SAMIT: "Tempi moderni".
SAMIT: viaggio all'alba dei "Tempi Moderni"
(a destra immagine di tappeto meccanico di ottimo
livello : tipo "Kirman Laver" di Paracchi - Torino)
Ci arrivai tramite lo "Studio Mario Silvano" di Milano, allora primario e prestigioso Consulente Aziendale nel campo dell'Addestramento e Selezione del personale.
In "fuga" da Sormani (v.precedente racconto su questo blog) mi ero rivolto anche a loro: li conoscevo e mi conoscevano, avendo io partecipato a numerosi dei loro corsi grazie a Gulf Oil (v. "oro nero" su questo blog), distinguendomi per la qualità della mia partecipazione.
Mi proposero SAMIT su base anche intuitiva, nuovo direttore generale di quell'Azienda essendo un ex dirigente Esso, anche lui come me..."profugo" dal settore petrolifero...che immediatamente approvò la mia candidatura: il mio back ground era perfettamente in linea, avevamo lo stesso tipo di formazione aziendale e parlavamo la stessa lingua.
La mia assunzione in qualità di direttore per il settore Tappeti e Copriletto
(c'era anche un settore Moquettes di minore importanza) fù formalizzata presso Mario Silvano in corso Magenta a milano, dal 44enne dott. Ferruccio Tedeschi, freschissimo "orfano" di un padre 88enne, investito da un tram a Milano pochi giorni prima! Già fondatore del notevole Gruppo Industriale ancora negli anni'20, ma ancora saldamente arroccato alla sua guida, lasciando al figlio incarichi più che altro formali, l'onor di firma e...tanto bel tempo.
Ma, causa un invadente tramvai, a Dicembre del'75 Ferruccio Tedeschi ebbe nelle sue uniche mani ogni potere decisionale ed io, a Gennaio '76 la direzione commerciale del settore che fatturava circa l'80% di Samit.
Edotto del suo lutto gli formulai le mie ovvie condoglianze; lui mi parve tuttavia "svagato", scarsamente coinvolto nella mia assunzione come in ogni altra cosa riguardasse Samit, e non solo.
Più tardi capii che ci avevo visto giusto: lui allora aveva già deciso !
Morto il padre gli si palesava finalmente l'opportunità di "liberarsi" di tutto quel fardello d'Imprese Industriali e commerciali, ormai più decrepite che invecchiate, per ammodernizzare e rilanciare le quali ci sarebbero voluti ingiustificabili investimenti, tanto lavoro e capacità, sue ed altrui, tutte da verificare.
Il gruppo orginava nella tipica Val Susa come "Magnoni & Tedeschi", arcinota fabbrica di tessuti per l'arredamento, continuava nell'altrettanto tipica Val Sesia come Samit, fabbrica di Tappeti e Moquettes, ed in Brianza con la Amilcare Pizzi di Cremella, ancora tessuti d'arredamento. A Seregno, c'era un enorme immobile, accanto alla Stazione Ferroviaria, già “stabilimento”, poi utilizzato come "doposito merci". Magazzino in gran parte ormai obsoleto, formato da migliaia di pezze di tessuto, invendute per incuria commerciale e perchè fuori moda, progressivamente rosicchiate dai topi, ma ancora utili per "gonfiare" artificialmente i..Bilanci e fornire agli azionisti, alle banche e ad eventuali acquirenti dell'azienda un dato positivo quanto fasullo !
C'era infine la catena di negozi d'arredamento, la famosa Haas, 22 negozi allora, mediamente assai prestigiosi e piazzati al meglio nelle principali città Italiane, a partire da Milano in via Verri, accanto a via Montenapoleone, da sempre riferimento per gli acquisti tessili per la casa della Milano bene e non solo. Negozi ottimamente allestiti, molto "Old Style", dotati in maniera esuberante sia di merci che di personale esperto. Personale la cui età media datava dalle parti dell'imminente pensionamento...
Così come datata era anche la placida e supponente conduzione degli esercizi commerciali, affidata per altro a tale Polacco, persona validissima ma anche avanzatissima negli anni, quanto arretrata nei modi, nelle idee e sopratutto nelle motivazioni.
Ferruccioo Tedeschi al momento della mia assunzione aveva già bello che deciso, ed infatti neppure un anno dopo divenne ufficiale la cessione di tutto il gruppo, Haas esclusa, ad una "finanziaria" controllata dal famoso affarista ed agente di borsa milanese Aldo Rovelli.
