martedì 3 luglio 2012
L'ingeniere di notte...
ENRICO, “INGENIERE NOTTURNO” E…L'AGORA'.
Era un amico.
Romano, simpatico, arguto, intelligente.
Lo avevo conosciuto a Padova, nel 1966: eravamo gli unici due inquilini di una coppia di mezza età, senza figli, che abitava un grande bell'appartamento.
Entrambi lavoravano, la casa era quasi sempre vuota, così affittavano due stanze, belle e grandi.
Io avevo appena iniziato il mio nuovo lavoro con Marathon Oil, la cui filiale era a neanche 300 metri. Enrico, stagionato fuori corso d'Ingegneria Edile al "Bò" Padovano, aveva 32 anni, sette più di me, era estroverso e scanzonato, di statura medio piccola, non precisamente bello, lineamenti non esattamente regolari: mi ricordava un pò Sordi ed un pò Totò, sopratutto nei modi di fare.
Si era presentato come "coinquilino" chiedendomi una cortesia: siccome lui faceva tardi la notte, anche per studiare, se il mattino lo avessi aiutato per il risveglio, battendo sul muro, sulla sua porta, se necessario sulla...sua testa..., prima di uscire, quando andavo al lavoro.
Consentii di buon grado, anche se poi mi resi conto che non era facilissimo destarlo al mattino, lui essendo quasi sempre in stato"comatoso !
Le occasioni di frequentazione e confidenza furono progressivamente crescenti, data la coabitazione, qualche affinità ed il reciproco apprezzamento.
Lui non era esattamente "Romano de Roma", essendo originario del Viterbese, esattamente di Canepina, alle falde del monte Cimino, ma a Roma era praticamente sempre vissuto, di fatto adottato dagli zii senza figli.
Ai quali era morbosamente attaccato, ebbi poi modo di verificare, sopratutto alla zia, che gli aveva trasmesso la sua stessa patologia:
l' agorafobia, nevrosi contagiabile più che altro "caratterialmente",per comportamenti indotti. In effetti la zia viveva da sempre confinata in casa, senza praticamente uscire mai !
Enrico, con lei cresciuto sin da bambino, ne aveva evidentemente assimilato fobie e comportamenti.
Lo zio era un alto funzionario in pensione di non ricordo più quale Ministero, economicamente molto agiato. Vivevano in un grande, bellissimo superattico alla Laurentina, zona Eur (cioè Ministeri…) ed erano proprietari di una notevole villa sul mare a Nettuno.
L'Agorafobia è una strana nevrosi (ma lo sono più o meno tutte): consiste nel temere gli "spazi aperti". Esattamente il contrario della Claustrofobia, cui io invece sarei propenso !
L'agorafobo tende a stare rinchiuso, a non uscire, sopratutto di giorno e se costretto a farlo può essere colto da crisi di panico anche gravi.
Enrico soffriva a fasi alterne di questa patologia e me la indicò come una delle cause dei suoi ritardi negli studi di laurea.
Ma aveva anche vissuto una lunga fase di sbandamento, da vitellone goliardico, aggravata da un amore sfortunato, che lo avevano fortemente distratto...
Così, ultratrentenne, era venuto a Padova, lontano da tentazioni e ricordi, per cercare di terminare gli studi.
Io a mia volta soffrivo di altra...patologia, aggravata da un rapporto d'amore non esattamente fortunato, che aveva fasi alterne, comunque alla lunga stressanti...
Così capitava che ci accompagnassimo, sia per consolarci che per distrarci, sicuramente con reciproco aiuto, talora in muliebre compagnia.
Enrico come dicevo non era affatto "bello", ma aveva una piacevole personalità, era arguto e spesso divertente, per cui riusciva ad accedere facilmente alla compagnia femminile, sia pure limitata perlopiù ad un ambito platonico.
Ebbe anche una sorta di "flirt" abbastanza durevole con una ragazzona Friulana, anche lei simpatica, già laureata, non ricordo con quale incarico universitario, alta senza tacchi almeno dieci centimetri più di lui.
Io allora alternavo al mio fidanzamento, che funzionava a singhiozzo..., flirt consolatori, in gran parte indotti da amici che mi volevano aiutare.
