nel 1960 "abbordai"una coetanea svedese.

Gareggiando in giro per l'Italia ebbi anche modo di conoscere e perfino frequentare il meglio dell' Atletica di quei tempi, inclusi anche diversi campioni Olimpici e momdiali: Adolfo Consolini, Silvano Meconi, Carlo Lievore, Livio Berruti, Salvatore Morale, sono solo i più importanti che io ricordo. Ma in particolare mi piace ricordare Carmelo Angelo Rado, grande discobolo erede di Consolini, che ancor oggi, a ben 84 anni suonati, riesce ancora a lanciare il disco da 2 kg. verso i 40 mt. !!! (I miei tendini lesionati e la cuffia destra dei rotatori della spalla rotta non mi permettono oggi di arrivare alla metà !).
Rado, che dopo 56 anni lancia ancora !

Ricordo anche con piacere lo spezzino Manlio Cristin, compagno di tanti allenamenti, più volte campione e recordman italiano di lancio del martello. Ricordo quella volta che in allenamento al comunale, quello del calcio, sparò un lancio fuori settore spedendo la palla di oltre 7 kg oltre le tribune, fuori dallo stadio ! Noi presenti restammo ammutoliti, terrorrizzati, in attesa di udire possibili disastrose conseguenze...Per fortuna quella sparata era volata oltra la strada provinciale ed oltre i successivo fossato, finendo a schiantarsi contro i solidi contrafforti delle mura dell'arsenale miltare !
Il promontorio di Portovenere e la Palmaria, viste da sopra la grotta di Byron.
Vivere allora a La Spezia fu per me una sorta di magia, ingigantita forse dagli anni più belli, quelli dell'adolescenza. Gite, avventure, esperienze allora giudicate eclatanti... Una volta tre uomini in barca, quasi alla maniera di J.K.Jerome, passando con la nostra lancia a remi in una sorta di buco sottostante il molo fortificato, violammo l'Off Limit del porto militare, e mentre ce ne andavamo tranquilli gironzolando in mezzo ad incrociatori, cacciatorpediniere e dragamine, quasi fummo arrestati da un motoscafo di guardia della marina militare, che infine ci lasciò andare rendendosi conto di aver incocciato tre innoqui pirlotti diciasettenni...
Giancarlo Giannini.

Uno di quei tre mi convinse poi anche a seguirlo alla scuola di filodrammatica del Dopolavoro della Marina Militare, dove per qualche tempo mi dedicai ad imparare dizione e recitazione. Il docente era un ottimo attore di quei tempi, mi spiace non ricordarne il nome, ma ricordo benissimo invece l'allievo più promettente, Giancarlo Giannini, solo pochi anni dopo assunto al ruolo di protagonista in tanto sceneggiati TV ed in moltissimi film di grande successo. Giannini, che era anche primo cugino di Claudio Sottocorona, mio assiduo amico e compagno di atletica, in quegli anni spopolava in qualità d'istrione nello spettacolo teatrale di fine anno scolastico, allestito a mo' di rivista, ottenendo particolare successo tra le ragazzine, le studentesse che sbavavano per lui.
Il mio gruppo di amici allora includeva sopratutto compagni di scuola: Fulvio Rossi, Tullio Torri, Enrico Stellini, Giancarlo Maria Sassi..., che erano anche compagni di gite, escursioni, avventure, divertimenti, e molto anche di sport.
Fulvio Rossi, che ho recentemente ritrovato tramite Facebook, rimane nel tempo il mio più "antico" contatto extrafamiliare con il passato, ed avemmo ulteriori occasioni, poche sfortunatamente, di frequentazioni, avendo lui come me sposato una ragazza padovana ed essendosi trasferito in Veneto.
La Spezia, il viale delle palme lungo mare.

