martedì 3 luglio 2012

KARAMAZOV BROTHERS





"KARAMAZOV BROTHERS"(a destra il Manifesto del 14° Salone del
Mobile Italiano: Milano Fiera 1974)


Così li chiamava scherzosamente qualche spiritoso che li conosceva da vicino...i fratelli Titolari della primaria Fabbrica di Mobili di Arosio, in Brianza.
Per la vena di apparente follia che a volte sembrava caratterizzare certi loro comportamenti concitati, sopratutto nella fase "finale", quella della triste, lunga agonia che precedette la chiusura dell'azienda.
Quella Fabbrica fù, negli anni dal 1965 al 1975, un'importante "firma" dell'arredamento, primaria fabbrica di Mobili Moderni, tra le più attive per l'affermazione del "Designe Italiano nel Mondo", insieme a Cassina, Busnelli B&B, Molteni, Tisettanta, Arflex, Castelli ecc...
Le sue produzioni portavano la firma d'insigni designer di primissimo livello, da Joe Colombo a De Carli, a Tobia Scarpa, Antonello Mosca, ecc.
Tutta gente ampiamente presente nel Gotha del Designe mondiale, i cui modelli venivano esbiti in luoghi come il Museum of Modern Art di New York.

Io ne fui, immeritatamente..., l'ultimo direttore commerciale:
nel 1974, reduce dal settore Petrolifero, mentre ancora facevo la mia breve e per molti versi istruttiva esperienza in Cifa Permaflex
(v. precedente racconto), già cercavo soluzioni più consone ed attendibili. Tra le varie inserzioni sul Corrierone cui risposi ne saltarono fuori contemporaneamente un paio al momento giusto, tra cui scegliere: l'altra era la Merloni di Fabbriano, già allora importante realtà industriale nel campo degli elettrodomestici e delle Cucine, che cercava un Area Manager per l'area del Mediterraneo.
Andai prima a Fabbriano, sull'appennino Marchigiano, con moglie e i figli piccolissimi, per capire se avrebbero gradito vivere là, sopratutto...loro, perchè io verosimilmente sarei stato in giro per il mondo gran parte del mio tempo.
Il colloquio andò bene e superai anche un lungo ed approfondito test psicoattitudinale presso studio specializzato a Milano.
Ma nel frattempo ebbi due incontri con la Fabbrica di mobili brianzola, uno a Milano, nella loro Show Room di via Montenapoleone ed un altro ad Arosio in Brianza, con il titolare, che mi assunse.
Fui assunto qualche giorno dopo anche da Merloni, cui risposi "dolenti declinare"...troppa grazia ! E fù così che dal Veneto Euganeo finimmo, anzichè nelle Marche, nella Brianza Mobiliera, dove restammo 30 anni e dove poi sono rimasti i miei figli, in quel di Como.

Della Fabbrica Firma del Mobile già allora si diceva che avesse problemi strutturali e difficoltà finanziarie..., ma erano ancora solo "voci"marginali, che non scalfivano la sua immagine d'importante firma ed industria mondiale del mobile.
In ogni caso io avevo sopratutto necessità di fare esperienza nel nuovo settore e quell'azienda mi offriva l'opportunità di farlo nel ruolo ed ai livelli più importanti...ben più che Cifa Permaflex !
Inoltre partivo con una rettribuzione che era il doppio di quanto avevo fino ad allora guadagnato !