Nel frattempo il dott. Tedeschi, moglie Inglese e tre figli a rischio di rapimenti ( in quegli anni eravamo purtroppo entrati nell'orbita crescente di quel criminoso fenomeno, in preoccupante e rapida crescita ), stufo di andare in giro con la scorta o mimetizzato in uno scalcinato furgone Fiat uso pulmino, si era già da sei mesi trasferito nella sua prestigiosa casa di Manhattan, su Central Park, a godersi felicemente, in libertà e senza preoccupazioni, l'enorme montagna di soldi e proprietà di cui era unico e legittimo erede. Ivi inclusa, si diceva, la maggioranza delle azioni di rinomata Banca Svizzera...!
Ma nel gennaio del'76, quando arrivai nella Sede Milanese di via Gonzaga (piazza Missori) accanto al Duomo, tutto ciò era per me solo senno di poi, essendone ovviamente del tutto ignaro, anche in quanto ancora appartenente alle recondite intenzioni non dichiarate di Tedeschi Junior.
In Samit tutto sapeva di vecchio, o perfino di "antico", anche le persone! Inizialmente fui subito pentito di aver optato per quell'ambiente fatiscente quando già ero stato assunto dalla modernissima ed attrezatissima Lema, mobili in Brianza, a due passi da casa mia (v. "Sormani" in questo blog).
Pentimento ratificato dalla succesiva visione della Fabbrica di Borgosesia, dove avevo un ufficio alternativo a quello di Milano.
La Fabbrica alloggiava in uno “stabilimento” stile ‘900, con grandi muri, enormi finestroni, altissimi soffitti…mi ricordava un po’ certi flims degli anni ’20: “Tempi moderni” di Chaplin e “Metropolis” di Lang.
Nel grande ma spoglio atrio trovai, dietro una sorta di cattedra montata sopra di una pedana, un uscere gallonato che dopo che mi fui presentato qualificandomi come il nuovo direttore vendite, mi porse formalmente un modulo da compilare, su cui avrei dovuto sottoscrivere le mie generalità, precisando il “motivo della visita”…
Non sapevo se ridere o piangere…Quella procedura e quel modulo feci comunque immediatamente abolire !
Non senza rammarico del “dirigente anziano”, così formalmente definito in assenza di altra qualifica che ne precisasse le mansioni effettive..
Il quale come previsto mi accolse con sussiego e cortesia tipicamente Torinesi, tra convenevoli, battutine stantie ed ammiccamenti scontati, nello stile dell’attore Ernesto Calindri nel Carosello della China Martini: “sino dai tempi dei Garibaldini…”.
Ed a Calndri , ma anche ad Indro Montanelli un po’ assomigliava.
Presto capii che la mia assunzione aveva sconvolto i suoi piani, mirati a piazzare il suo unico figlio, ultratrentenne fuori corso di neppure lui ricordava quale facoltà universitaria, assolutamente digiuno di qualsiasi esperienza lavorativa, al posto di direttore vendite che mi era stato testè attribuito.
Samit non era indenne da “nepotismo”, ma non autolesionista fino a quel punto! Il pargoletto però finii per trovarmelo tra le…scatole, alle mie dipendenze, in veste di Ispettore Vendite, ciò che mise a dura prova le mie capacità di gestire la cosa con obbiettività, diplomazia e sangue freddo.
Ma tutto questo accadde dopo.
Al mio arrivo in Val Sesia, trovai il direttore della Fabbrica, un tecnico preparatissimo soprattutto sul piano “teorico” ed il Product Manager, che poi ebbi ad apprezzare per la sua grande capacità e disponibilità, oltre che sul piano umano.
Mi fecero visitare lo “stabilimento”, un incrocio tra una Fabbrica ed un Museo…
Comunque i telai c’erano, anche se posizionati contro ogni e qualsiasi logica al primo piano: erano macchine pesantissime e dalle grandi vibrazioni, che lavorando per decenni anche su 3 turni (24 ore al giorno), mettevano a dura prova i pur larghissimi e solidi muri, la cui integrità bisognava in continuazione verificare e rinsaldare.
Telai in gran parte molto particolari e costosissimi quanto rari, i famosi “Gripper”, capaci di fabbricare “tappeti” utilizzando anche 8 colori (contro i massimo 5 dei telai normali doppia pezza) e dal rovescio già “pulito”, senza bisogno di essere “rasato”.
Telai che erano un po’ la forza e prerogativa di Samit, unica o quasi ad averli tra le pochissime fabbriche di “tappeti meccanici” ( in totale 4 o 5) esistenti in Italia.