Anche con Roberto Jachia fummo buoni amici, gli unici due di tutto l'istituto che uscivano nell'ora di religione, lui perchè ebreo, io perchè dichiaratamente ateo. Almeno fintanto che non incontrai Padre Masnovo, un arguto domenicano professore di religione, il cui approccio didattico totalmente finii per condividere, in uno stimolante duello verbale di pensiero, perlopiù contrapposto, sui temi dell'etica, delle religioni, della morale. Ad innescare il quale ero normalmente io..., mentre lui sembrava non attendere altro ! Erano allora i tempi della felliniana "dolce vita" (film rigorosamente vietato ai minori di 18 anni), la senatrice Merlin aveva appena obbligato la gran massa dei pecoroni ipocriti del parlmento italiano a votare la chiusura delle case di tolleranza, il "libero pensiero" iniziava timidamente ad affacciarsi alla ribalta dell'attualità, sotto l'energica spinta di personaggi come Bertrand Russel, al cui famoso testo "Perchè non sono cristiano", giusto allora giunto alle stampe in Italia, io assiduamente mi documentavo, facendone la mia prima
Sir Bertrand Russell
ispirazione per i duelli verbali in classe con Padre Masnovo.

La mia idilliaca esistenza spezzina fu unicamente funestata dalla scuola, che io sempre frequentai con scarso interesse verso la maggior parte degli insegnanti e con poca propensione verso alcune materie, ottenendo il riscontro di alcuni giudizi scadenti, ma considerandomi non senza presunzione ottimo autodidatta, in grado di apprendere e capitalizzare assai di più altrove. 
Come poi riuscii a di dimostrare in ambito universitario e lavorativo, partecipando con successo ad un infinita serie di corsi professionali e divendo infine io stesso docente di successo, in particolare quale responsabile dell'addestramento di una società multinazionale del petrolio.

Alla fine del 1961 lasciai La Spezia, così come l'Atletica agonistica, senza grossi rimpianti, seguendo la mia famiglia a Padova. Un paio d'incidenti ed un forte esaurimento nervoso mi avevano reso meno sensibile al disagio per quel trasferimento che mi allontanava dai luoghi in cui avevo vissuto alla grande gli anni fevolosi della adolescenza ! Tempi che poi sino ad oggi mi fu sempre assai caro ricordare con grande piacere.

Fine della seconda parte.
The lonely dolphin


The lonely dolphin. 
* V. su questo blog:"morfinomane a 12 anni"
    http://swimmingeorge.blogspot.it/2011/06/morfinomane-12-anni.html







domenica 8 maggio 2016

MEMORIE DI UN FUTURIBILE OTTUAGENARIO



MOMENTI FELICI DELLA MEMORIA 
(ricordi di un futuribile ottuagenario)

Premessa:

Fra un paio di mesi saranno 75 e statisticamente avrò ancora circa 6 anni di vita,

(un battito di ciglia se commisurati agli ultimi 6 trascorsi…), se i dati demografici, da sempre in aumento, non avranno un ulteriore calo, come è stato per la prima volta testè evidenziato (una delle tante conquiste dei governi in corso, quelle di cui Renzi evita accuratamente di vantarsi ?).

A 75 anni entrerò ufficialmente nella “vecchiaia” conclamata, quella che va dai 75 agli 85 anni, con una probabilità del 50% di arrivare anche al successivo traguardo.

Secondo i parametri dell’OMS infatti si è “young old” dai 65 ai 75 anni, “old” dai

75 agli 85 e “old, old” dopo gli 85.

Confermo di non avere alcuna ambizione di longevità, restando mia massima aspirazione quella di ovviare in ogni modo il progressivo decadimento, soprattutto ed assolutamente il dolore e la mancanza di autonomia.

Continuare a vivere, comunque e ad ogni costo non è affatto nelle mie corde.
Mentre per altro faccio ogni sforzo per mantenermi vivo ed attivo.

Poi, si sa, spesso il lento e subdolo decadimento finiscono per “abituare” gli individui ad accettare via, via situazioni e condizioni sempre più carenti, altrimenti considerate

precedentemente come inaccettabili…Ciò che mi auguro vivamente non mi accada !