E lui era tra quelli. Una volta, per tirarmi sù riuscì ad organizzare a casa mia una cena con 4 o 5 giovani universitarie una meglio dell'altra, rimorchiate ad hoc, dove lui fungeva da cuoco: spaghetti "ajo, ojo e peperoncino"...
Ma i suoi interventi nella mia sofferta sfera sentimentale erano sempre ironici, disincantati, saggi ma spiritosi, talora ovviamente banali, ma conditi appunto col...peperoncino.
In quello periodo ci frequentammo abbastanza e sicuramente fù lui
ad aiutarmi più di quanto non io ebbi occasione di fare.
Poi le cose per me cambiarono, trovai quello che anche lui mi aveva ripetutamente suggerito: il chiodo che scaccia chiodo...
E fù un gran bel chiodo…perchè nel giro di sei mesi eravamo già sposati !
Ricordo un simpatico episodio che riguarda gli inizi con il nuovo "chiodo"…: eravamo in macchina, parcheggiata dalle parti della facoltà d'Ingegneria, che ci stavamo...sbranando di baci, abbarbicati sull'ampio unico sedile della mia Opel Record con cambio al volante, quando sentimmo bussare violentemente al finestrino, lato marciapiede. Interrompendo faticosamente la nostra grande effusione scorgemmo il faccione sorridente, dal nasone un pò storto ed adunco di Enrico, che ci stava rimproverando:"Ma che fate ? Guardate che v'arresteno !"...
Sposandomi mi trasferii nella Marca Trevigiana, mia principale zona di lavoro, prima a Pieve di Soligo, poi a Montebelluna. Così persi di vista Enrico. Ci venne a trovare una volta, a Pieve di Soligo. Eravamo appena sposati e lui volle portarci il suo dono di nozze, che non aveva ancora avuto occasione: una piccola zuccheriera d'argento, un dono molto formale, come in fondo era nella sua più intima natura, signorile ed educata: l’estroversione, l’ironia ed il disincanto un po’ “romaneschi,
erano anche la sua difesa, la sua corrazza esteriore.
Lo persi di vista per oltre un anno, ma fù poi facile ritrovarlo, perchè facendo carriera nel mio lavoro fui trasferito a Roma !
Avevo il numero di telefono degli zii di Enrico, chiamai e rispose lui.
Tornato a Roma, come spesso faceva, era rimasto lì da circa un anno senza più riuscire a rientrare a Padova: lo aveva colto la crisi più forte di agorafobia che mai avesse avuto e non era più uscito di casa !
Gli mancavano ancora 5 o 6 esami e la tesi di laurea... Aveva continuato a pagare l'affitto della sua camera a Padova nella speranza di riuscire a tornare, ma non c'era stato verso !
Così riprendemmo più o meno le nostre frequentazioni, anche se in un’atmosfera abbastanza diversa da quella che era stata a Padova.
Io ero molto impegnato nel lavoro, spesso ero anche in giro per L’Italia: ci vedevamo qualche volta a casa mia, più raramente dai suoi zii. Oppure anche la sera, in giro per Roma, se io ero solo, come spesso capitava, mia moglie preferendo trascorrere lunghi periodi a Genova dai miei o a Padova dai suoi, che non in mezzo alla bolgia di Romani “maleducati”…Enrico ovviamente escluso...
Arrivammo qualche volta anche a Nettuno, alla villa degli zii ed a Canepina, ospiti dei suoi parenti Viterbesi.
Io cercai di aiutarlo in tutti i modi, nei limiti delle mie capacità e del tempo che potevo dedicargli. Forte della mia recente e positiva esperienza di psicoanalisi, cercai di convincerlo a provarla anche lui, gli trovai perfino un analista, segnalatomi da un collega di lavoro, ma non ci fù verso. A parte le sue forti resistenze c’erano quelle dei parenti, con cui provai a dialogare, ma che mi dissero quella essere cosa per “matti” e che Enrico matto non lo era !
Per sensibilizzrlo al tema lo accompagnai anche a vedere un bel film, molto divertente e tuttavia emblematico di ciò che può essere e determinare una nevrosi: “Per grazia ricevuta” di Nino Manfredi, che sicuramente lui intese…, ma senza esiti pratici.
Tentai anche di indagare le sue motivazioni subconscie…ma mi ritrovai più coinvolto in estenuanti colloqui, spesso telefonici, la sera a far tardi, che più era tardi più lui era sveglio e pimpante, come sempre, mentre io crollavo rovinosamente sino ad addormentarmi !