È opportuna la precisazione per i profani (cioè quasi chiunque…) circa la differenza tra tappeti “meccanici” (cioè di produzione industriale) e tappeti “annodati a mano” (cioè artigianali, perlopiù orientali).
Un buon tappeto meccanico può arrivare anche a 500.000 inserzioni
(o “battute”) di trama al metro quadro e può valere assai di più di un mediocre tappeto artigianale annodato a mano !
Infinite volte capita spesso che l’utente impreparato finisca per l’acquistare tappeti meccanici come “autentici” tappeti…orientali. Samit non a caso vendeva i suoi prodotti meccanici anche in Medio Oriente e Nord Africa, da dove poi tornavano in Italia come prodotti autenticamente artigianali…e non erano quelli di migliore qualità !
In Samit, con tutti i suoi difetti, c’era una grande ed approfondita cultura e conoscenza tecnica dei prodotti ! Ciò che unito a macchinari validi, se pur datati, ci permetteva di essere sicuramente competitivi in un mercato dove ancora non era inflazionato il prodotto industriale Belga, Olandese, Tedesco (paesi molto attrezzati per quella produzione e forti anche nei prezzi !) ed ancora dovevano arrivare le massicce importazioni di tappeti Orientali di basso prezzo, che avrebbero finito con l’uccidere il nostro mercato.
Il problema di Samit allora era soprattutto “vendere”!
In maniera decisa, razionale, qualificata, possibilmente cioè “marketing oriented”…
Bisognava mettere a posto la collezione avendo ben presenti le caratteristiche di domanda e concorrenza, aggiornare gli strumenti di vendita (cataloghi, argomenti, merchandising), promuovere l’addestramento e le motivazioni della forza vendite, mediamente molto valida e…spingere sull’acceleratore !
Un’occasione notevole di vendita per Samit era la sua “esposizione itinerante”, che una volta all’anno, nell’arco di alcuni mesi, faceva il “giro d’Italia”…: nei principali capoluoghi di Provincia noleggiavamo per alcuni giorni adeguati saloni di primari Hotel dove invitavamo i clienti della zona a visionare (ed acquistare!) i nostri nuovi prodotti.
Anche questo strumento andava perfezionato, rendendolo più efficace, più dinamico, meno “statico”. Avviai allora contemporaneamente due esposizioni itineranti, più capillari e rapide, non disdegnando anche delle puntate “blitz” fuori programma, in località da decidere strada facendo…
Alla fine del mio primo anno di gestione verificai apprezzabilissimi incrementi di vendita ( e ne ebbi anche adeguato ritorno in “royalties”specifiche…).
Poi arrivò la doccia fredda: da New York, dove se ne era andato senza mai più farsi vedere, il titolare Tedeschi ci informò di aver ceduto tutto il gruppo industriale, Samit inclusa (ma non i negozi Haas), ad una finanziaria facente capo all’agente di borsa Aldo Rovelli. Si seppe poi che la cessione avveniva in contropartita dell’assunzione del debito verso l’INPS (qualche miliardo…) di Samit, che Rovelli formalmente si accollava.
Facendo comunque, inevitabilmente, un grosso affare, perché solo gli immobili e le attrezzature, per non contare le merci a magazzino ed i fatturati in corso, valevano almeno il doppio a buttarli via !
Tutti venimmo tranquilizzati circa la “continuità”, ma nel breve saltarono le teste dei massimi dirigenti. Io mi salvai perché non tra i massimi e comunque il mio ruolo fù di fatto ridimensionato, pur mantenendo per il momento incarico ufficiale e remunerazione.
Ci fù qualche mese di caos, durante il quale non si capiva chi comandasse e si verificarono le dannosissime interferenze di una “task force”, inviata da Rovelli sul campo allo sbaraglio, che interferì rovinosamente sul lavoro di vendita già ben avviato.
Situazione alla quale io mi ribellai decisamente, ponendo l’aut aut: o io o loro, ottenenedone l’immediato rientro.
Ma poi Rovelli piazzò al vertice di Samit un nuovo General Manager di sua fiducia, che si tirò dietro un suo amico nel ruolo di direttore commerciale, praticamente esautorandomi nel ruolo… Entrambi risultarono poi validi ed all’altezza della situazione, anche perché di fatto continuarono a mandare avanti quanto già con successo avviato, almeno per la parte commerciale. Così io mi trovai ovviamente ridimensionato, in una funzione ispettiva di minore importanza, che non intendevo comunque accettare.