Le prime esperienze non furono esattamente eclatanti, a partire dalla riunione che ebbi in Luglio con la forza vendite al completo.
Mi avevano organizzato l'incontro volutamente lontano dalla Sede, all'Hotel Milano Excelsior di Bologna, davanti alla Stazione, dove arrivai da solo, dopo neppure un mese di esperienza in Azienda, a fronteggiare la decina di nostri rappresentanti che scoprii essere mediamente abbastanza..."incazzati".
Sopratutto capii che avevano ottimi motivi per esserlo !
Li fronteggiai al meglio, a furia di colpi menati sia al cerchio che alla botte, chiarendo subito che in me non avrebbero trovato un altezzoso burocrate, unicamente capace di attaccare "o ciuccio dove il padrone voleva" e di rovesciare su di loro ogni responsabilità d'insuccesso...
Bensì un obbiettivo e fattivo alleato per cercare al meglio di recuperare i target di vendita e di risolvere possibilmente i problemi esistenti.
Problemi che, evidenziatimi in maniera abbastanza approssimativa, riguardavano i prodotti, carenti a livello"Novità di Collezione" ma ancor più come qualità costruttiva. Inoltre incombevano i sistematici ritardi nelle consegne e perfino l'emissione di tratte in anticipo sulla fatturazione...un patetico escamotage ai limiti della legalità per poter presentare allo sconto in Banca effetti a fronte dei quali esistevano solo, in quel momento, dei meri ordinativi...e nessuna fattura...
Praticamente una forma indebita di autofinanziamento abbastanza comune a quei tempi tra le Aziende in difficoltà...
Aspetto che mi fù pesantemente più chiaro quando il giorno dopo, lasciando l'albergo, mi fù presentato inaspettatamente il "conto" relativo a vitto ed alloggio per tutti quanti eravamo...
Io davo per scontato che chi aveva prenotato avesse anche chiarito e disposto in merito a ben altro tipo di pagamento ! Dovetti lasciare un mio assegno e capii che, sulla base di precedenti esperienze, l'Hotel riteneva me più affidabile che non l'Azienda per cui operavo...!
Fatto analogo mi capitò sei mesi dopo a Parigi, in occasione del "Salon du Meuble", ma limitatamente al mio conto personale del prestigoso Hotel dove la Ditta aveva prenotato per almeno una decina di noi, qualche importante cliente incluso.
Dopo quella volta pretesi sempre di avere congruo fondo spese in dotazione permanente !

A parte questi episodi, ma in totale contrasto con essi, era quello un mondo dove si viveva alla grande: "Noblesse Oblige"!
I migliori alberghi, i migliori ristoranti, Night Club la sera..., sontuose Show Rooms, grandi Stand alle Fiere fastosamente allestiti... e tutto il bel mondo dell' "Interior Design", dalle grandi firme ai diversi famosi personaggi dell'Industria, della Stampa Specializzata, ecc. ecc...
A Parigi, a Gennaio del ’75 la settimana della Fiera fù per me una… festa, una vacanza per vivere intensamente la Grand Ville nei suoi vari aspetti, inclusi Chiese e Musei, la Tour Eiffel, Pigalle con i sui spettacoli di “les femmes les puls nudes”, i boulevard ed i suoi bistrot, i ristoranti ed un incredibile clima “Primaverile”, per cui anche in piena notte andavamo in giro in giacchetta e null’altro, magari in coda all’ingresso “du cinemà” per vedere in versione integrale la prima mondiale del peccaminosissimo “Emanuelle”, in Italia ancora vietatissimo.

In quel mondo le"pubblic relations"si sprecavano, ad alto livello, in gran parte fine a se stesse, non finalizzate a veri, concreti obbiettivi di business, ancorchè dati per scontati !
C'era tanta vanità, voglia di apparire, di primeggiare, di essere al top dell’ "in"...in quel gratificante mondo...virtuale.
Ed il fratello maggiore, amministratore capo e vero fautore dell'Azienda, era tra i primi a rincorrere ad oltranza i più vanitosi ed effimeri target.
Le sue priorità …”industriali”erano assai più finalizzate alle peculiarità "artistiche"e formali dei prodotti, che non al loro esito "commerciale".
E' ovvio e scontato che aziende che operano in qull'ambito ed a quei livelli devono mantenere un ruolo trainante ed innovativo e quindi preoccuparsi molto del "designe".
Ma preoccuparsi sopratutto o perfino solo di quello era per un "Industria" quasi da suicidio ! La "creatività" del prodotto industriale è importante, ma non deve limitarsi alla mera "forma", deve contenere anche "sostanza", "funzione", "praticità", "affidabilità", in definitiva “vendibilità”, sopratutto negli ordini di "ritorno", non solo nelle campionature !

L'emblematico fiore all'occhiello dell'Azienda, nella persona del suo titolare, era invece il famoso "letto con capote", uno stranissimo quanto improbabile letto "decapotabile" per la firma del mitico Joe Colombo, di cui ne furono complessivamente prodotti tre esemplari: uno per il Museum of Moder Art di New York, uno per la Show Room della Fabbrica, ed uno per...Joe Colombo, che sembra ci finì prematuramente i suoi giorni...
Comunque lo si può ammirare nei testi sacri della Storia del "Desing".
Fatturato per l’industria uguale "zero".