Ogni tanto risalivo a Padova in auto, con mia moglie e la bambina ed almeno un paio di volte avevo cercato invano di caricarmelo per riportarlo là, a finire gli studi, che a 36 anni sarebbe stata anche ora !
Nella Primavera del 1971 tentai ancora, con estrema determinazione e riuscii a convincerlo a seguirmi. Passai con moglie figlia dai suoi zii all’Eur per caricarlo e fù un’impresa: pallido e tremante cercò ancora di resistere. Ma alla fine, quasi con la forza riuscii a farlo salire in macchina e, alla buon’ora partimmo alla volta di Padova.
Dove arrivammo verso sera, lui già più rassegnato che tranquillo, comunque aiutato dall’oscurità in arrivo, che nascondeva finalmente i grandi, terribili spazi che lo circondavano spaventosamente…
Lo accompagnai casa, in zona piazza Eremitani, dove ancora aveva la sua stanza in affitto e dove trovammo dei suoi colleghi di università e compagni di pensione, ai quali di buon grado lo consegnai, raccomandando loro che ne avessero cura…
Di nuovo lo persi di vista per oltre sei mesi.
Nel frattempo avevo ottenuto di andarmene da Roma per ritornare nel Veneto, a fare un lavoro meno avvincente, ma sempre importante, soprattutto a vivere una vita più libera e meno stressante, per mia moglie in particolare.
A Dicembre, prima di Natale avevo già fatto trasloco, ma continuavo a lavorare a Roma per passare le consegne a chi mi avrebbe sostituito. Enrico mi telefonò in ufficio: era tornato definitivamente a Roma.
In nove mesi aveva sparato tutti gli esami rimanenti e discusso la tesi di laurea ! Finalmente era Ingeniere titolato !
Ci ritrovammo per festeggiare e per salutarci: lui era appena tornato ed io stavo andandomene, probabilmente per sempre.
L’ultima volta che ci vedemmo in quel contesto, facendo tardi come al solito, lui mi accompagnò a recuperare le ultime masserizie ancora rimaste in cantina, dove avevo abitato a Roma. Tra quelle c’era una pesante valigia, piena di lettere di mia amorosa corrispondenza…con la fidanzata Padovana di un tempo.
Non mi ero mai risolto a liberarmene perché giudicavo sarebbe stato un giorno interessante rileggere tutta quella “letteratura”, alla ricerca di “come eravamo…”.
Oggi ad esempio pagherei per riaverle !
Ma allora cercai di essere pratico e ne facemmo un gran falò, in una buca accanto al Grande Raccordo Anulare, all’incrocio con la Via del Mare, in concorrenza con falò di tutt'altra natura, richiami delle numerose peripatetiche ambulanti che affollavano, già allora come sempre anche quei paraggi.
Rividi Enrico altre volte, nei sei anni successivi: avendo ancora numerose occasioni di essere a Roma per motivi di lavoro, capitava così che ci incontrassimo.
Lui purtroppo era tornato a rinchiudersi nel superattico all’Eur, a "curare" i vecchi zii ed a cullare la sua agorafobia…Ogni tanto usciva, la sera, ma di giorno non c’era verso, o quasi.
Con i parenti Viterbesi era più che mai ai ferri corti: il fratello, laureato anche lui ma in tutt’altra materia, forse chimica, aveva impiantato un’impresa edile cui lo avrebbe voluto compartecipe…Figurarsi…! Del resto nessuno dei suoi era in grado di capire, neppure vagamente, la gravità della sua nevrosi.
Poi gli zii mancarono, e con loro anche il super attico e la villa di Nettuno, fagocitati dagli astuti Viterbesi che, mi raccontò, arrivarono a minacciarlo d’interdizione.
Enrico finì cosi in un miniappartamento accanto all’Olimpica, non lontano dall’EUR.
La sua Laurea in Ingenieria, tanto faticosamente conseguita restava praticamente inutilizzata. Viveva di qualche lavoretto e degli spiccioli che gli passavano i parenti.
Non è infatti facile fare l’Ingeniere “notturno”, che era la sua unica possibilità per esercitare.
Ma infine, incredibilmente, ci riuscì !