Ma sentendo comunque sempre più brevi i miei “giorni contati”, mi accingo a rievocare i ricordi più belli, quelli che io credo lo meritino, di una vita ormai lunga e ricca di esperienze.

Un po’ nel piacevole tentativo di riviverli, un po’ nella speranza di tramandare a figli e nipoti ciò che inevitabilmente appartiene anche ad un loro passato, in qualche modo ereditabile. 
Ma anche eventuali terzi, non direttamente coinvolti nelle mie tare, spero possano trovare una condivisione di appartenenza generazionale, culturale, perfino storica. Buona lettura.
 
Io con mio fratello Matrio 1946-47
PARTE PRIMA (i primi dieci anni)

I miei primi, più lontani ricordi, risalgono al ’43-45, quando eravamo sfollati a Busalla, nell’entroterra dell’Appennino Ligure. I miei giovanissimi genitori erano assai fortunatamente riparati nella villa dei marchesi De Ferrari, una grande casa stile ‘900, con ampio parco collinare, ricco di grandi pini ombrosi e di verdi prati degradanti sino all’accesso carrabile, sito giusto all’ingresso del paese.
Villa Marchesi De Ferrari-Busalla

Tutto a nostra disposizione, forse più lasciato in custodia che non locatoci dai nobili proprietari riparati all’estero (Svizzera ?).

A Busalla c’erano poi diverse ville “di campagna”, appartenenti alla “Genova bene”di proprietari colà rifugiati, ad evitare i bombardamenti aerei e navali cui la città era costantemente sottoposta. Si era così formata una comunità di persone, forse previlegiate, che riuscirono a trascorrere quegli anni terribili in una sorta di oasi, che fu solo talora appena sfiorata dagli eventi in corso.
Lidia, mia madre, come era allora.

Ciò almeno è nella mia memoria. Mio padre, allora 25enne, era esentato dal servizio militare a causa di un grave incidente occorsogli all’inizio della guerra, ma io ricordo anche la costante presenza di suoi coetanei, che non saprei come giustificare.

Ogni tanto passava “Pippo”, il caccia da ricognizione, ma solo un paio di volte bombardò postazioni nascoste sull’alta collina, rifugi di cui aveva evidentemente avuto segnalazione. 
Diverse volte assistemmo al lontano fragore ed ai bagliori dei bombardamenti su Genova, al di la del passo dei Giovi, comunque protetti dalla lontananza, se pur compresi ed assai preoccupati.
Ed arrivarono anche i tedeschi in fuga, a requisire il primo piano della villa De Ferrari, nascondendo carri armati ed autoblindo sotto i grandi pini del parco ! Ma nei lunghi giorni della loro permanenza si comportarono sempre più che civilmente e la nostra grande preoccupazione fu quella che gli alleati ne avvertissero la presenza e ci venissero a bombardare, noi con loro…Io, che avevo non più di 3 anni, divenni anche amico di un giovanissimo soldato tedesco, che a cavallo del suo mulo mi portava in paese ad acquistare il gelato, su incarico e a spese di mia mamma.
Ed in questa cornice si collocano i miei più lontani momenti di memoria.
Un grande prato verde sottostante la villa, fiorito di tanti colori e profumi, resi più intensi dal tepore primaverile e dall’aria incontaminata, ed io che correvo, in gara con altri bambini, a cogliere quei fiori per poi portarli alla mamma, che affacciata dal balcone ci premiava con il lancio di caramelle.
L’odore dell’erba, l’intenso profumo dei fiori, lo spiccato sapore dei dolciumi, il senso di beata pienezza vitale che mi pervadeva nella traboccante consapevolezza del mio iniziale esistere, ancora appartenente alla prima infanzia !