Joe Colombo, qui su di una poltrona da lui disegnata,
morì nel 1971, a soli 41 anni per infarto (non sono riuscito a trovare un'immagine del suo famoso letto, per altro poi più volte ripreso come tema da diversi altri designers,
l'ultima versione fù presentata al Salone del Mobile 2010)

Al suo top quella "Firma" del Mobile Italiano arrivò ad avere 320 dipendenti e fatturare poco più di tre miliardi, meno di dieci milioni per dipendente, rapporto quanto mai negativo anche per quei tempi.
In compenso aveva in produzione più di 400 articoli, in maniera totalmente dispersiva ed antieconomica...
Se invece di fare gli industriale si fossero accontentati di fare gli artigiani, come il loro padre, ma a livello molto alto, con prodotti "di nicchia", destinati a pochi in grado di permetterseli e/o di apprezzarli, l'azienda sarebbe probabilmente ancora oggi sul mercato !
I fratelli erano tre, ma l’unico, il solo e vero fautore, nel bene e nel male della Ditta, firma prestigiosa dell’industrial design era il maggiore dei fratelli.
Un uomo allora di mezza età, statura media, carnagione e capelli scuri con con un inizio d’incipienza…di notevole aveva gli occhi, neri e grandi, capaci di una dilatazione bovina, liquidamente meridionali ed assai espressivi, occhi ipertiroidei, un pò alla Mussolini.
Una sorta di Bruno Vespa, ma più bello, persino affascinante a detta delle signore !
Talora potevano sembrare gli occhi di un…pazzo e forse un po’ folle lo era davvero, perlomeno tali parevano certi suoi comportamenti tra il geniale ed l’irrazionale, così come forme di emotività assai forti e poco controllate…non di rado rivolte ad aggressioni non solo verbali verso le procaci fanciulle e signore che formavano lo staff impiegatizio e non solo, di cui si circondava e tacitamente vantava…
Più di una volta una sua segretaria, una scapolona che parlava correttamente cinque lingue, mi chiese esplicitamente soccorso… tranne poi manifestarmi la propensione a ricevere ben altre consolazioni…
Altrimenti era la mia segretaria, una bella ragazza di 25anni, molto seria e riservata, ligia ed efficace nel lavoro, della quale avrei potuto sicuramente innamorarmi se non fossi stato anch’io molto serio e riservato, ma soprattutto già felicemente sposato con altra fanciulla che non le era certamente da meno.
Comunque non era facile mantenersi “casti” da quelle parti, con le “sventole” che vi circolavano, incluse le mogli dei tre fratelli titolari !
Uno dei quali, non ne rammento il nome, fungeva da tecnico e si occupava ufficialmente della “produzione”. Era un brevilineo dall'apparenza insignificante che aveva sposato una bellissima donna, una sua ex operaia…così giustamente promossa a ricca signora.
Ciò che assai frequentemente accade.
Il terzo e più giovane fratello, di pochi anni maggiore di me, era un po’ la pecora nera di famiglia, ma nel senso veniale dei termini. Era una sorta di macchietta, tra il bauscia e lo scansafatiche, con uno spiccato senso di Humor naif, a livello di basso "cabaret"...
Ma in fondo poteva risultare anche un simpatico giovialone.
Abitava il superattico dell’alta palazzina di vetro sede dell'Azienda, accanto al passaggio a livello delle Ferrovie Nord Milano, rimasta dopo il fallimento inutilizzata per decenni.
Normalmente scendeva da casa direttamente in ditta (un piano di scale, ma lui usava l’ascensore) verso le dieci del mattino, qualche volta ancora con la giacca del pigiama, la barba lunga e la tazzina del caffè in mano che sorbiva lentamente nel vano tentativo di risvegliare l’occhio cisposo e semichiuso dall’espressione comatosa.
Così conciato aveva il coraggio di sollecitare i dipendenti, già al lavoro da un paio d’ore, ad essere alacri ed efficenti ! Passava poi nel mio ufficio per chiedermi, con un grande sorriso di benevola compiacenza: “tutto bene?” Con ciò rievocandomi l’immagine di Sordi nel film Felliniano “I Vitelloni”, la famosa scena della pernacchia : “lavoratori…”!
Non aveva un incarico ufficiale in Azienda, faceva di tutto e soprattutto tendeva risparmiarsi. Suo grande merito era però quello di aver sposato una bella donna, figlia di ricchissimi. Che poi, mi fù detto, quasi si dissanguarono nel vano tentativo di evitare alla Ditta del genero l’onta del fallimento. Comunque a quei tempi il più giovane fratello ancora dormiva sonni tranquilli e si stava allora costruendo, si diceva con i soldi della moglie, una grande ed importante villa in zona.
A progettarla e dirigerne i lavori era una signora di Voghera, l’Architetto consulente della Ditta per la realizzazione di tutti gli Stand Fieristici e soprattutto delle “ambientazioni” dei mobili negli spazi espositivi dei clienti che acquistavano le campionature.