Fù assunto come “Ingeniere Notturno”…da un’Impresa Edile multinazionale con sede all’Eur, che aveva cantieri in giro per il mondo: sfruttando le differenze di fuso orario lui risultò funzionale alla continuità del lavoro nelle 24 ore.
Mi raccontò la novità telefonandomi a mezzanotte di Capodanno del 1979: lui era a Roma, in Ufficio, al lavoro !
Mi tenne come al solito quasi un’ora al telefono e mi fù palese anche allora, così come poi sempre, la sua grande solitudine.
Negli anni successivi, per 12 anni, alla mezzanotte di ogni Capodanno, ricevetti la sua lunga telefonata dall’ufficio della ditta all’Eur. Ci dicevamo sempre più o meno le solite cose, soprattutto lui aveva ben poco da raccontarmi, a parte le solite beghe coi suoi parenti del Viterbese. Soprattutto s’interessava dei miei diversi cambiamenti, del mio lavoro, dei miei figli che crescevano, di mia moglie cui si era affezionato.
Per 12 anni, una volta all’anno, alla mezzanotte di Capodanno.
Non ebbi nel frattempo più alcuna occasione per ritornare a Roma: non ci sono mai più stato, dal Dicembre del 1977 ! Lo avevo per altro ripetutamente invitato di venirci a trovare, ma figurarsi…! Forse solo trascinandolo dopo averlo sequestrato, ci sarei riuscito !
A Gennaio del 1993, notammo con mia moglie che a Capodanno non c’era stata la solita telefonata di Enrico. Provai a chiamare il numero di casa, l’unico che avevo, ma suonava sempre a vuoto. Quello della ditta all’Eur non l’avevo mai avuto.
Una sera, agli inizi di Marzo, arrivò la telefonata: mia moglie che aveva risposto era in quel momento altrimenti impegnata, ma riconobbe subito la sua voce “Ciao Enrico, finalmente ! Ti passo subito Giorgio”. Anch’io udii l’inconfondibile impronta della sua voce rispondere “Pronto” al mio “Pronto…” e subito aggiunsi:
“Allora Enrico, sei ancora vivo…!”
Ma dall’altra parte del telefono, dopo una lumga pausa, la sua voce mi disse: “No, purtroppo non sono Enrico, sono il fratello…vi ho chiamati per informarvi che Enrico è morto”…
Rimasi lì, cercando di capire se stesse celiando…, ma il tono molto grave mi aveva lasciato sospeso…Sentii così di nuovo la voce di Enrico dirmi “Nella sua rubrica ho trovato i nomi dei suoi principali amici e li sto chiamando tutti per avvertirli…Enrico è morto in Ospedale un paio di mesi fa, il solito male incurabile all’ultimo stadio…Non c’è stato niente da fare. So che eravate molto amici…lo abbiamo sepolto a Canepina…se vi capiterà di passare da queste parti telefonatemi, vi accompagnerò volentieri al cimitero”.
Il fratello aveva la stessa voce precisa di Enrico, lo stesso timbro vocale, identiche le inflessioni. Ma diverso mi sembrò il suo modo di organizzare il discorso, soprattutto l’assenza delle sue tipiche battute…che per altro sarebbero state, in bocca al fratello in quel momento, del tutto fuoriluogo. Del resto uno scherzo così pesante e prolungato non era nel suo stile !
Ma purtroppo uno scherzo non era.
Enrico se andò così, a soli 57 anni, molto silenziosamente, molto solo, ancora confinato nella sua nevrotica agorafobia.
In definitiva una vita in gran parte sprecata a causa di un’assurda patologia della mente, dell’anima. Malattia che in un contesto familiare diverso avrebbe potuto essere ben curata, assai ridimensionata, forse guarita.
Ed ebbi la sensazione che il fratello lo avesse tardivamente capito, piangendo infine le lacrime del coccodrillo…
A me tuttavia piace ricordare Enrico ancora pimpante, nei momenti buoni dei primi tempi, quando lui bonariamente ridicolizzava i miei atteggiamenti nevrotici di fronte ad alcuni problemi che allora mi disturbavano.
Momenti in cui la sua presenza, il suo spirito allegro e compagnone mi erano stati di concreto aiuto e supporto.
Dedico perciò alla sua memoria questo modestissimo ricordo.
the lonely dolphin
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