Lasciai perciò Samit alla fine del 1977, dopo due anni, ancora lanciatissima, almeno per quanto riguardava le vendite. Ma in assenza di imporanti investimenti per un sostanziale rinnovo strutturale, un recupero concreto e duraturo dell’azienda non era possibile.
L’ipotesi anche da me già avanzata al momento della cessione si palesò esatta: il Rovelli aveva rilevato il gruppo per sfruttarne ogni possibile utile, certamente non per risanarlo (troppo impegnativo, costoso ed aleatorio); l’intento era sfruttare al massimo ogni risorsa: gli immobili, le vendite, i magazzini, i crediti ecc…E poi lasciare le Aziende morire, loro inevitabile destino.
Io riuscii ancora una volta ad evitare accortamente questa sorte, me ne andai due anni prima che Samit fosse abbandonata a se stessa.
Nel 1979 lo “stabilimento” di Borgosesia fù occupato dagli operai reduci dai licenziamenti, che si organizzarono in cooperativa per continuare la produzione…
Ammirevole, disperata e patetica iniziativa, in quel caso, mancando ogni reale presupposto di successo. Durarono comunque poverini quasi un anno. Poi cessò definitivamente il Marchio Samit, secondo in Italia dopo la Paracchi di Torino, già detentore di una quota di mercato di oltre il 20% !
Alcuni dei famosi telai “gripper” furono affittati dal gruppo Vestor per produrre i prestigiosi tappeti firmati da Ottavio Missoni.
E non escluderei che qualcuno di quei telai sia ancora, in qualche modo, attivo !
A proposito di tecnologia d’antiquariato ecco un aneddoto notevolissimo:
negli anni ’90, sempre nel tessile, mi occupavo anche di ricami e mi capitò una richiesta di “tulle” ricamato: chiarisco per i tantissimi profani, “tulle”, non banale organza, ma bensì una più preziosa, finissima rete,“legata” secondo un sistema di tessitura del tutto particolare, di tradizionale produzione Francese.
In bassa altezza (140-150cm.) era reperibile, ma a me serviva alto 300, per uso tendaggi e trovarlo in Italia era un problema.
Ma in seguito ad una lunga ricerca seppi di un artigiano che lo fabbricava , proprio nella zona “tipica” in cui io bazzicavo, dalle parti di Somma Lombardo.
Avuto l’indirizzo andai a trovarlo: stavo percorrendo la via periferica su cui si affacciava qualche capannone, ma al numero segnalato non sembrava propri0 ci fosse quello che cercavo. Feci avanti e indietro un paio di volte, poi vidi un meccanico, in tuta da meccanico, che stava entrando proprio a quel numero, dove a me era sembrato ci fosse appunto un officina meccanica…Gli chiesi se sapesse dove si trovava la tessitura che stavo cercando e lui mi rispose: “ è qui “. Lui era l’artigiano, il titolare della … “tessitura”.
Lo seguii e fù come entrare in un museo della scienza e della tecnica…
All’interno di quella “officina” c’erano telai che datavano dal 1912 al 1918 coi quali quel signore produceva “tulle” ! Telai tutti recuperati in Francia, conservati e tenuti insieme con un lavoro certosino di continue riparazioni, fabbricandosi in qualche modo gli ormai introvabili pezzi di ricambio…
Mi raccontò un po’ di “storia”, concludendo che era ovviamente più il tempo che doveva dedicare a manutenzioni e riparazioni che non quello per tessere.
Per questo la sua “divisa” era la tuta da “meccanico”!
E in Italia, ovviamente, c’era solo lui.
Tornando a Samit, dalle parti del 1977, dopo aver fatto esperienze da…vendere, a soli 36 anni mi trovai di nuovo a cercare un altro lavoro. Mi guardai in giro, ma la situazione stava diventando difficile, per lo meno volendo mantenere i livelli di guadagni e d’incarico raggiunti. Inoltre cominciavo ad essere un po’ stufo di quello che in generale ormai da tempo facevo, stufo di lavorare tantissimo, senza orari, sempre in tiro ed in giro per il mondo: la famiglia la frequentavo quasi solo nei week end, e neanche tutti, vacanze a parte. Quando ero in trasferta dovevo tirare la carretta anche per gli altri, spingendoli a fare quello che da soli faticavano a fare. Ripartito io loro si rilassavano, mentre io passavo ad altra zona o tornavo in ufficio a far tardi tutti i giorni, per verificare, programmare, organizzare le attività di mia ampia competenza e responsabilità.