Le vendite nel settore infatti funzionavano così: i clienti, perlopiù specializzati commercianti di mobili, selezionavano ed acquistavano campionature dei nostri prodotti, mobili e salotti, cui destinavano un determinato spazio nelle loro esposizioni, nell’ordine di grandezza media di circa 100-150 mq..
Noi fornivamo gratuitamento il realtivo progetto di ambientazione.
Questo tipo di vendita costituiva una notevole reciproca opportunità, ma risultò alla lunga una pericolosissima arma a doppio taglio, una delle cause principali del successivo “default” dell’Azienda !
Come io ebbi purtroppo assai presto modo di verificare: l'esito futuribile delle vendite dipendeva da come venivano fatte le campionature. Se ad esempio fossero stati scelti e/o suggeriti ”attrezzi” tipo il “letto con capote” di Giò Ponti (ma non si arrivò mai a tanto !), quello spazio espositivo avrebbe destato negli utenti tanta curiosità ma nessuna vendita !!!
Ed i fatturati si fanno con le vendite, non con la curiosità.
Purtroppo gran parte delle campionature piazzate nelle principali e prestigiose esposizioni di tutta Italia risultarono alla lunga sterili, perfino controproducenti !
Ciò sia per lo scarso esito dei modelli proposti, sia per la verificata fragilità e precarietà costruttiva dei mobili che invece si vendevano.
I Rivenditori dopo queste esperienze negative erano divenuti, nonostante fosse il “nome” ancora di richiamo, fondamentalmente restii ad ulteriori acquisti.
Me ne resi ben presto conto, già dopo la già significativa riunione di Bologna con i venditori affiancandoli nelle visite a campione presso la clientela.

Questa in breve era la storia di una prestigiosa "Firma" di quel settore, ma anche di diverse altre realtà di quei tempi. Lanciata dagli anni del boom economico, nel Mobile c’era stata una formidabile escalation di vendite, con l’apertura di un gran numero di nuove, grandi e perlopiù prestigiose “Esposizioni”, ciascuna delle quali metteva insieme spazi di migliaia di metri quadri ! Spazi da organizzare con adeguate “campionature”, possibilmente a partire dalle grandi “Firme”, tra cui sicuramente quella di cui trattasi, che fece la sua parte, risultando ben presente più o meno ovunque, nei posti giusti.

Ma i “dilettanti allo sbaraglio”, nel clima di “vacche grasse” che allora tirava, non erano ancora usi a ragionare in termini di “verifica della redditività degli spazi espositivi”, comunque delle campionature.
E’ ovvio che alcuni “pezzi particolari”, di "Immagine" ad effetto e di richiamo, gli “specchietti per le allodole” dovevano essere previsti, ma non solo o soprattutto quelli !
Senza contare che i prodotti costosi, esteticamente validi, avvincenti e gratificanti, ma che poi risultavano nell’uso o perfino già nel montaggio inaffidabili, fragili, tecnicamente mal progettati e peggio costruiti, finivano con il diventare altrettanti deterrenti per la successiva commercializzazione del Marchio!

Ciò che era in gran parte avvenuto per quell'Azienda.
Mi resi drammaticamente conto, in conclusione, che per diversi anni, cioè quelli dell’affermazione “Industriale” della "Firma" e del suo “Marchio”, il suo crescente fatturato era stato conseguito per almeno il 70%, da prodotti unicamente destinati alle nascenti esposizioni, dove ora giacevano invenduti, formando un ostacolo quasi insormontabile per ulteriori nostre vendite a quei negozi !