Lo stesso prato durante l’inverno, coperto di neve, su cui correva un’assai breve, ma per me allora lunghissima, ondeggiante pista da sci, sulla quale venivo precipitato a bordo di una slitta, condotta dallo stesso giovane falegname che l’aveva costruita, figlio dei contadini a mezzadria facenti capo alla villa. Il mio primo ottovolante, bianco, freddo, ma caldissimo di emozioni, ricco del penetrante odore d’ozono che sempre emana dalla neve fresca caduta sulla natura incontaminata. 
Le grida felici dei bimbi eccitati, le mie tra quelle, ed il rifiuto di smettere al cadere del buio, così come la mia strenua resistenza a che mi venissero tolti gli scarponi, miei subconsci stivali delle sette leghe, come quelli del gatto della favola che mi raccontava la mamma. E per sfilarmeli dovevano aspettare che mi fossi addormentato.

Le feste dei miei giovanissimi genitori, belli come i divi del cinema dei telefoni bianchi, allora ancora attuali, con amici anch’essi giovani e belli, cui io assistevo da semiclandestino, assorbendo tuttavia ampiamente la magia dell’atmosfera, romantica e rilassata nonostante la guerra in corso. Soprattutto la musica, la canzoni di Bonino, del Trio Lescano, di Rabagliati, Natalino Otto  i Cetra quando ancora erano solo un trio. Ma più ancora i primi dischi, probabilmente contrabbandati, della musica americana: Glenn Miller, Cole Porter, lo Swing, il Jazz…
Del resto al cinema di Busalla vidi perfino il mio primo film, incredibilmente “Biancaneve e i sette nani” della Disney ! Ed era ancora il 1945, sicuramente prima del 25 Aprile ! Forse lo avevano paracadutato gli americani, con i rifornimenti alla resistenza partigiana...Il "profumo" di benzina e di "metallo" che emanava dal motocarro di mio padre di ritorno da Genova. Mezzo che utilizzava dopo che gli avevano requisito la balilla e su cui salivamo anche la mamma ed io, quando la sera gli andavamo incontro, risalendo la statale...Per me l'emozione del caldo rombo del motore e l'ebrezza della velocità, che forse sfiorava perfino i 40 all'ora !


Poi la grande, magica atmosfera di festa, che io totalmente recepivo pur non cogliendone che assai vagamente i significati: la guerra era finita ! Tutti erano contenti, euforicamente rilassati, sprecavano sorrisi e grida di gioia. Evviva, finalmente è finita, anche se noi, almeno a me così pare, eravamo tra i fortunati che l’avevano appena sfiorata. Di nuovo il prato fiorito intorno alla villa, la grande altalena su cui il mio giovanissimo zio Piero, si esibiva in pericolose esibizioni da trapezio. E su quel prato odoroso di fiori, erba fresca, aromi collinari della Primavera avanzata, un cesta di vimini in cui giaceva e vagiva il mio neonato fratellino, Mario, venuto alla luce il 15 Aprile, giusto dieci giorni prima della “Liberazione”.
25 Aprile 1945
Ed accanto alla cesta, suoi custodi ineffabili ed assai guardinghi, una grande oca bianca ed una ancor più grande e bianca, meravigliosa cagnona di alano danese,
il cui nome Frau, regina delle nevi, rievocava il candore del suo pelo, la glacialità dei suoi occhi azzurri, il freddo dell’inverno in cui era da noi giunta.

Poi un salto, un volo oltre il buio di un trasloco di cui non rammento assolutamente nulla, il ritorno a Genova, dove 4 - 5 anni prima io ero nato, ma subito fuggito immemore, oltre il primo Apennino, per scampare ai bombardamenti.