Ed in Azienda, per quanto fossi apprezzato, se arrivava un qualche consulente esterno, abile soprattutto a raccontarla…aveva subito più ascolto di me da parte dei titolari…che subivano facilmente il fascino del “freelance”.
Buon ultimo nel tessile avevo dei Rappresentanti che mediamente guadagnavano quasi quanto me, qualcuno anche di più !
Infine, fatto un esame di coscienza, dovevo ammettere di essere uno “spirito libero”, assai più interessato all’indipendenza che al “comando”: in posizioni di responsabilità collettiva, di leadership, mi ero già positivamente verificato per almeno 7 anni, a diversi livelli ed ambiti. Decisi così di…saltare il fosso, di divenire cioè libero professionista, agente di commercio e consulente, anch’io in definitiva un freelance !
Ebbi una fortunata occasione a Dicembre del 1976, mentre ero a Trieste con un mio rappresentante, che mi informò come una Fabbrica leader del settore, che lui già rappresentava per il Veneto, stesse cercando un agente per la Lombardia.
Visto che ero interessato ne chiamò il titolare e mi fissò un appuntamento per la settimana successiva.
Iniziai così una nuova ed assai più durevole avventura, che merita di essere ugualmente raccontata in una prossima occasione, perchè ricca di episodi, situazioni e personaggi notevoli, tuttavia emblematici dello spirito di questa serie, dedicata ai
“dilettanti allo sbaraglio”.
The lonely dolphin
Sono stato dipendente Samit dal 1962 al 1978.
RispondiEliminaDal 1970 al 1978 ho ricoperto la carica di direttore tecnico. Quanto Lei scrive corrisponde al vero ; sicuramente io potrei aggiungere molte cose. Gradirei avere un contatto.
ti ricordi per caso i nomi dei figli?
RispondiEliminaChiedo scusa, non capisco, i "figli" di chi ?
RispondiEliminaha ragione, purtroppo mi era partito il commento senza aggiungere i dettagli.
EliminaI figli di ferruccio tedeschi. Sto cercando di ricostruire la storia della loro famiglia e dell'azienda e riuscire a parlare con loro mi aiuterebbe un sacco.
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EliminaNon ricordo di averli mai conosciuti, del resto allora erano giovanissimi...Lo stesso Ferruccio Tedeschi in realtà lo vidi poco: in Samit quando mi assunse, presso lo studio Mario Silvano di corso Magenta, e poi sfuggevolmente, "di passaggio" in Samit...Come ho scritto nel post qui sopra allora era appena morto il vecchio padre 88enne (investito da un tram a Milano!) e Ferruccio aveva sicuramente già deciso di sbarazzarsi di Samit, la tessitura Pizzi di Cremella e di altri residui obsoleti della Magnoni & Tedeschi...Preoccupato dall'aria che tirava in Italia (attentati, BR, rapimenti, tipici degli anni'70) si ritirò prima a Londra, poi a Newyork (sua moglie era tra l'altro americana) cedendo Samit al gruppo Rovelli (All'epoca famoso finanziere ed agente di borsa). Mantenne unicamente la Haas, prestigiosa catena di negozi, ubicati nei centri storici delle maggiori città d'Italia. Haas era anche un "brand" notevole ed affermato nel tessuto d'arredamento. Negli anni'90 tornò in Italia per tentare di rilanciarla ed io ebbi svariate occasioni di incontrarlo come fornitore di tessuti...finchè dopo una lenta agonia anche Haas finì col chiudere i battenti. Sei o sette anni fà ebbi la notizia che anche Ferruccio Tedeschi era mancato. L'unica persona che io ricordi e che dovrebbe essere ancora in grado di fornirle informazioni è Gianni Arachelian, storico collaboratore del dott. Tedeschi alla Haas. L'ho incontrato 5 o 6 anni fà a Seregno, dove abitava e probabilmente risulta ancora sull'elenco telefonico.
RispondiEliminaHo letto tutto l'articolo che mi ha ricordato molte cose....mio padre e i miei fratelli hanno lavorato una vita alla Magnoni e Tedeschi e alla Haas. Io sono la sorella gemella di Gianni A. che purtroppo è mancato nel gennaio 2011.
EliminaMi ha fatto piacere trovare qualcosa che parli di una società così importante come è stata la Samit e la Haas.
Un saluto. Virginia Arachelian
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