Mi ritrovai quindi più o meno di nuovo alle prese con lo stesso ordine di problemi che avevo già verificato e sofferto nella mia precedente, veloce esperienza con Uno Pi ed Italbed (v. Cifa, racconto che questo precede nella stessa serie dedicata a “Business&Administration: dilettanti allo sbaraglio”).
Ma questa volta, almeno dal punto di vista commerciale, la situazione non mi sembrò così inevitabilmente compromessa. Occorreva però attivarsi seriamente per adottare gli opportuni aggiustamenti, sia tecnici che stilistici e lavorare strenuamente, con molta accortezza per tentare il recupero di credibilità necessario a rilanciare le vendite. Impresa non da poco !
Ma il grosso ostacolo risultò essere il fratello titolare, come probabilmente già aveva capito il direttore commerciale che mi aveva preceduto.
Definirlo un “artista megalomane” è sicuramente non vero, perlomeno fortemente esagerato…Che tuttavia lui fosse una sorta di “genialoide” con spiccata tendenza alla megalomania mi sembra definizione attendibile.
Megalomania che finiva con il sovrastare la sua pur presente componente razionale, d’imprenditore in fondo consapevolmente conscio del divenire di una situazione sempre più grave ed insostenibile. Era di fatto molto combattuto, ma spesso finiva con il prevalere la sua parte irrazionale, a scapito di quanto si sarebbe dovuto fare e che io cercavo di promuovere.
Tranne perseguire improbabili escamotagè, come il tentativo di compensare nei Paesi Arabi la carenza dei risultati in altri mercati.

Allora stava partendo alla grande la corsa verso gli “emirati” ed in diversi si erano già ben attrezzati per sfondare in quel ricco mercato.
In Giugno, a ridosso della fiera di Bari del “Mobilevante”, il titolare dell'Azienda, partì alla volta degli emirati, in perlustrazione di opportunità affaristiche. Rimase da quelle parti per alcune settimane e rientrò direttamente a Bari, a Fiera già iniziata. Andai a prenderlo all’aeroporto e lo trovai felice e pimpante: mi raccontò che aveva “concluso” “Business” per circa 4/500 milioni di lire (almeno 4 milioni di euro attuali !) ed alla Fiera Barese si comportò con tranquilla sufficienza e superiorità nei confronti degli esiti che stavamo cercando di conseguirvi.
Dopo qualche mese scoprii che il “Busines” da lui millantato era…inesistente, fatto unicamente di ipotesi per nuovi progetti, rivelatisi poi assolutamente improbabili, innazitutto tecnicamente, comunque non avallati da alcuna ancorchè vaga adesione di possibili reali clienti: erano solo, nel migliore dei casi, rilievi di mercato circa gli eventuali nuovi prodotti che si sarebbero potuti progettare, testare e costruire per affrontare quel specifico mercato, perlopù “ispirati” se non pedissequamente copiati da quanto già veniva concretamente fornito da diversi, seri ed attrezzati esportatori, Italiani e non solo.
Progetti schizzati sulla sabbia del deserto arabo, subito cancellati dal vento.

A volte mi appariva come un caparbio, irriducibile “poeta”, ambiziosissimo di “gloria”e di successi innanzitutto formali, di conferme e gratificazioni del suo essere una stella luminosa nel firmamento dell’”Industrial Design” mondiale !
Al mobil Levante avevamo tra l’altro presentato dei nuovi modelli di mobili, la serie “Cubea”, niente di eccezionale, design sobrio, prezzi abordabili, tecnicamente affidabili…, qualcosa si era venduto, ma era per noi un prodotto atipico, affatto “eclatante” e noi per primi l’avevamo preso sottogamba, snobbandolo.
In effetti era nato da un esperimento per incontrare la crescente tendenza di mercato verso soluzioni più semplici, meno ricercate e soprattutto di prezzo abordabile.
Un prodotto sobrio, affidabile e dal giusto prezzo, alla “Molteni”, azienda che seguendo quel filone stava progressivamente imponendosi sul mercato e sarebbe presto diventata Industria di riferimento per chi, banalmente, voleva ben “fatturare”!