Un volo verso il mare, il cui salso sapore, quasi dolorosamente penetrante per l’intensità con cui lo recepivo, probabilmente si ricollegava ai miei primi giorni di vita, e forse a prima ancora, quando mia mamma mi portava, ancora ben custodito nel suo ventre, a passeggiare lungo il mare di Corso Italia, a Punta Vagno, cento metri da cui ero nato, in via Piave, nei nuovissimi palazzi, vagamente stile novecento, appena eretti nel verde allora quasi totale tra la Foce, Albaro, il Lido e Boccadasse.
Genova, Corso Italia, Punta Vagno.
Palazzi ancora oggi esistenti ed in ottime condizioni di manutenzione, come mi ha appena riferito mia sorella, che cercando la sua nuova casa è capitata in uno di quelli, totalmente ignara del fatto che io vi avessi avuto i natali (forse perché manca la lapide, almeno per ora…). Ricordo sprazzi esaltanti della Genova dell’immediato dopo guerra. Il mare della foce dove mio nonno mi condusse a vedere i mezzi da sbarco alleati affondati a pochi metri da riva, un incrociatore inglese appena un po’ più al largo, e le mine che saltavano, che tante ancora ne arrivavano verso riva, portate dal mare.

Gli alleati, soprattutto gli americani, con le loro Jeep, su una delle quali provai l’ebbrezza di un lungo giro per la città, in compagnia di un ufficiale yankee, di mio padre e di un suo amico, il dottor Santacroce, poi divenuto direttore generale della IBM Italia, allora interprete ufficiale dell’esercito USA.
Il sapore incredibilmente accattivante delle mie prime CocaCola, di cui arrivavano cassette gratis a casa mia, stante un'altra amicizia di mio padre, quella con tale Ventola, italo americano,
neodirettore della CocaCola Italia, giunto al seguito dell’esercito USA per invadere anche con quella i nostri usi e consumi.
Le dolci, calde serate di quella prima postbellica estate del 1945, quando dopo cena
scendevamo da via Francesco Pozzo in piazza Tomaseo, Corso Buenos Aires, via Casaregis e Corso Torino, tutte addobbate a festa, con lampioni colorati, piazzole danzanti, giostre ed autoscontri…Il tutto pervaso dalla nuova musica “americana”, il frenetico boggiewoggie alternato alle struggenti ma sincopate melodie di Glenn Miller…Ed era tale la mia struggente partecipazione, che ancora vent’anni più tardi, ormai adulto e vaccinato, ancora ricordavo quell’esperienza infantile come l’avessi
allora vissuta in prima persona,“da
grande”…commuovendomi alla sua rievocazione radiofonica, per la bellissima voce narrante di Riccardo Cucciolla: “Gennaio del ’46, avevo i tuoi occhi nei miei…mentre Glenn Miller suonava...”, rievocando un amore perduto, che io percepivo nel ricordo esattamente tale…Ed in effetti così era stato, come poi mi chiarì l’estenuante, faticosissima ma infine esaltante esperienza della psicanalisi.
Alassio, estate del 1946, la grande spiaggia assolata, il salmastro sapore del mare, il suo pungente, quasi doloroso sentore di iodio, l'isola Galinara la fondo, quasi all'orizzonte...Mia mamma che, noleggiato un moscone, con inesperta ingenuità mi chiedeva se io volessi che raggiungessimo quell'isoletta ! E rema che ti rema verso il largo, dopo circa un'ora quasi non si vedeva più la spiaggia di Alassio, ma l'Isola Gallinara era sempra distante uguale, la in fondo all'orizzonte ! "E se tornassimo indietro" (vesciche alle mani non use alla voga)...e così fu che tornammo.
Quella stessa estate, partendo da Albenga e trasnsitando davanti ad Alassio, morirono più di 40 bambini di una colonia marina, diretti alla Gallinara a bordo di una motobarca finita contro un relitto sommerso.
Alassio, Isola Gallinara.

Io, tuttavia risparmianto dall'imprudente tentativo di crociera materna, festeggiavo i miei 5 anni con l'ebrezza di una prima esaltante conquista: andare in bici a 2 ruote, senza l'ausilio delle rotelline laterali. Ciò che mi fece sentire "grande".
E tutti gli anni successivi, nonostante i lunghi sprazzi rovinati dalla malattia, ai bagni del sempre "Nuovo" Lido d'Albaro. Nel '47 festeggiavo i miei 6 anni con altra eclatante conquista, avendo imparato a nuotare, da solo, per imitazione, spingendomi poi subito alla conquista di zattere e boe ed oltre, sempre più al largo, sfidando le bande di piccoli amici a chi riusciva a scendere più in fondo al mare, a raccogliere sassi colorati, divertendoci a prendere le onde, alte anche 3 o 4 metri per farsi precipitare con quelle sino alla spiaggia sassosa, a nuoto libero, o con le pinne ed appoggiando le braccia su di una tavoletta di legno. Spesso finendo arrotolati nel vortice dell'onda contro i sassi della riva. Così che la sera a casa i lividi conseguenti venivano curati con unguenti e bendaggi.
Ma d'estate, dal'47 al 51 c'era anche la villeggiatura in

"campagna", regolarmente a Torriglia (7-800 mt. s.l.m.), in casa in affitto oppure all'Albergo Castello. Con le gite nei boschi, la ricerca dei funghi, le escursioni più lunghe ed impegnative, sino alla pineta, ricca di odori balsamici, di felci e di ombra. Oppure oltre il Castello diroccato, o fino alla galleria del passo, che attraversa lo spartiacque ligure-emiliano, oltre il quale inizia la Val Trebbia. E fra il mare e l'alta collina montana io vivevo la mia dorata infanzia, ricca di stimoli, archi e freccie, revolver e fucili, soldatini di piombo, film di avventura, ma anche il meccano, il gioco della dama, il monopoli, le carte della canasta e la lettura dei principali capolavori di Stevenson, Verne, Salgari ecc...Che per fortuna allora la TV non c'era ancora.
            Torriglia, il Castello e a destra l'Albergo omonimo

1948, la grande villa di mio padre, appena 30enne e già ricco !
Ubicata al meglio del Lido d’Albaro, in una traversa tra via De Gasperi e Corso Italia, poi trasformata in Hotel (ed ancora è tale, dopo oltre 60 anni). Ricordo ancora i piacevoli odori dei plastici usati per ristrutturarla, la calce, gli intonaci, i parati…
Negli occhi gli enormi spazi dei suoi 4 piani, nel seminterrato la grande “lavanderia”, dove con il brutto tempo giocavamo a pallone. Al piano rialzato l’enorme corridoio che dava addito sulla vasta sala da pranzo ed il doppio salone. All’ultimo piano, sopra quello delle camere da letto, c’era l’attico con sala biliardo ed ampio terrazzo da cui si vedeva il vicino mare di Boccadasse ! Nell’ampio giardino gli aranci, i cachi, due grandi pini, una palma e sul retro l’orto terrazzato, dove talora andavo a far man bassa di piselli, teneri, freschissimi ed assai saporiti, e di pomodori, rapanelli, cipolline…un’esplosione di fragranza che invadeva le mie narici prima ancora che le papille gustative.
Hotel La Capannina
Ed il giardino era il regno della nostra carissima amica, Gilda, figlia di Frau, un grande, bellissimo esemplare di Alano arlecchino, così chiamata perché nata in concomitanza con l’uscita del famoso film interpretato da Rita Hayworth.
A scuola, dai Fratelli Maristi, prima in via Casaregis poi in Albaro, mi accompagnava spesso Giuseppe, l’autista, a bordo di una mitica quasi limousine americana, una Dodge acquistata da mio padre presso il suo amico Novelli, concessionario Mercedes.
La cara vecchia Gilda.
Questo e molto altro avrei rammentato, senza particolare nostalgia, ma con spiccato senso per l’ironia del fato, una quindicina di anni dopo, quando per mettere insieme il pranzo con la cena, mi alzavo alle 4 del mattino per andare a scaricare le cassette di frutta e verdura al mercato d’ingrosso ortofrutticolo a Padova.

Fine della prima parte.

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