Cubea probabilmente era nato dai suggerimenti del “guru” di riferimento per i “dilettanti allo sbaraglio” nel settore del Mobile in Brianza. Dottore Commercialista, aveva un attrezzatissimo ed imponente studio di consulenza aziendale, finanziario, amministrativo e fiscale in quel di Monza.
Studio dotato di decine di dipendenti, le attrezzature elettroniche più avanzate e tanti “agganci”, di ogni tipo e livello.
Oltre ad essere abile e preparato era anche un gran marpione, manipolatore di coscienze…”sporche”, confessore di “peccati” non dichiarati…, sapiente affabulatore e predicatore, nonché grande inventore di…” acqua calda” per ogni uso, miracolo, soluzione ed…"assoluzione", almeno sul piano morale...
L’ambito in cui riusciva meglio e che gli procacciava probabilmente maggiori guadagni, era l’assistenza alle "aziende in difficoltà".
Aziende che, nonostante la sua consulenza, , presto o tardi finivano in gran parte tra le...grinfie della sua “curatela fallimentare".
Come capitò dopo qualche anno anche a quella "Firma" del Mobile, il cui titolare, fra tanti altri “dilettanti allo sbaraglio” non faceva eccezione: anche lui subiva molto il carisma fascinoso e pontificale del grande consulente, il “guru” dei mobilieri Brianzoli.

Comunque fosse, ritornato da Bari io mi dedicai ad un’analisi approfondita degli esiti di quella fiera, dell’entità e tipologia delle vendite effettuate, dei riscontri commerciali verificati e delle prospettive che quell’analisi poteva suggerire.
A proposito di “Cubea” ebbi un’intuizione: provai ad organizzarne i vari componenti simulando alcuni progetti di arredamento d’interni completi o quasi: camera da letto, soggiorno pranzo con salotto
( mancava la cucina che noi non producevamo), comunque il tipico investimento di una copia di giovani sposi.
Fui il primo a sorprendermi per il livello di prezzo globale che poteva risultare per l’intero investimento: un ottimo rapporto prezzo-qualità !
Elaborai allora al meglio 3 o 4 soluzioni, diverse sia per componenti che per prezzi e le organizzai in una bozza di depliant fatta a “collage” che infine sottoposi, corredata delle dovute considerazioni…”marketing oriented”, al titolare.
Lui stranamente non si…scandalizò !
Anzi, si precipitò a chiedere il parere del suo “Guru” che risultò con entusiasmo favorevole, per cui fui specificamente complimentato.
Partimmo abbastanza convinti per quella campagna vendite, facendo perfino un po’ di pubblicità con i soldi che non avevamo…. I depliant furono in gran numero stampati e distribuiti, soprattutto tramite quei rivenditori che recepivano quelle proposte nelle loro esposizioni, aderendo alla promozione.
L’iniziativa ebbe un palpabile successo e decidemmo perciò di prenderne spunto per allargare in quell’ambito, di modesto effetto visivo e di nessun fascino stilistico innovativo, le future collezioni in preparazione per il Salone del Mobile Italiano, a Settembre del 1975.

Ma com’era prevedibile, la nobile cerchia dei suoi amici, stilisti, architetti, firme più o meno affermate dell’Industrial Design, progettisti d’interni con la fissa della propria inalienabile genialità, arredatori d’elite…misero in mezzo il nostro titolare, mortificandolo anche con battute sardoniche per quanto lui stava ora perseguendo, giudicato più che banale, perfino volgare e degradante…!
Ciò che lo mandò in crisi totale e lo fece pentire amaramente per quanto lo avevamo convinto a fare, portandolo letteralmente fuori di testa…
Ma tornare indietro era troppo tardi, la data del Salone incombeva e sarebbe stata dura perfino arrivare in tempo per esporre il programma così gia varato, figuriamoci cambiarlo ! Sarebbe stata dura anche perché i fornitori delle materie prime già avevano iniziato a centellinarci le consegne, timorosi della nostra possibile insolvibiltà ai pagamenti…

Alla fine si inaugurò il Salone: nell’empireo del quale, cioè al terzo piano del Padiglione 30, tra le maggiori “firme”titolate c’eravamo anche noi, come di consueto, con i nostri nuovi mobili, proposte non eclatanti, ma dignitose, sicuramente “esitabili”, ma poco adatte all’esibizione in sifatto contesto.
Mancavano sopratutto due cose: il primo titolare, che si era andato a nascondere per la vergogna…non volendo essere identificato con quel tipo d’immagine che stavamo proponendo…E pazienza, potevamo anche fare a meno di lui.
Non potevamo però fare a meno dei “Listini Prezzi”, che lui solo aveva e poteva elargirci ! Passai tutta la mattinata a cercarlo in ogni modo, tenendo contemporaneamente a bada i rappresentanti ed i clienti interessati, che apprezzando i modelli, guarda un po’ che curiosi, volevano anche conoscerne i prezzi !

Quando ormai non sapevamo più dove andare a sbattere, nel pomeriggio se ne venne, sorridente e tranquillo, facendo buon viso e nascondendo lo “schifo” e la vergogna che stava provando per essersi ritrovato così in basso…! Avemmo così anche i prezzi e riuscimmo anche a vendere quello "schifo"...
Che faticammo poi però a consegnare, causa …carenza di materie prime…O più esattamente di "liquidità" per approvigonarle…

Eravamo oramai così ridotti, che alla tornata di ogni fine mese i “fratelli Karamazov”, dovendo cercare nelle loro tasche vuote quanto indispensabile per far fronte ai ricorrenti pagamenti, a partire dagli stipendi dei dipendenti, facevano gran litigate, drammi rusticani, con la minaccia d’incendiare le fabbriche (così almeno avrebbero realizzato il risarcimento delle assicurazioni…?).
Ed una notte un incendio ci fù anche per davvero, ma poco convinto, subito circoscritto e facilmente rimediato, senza danni reali: se mai qualcuno l’aveva avviato doveva poi essersi subito pentito…

Anch’io ormai faticavo, alla fine di ogni mese ad incassare i miei emolumenti…ma non solo per quello mi ero già da tempo attivato per cambiar aria, al più presto.
Ormai era chiaro che non ci sarebbe stato futuro ed in ogni caso io non reggevo più la situazione, incontrollabilmente degradante.

Riuscii in quell'intento verso fine anno, ed ebbi di nuovo due concrete opportunità di scelta: passare come direttore vendite con Lema, emergente nuovo marchio nel settore del mobile moderno, lanciato allora dai Meroni di Arosio, già solida realtà industriale nel settore, ben attrezzati in quanto a capitali ed organizzazione.
Il cui titolare fù tra l’altro uno dei primi industriali rapiti in quella simpatica Italia che, dalla metà degli anni’70, vide nascere e crescere, accanto a quella dei “brigatisti”, anche l’...Industria dei rapimenti.
Oppure passare al tessile d’arredamento, con la Samit di Borgosesia, uffici a Milano centro, fabbriche e magazzini un po’ ovunque.
Lema mi assunse presso la sua bellissima, modernissima Fabbrica a soli 3 km da casa mia. Mi assunse non “grazie”, ma “nonostante” il fatto che io provenissi da dove venivo…Non me lo dissero esplicitamente, ma mi fù chiarissimo quando il direttore generale mi spiegò che sarebbe stato meglio che io, per almeno sei mesi almeno, non mi palesassi alla clientela, così da creare uno stacco tra la mia immagine e quella ormai irrimediabilmente incrinata dell’Azienda da cui provenivo !
Fui così assai mortificato nel mio calcolo, fatto due anni prima, per cui un back ground in in quell'Azienda mi sarebbe infine risultato quanto mai positivo per ogni passo successivo…
In realtà poi lo fù, ma con tutte le “riserve” del caso, come quella che ora Lema mi palesava.

Ma ero in Lema da tre giorni quando mi arrivò la conferma che anche Samit mi aveva assunto: dovevo andare subito a Milano per firmare il relativo contratto.
Si trattava di un lavoro nuovo, nel tessile d’arredamento, assai più scomodo che in Lema: avrei avuto due uffici: uno a Milano, non a tre minuti, ma a più di un’ora di distanza da casa, l’altro a Borgosesia, alle pendici del Monte Rosa, ad almeno due ore di macchina.
Ma in Samit avevo spuntato un contratto che prevedeva guadagni ben superiori ed io in quel periodo stavo affrontando ancora le spese della nuova villetta che in Brianza avevo appena realizzato.
Buon ultimo in quel nuovo ambiente non avrei sentito il peso delle pregiudiziali, la tara che ormai sembrava aleggiare sulla mia immagine,
se a quell'Azienda collegata
Con Lema feci profondo atto di contrizione e partii subito per la nuova avventura nel Tessile d’arredamento, settore nel quale poi finii con l’operare per oltre 33 anni !

Ed anche li, naturalmente, mi ritrovai ancora alle prese con “dilettanti allo sbaraglio”. Come avrò modo di raccontare.

“the lonely dolphin”
(serie Business&Administration:Dilettanti allo sbaraglio)

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