sabato 28 maggio 2011

LA NONNA GISELLA

LA NONNA "GISELLA"*: NOVECENTO ATTO 1°
* v.nota a fine racconto

Si, l'epoca ed i luoghi in cui si svolge il racconto sono esattamente quelli del film di Bertolucci !
Gisella nacque esattamente nel 1899 in quel di Montecchio Emilia, accanto al torrente Enza che divide le province di Parma e Reggio.
Montecchio resta sulla sponda "Reggiana", ma la maggior parte dei Montecchiesi che ho conosciuto, a partire dalla nonna Gisella, ambiscono definirsi "Parmigiani" ed a Parma facevano riferimento per ogni possibile necessità o frequentazione.
La Gisella si piccava anzi del suo essere "Parmense", avendo quasi il pudore di nascondere la reale ubicazione geografica delle sue origini, come se fosse disdicevole essere di Reggio, neanche si fosse allora già palesato un tale "Professor Prodi", reggiano da cui doversi opportunamente ed in ogni modo dissociare.
Ma Parma è tutta un'altra cosa, è la patria di "Peppino"Verdi ! (e di Giovannino Guareschi !), sede del gran Ducato di Maria Luigia, celebrato da Sthendal per la sua Certosa e quant'altro ! Fù ed è città di cultura e di business, patria del più grande formaggio del mondo, di grandi inziative industriali in campo alimentare e non solo, da Parmalat ad Arquati, grandi nel bene e nel...male. Patria di salumi soprafini, dal culatello al Felino...
Ecc.., ecc...
Anche Reggio, per carità, ha le sue belle prerogative, oltre a quella di essere la città più..."rossa "d'Italia. Ma Parma è un'altra cosa !
Gisella crebbe, unica femmina tra numerosi fratelli, in una famiglia ovviamente contadina della "bassa" pianura, dove il sole in estate picchia come un maglio, facendo andare in cottura anche i cervelli meno esagitati", come era solito ripetere Guareschi nei suoi racconti dedicati a Don Camillo e Peppone.
E tra i parenti di Gisella, fra sole e Lambrusco, più di uno finì con il risentire del "clima"...Mi raccontava di un suo fratello, temperamento anarchico votato al socialismo, che dopo il '22, quando arrivarono le squadracce "Fassiste" (vedi l'"Attila" di Bertolucci) a bastonare per conto dei proprietari latifondisti i contadini ribelli, lui che esattamente contadino non era, si ribellò in ogni modo, contrastandoli con il coraggio della follia irridentista, finchè non lo presero di mira e decisero di fargli la pelle.
Sentendosi braccato e definitivamente perso decise di suicidarsi : non mi avranno vivo! Ma per farlo scelse, tra i tanti più logici, il mezzo meno pratico ed efficace :
buttarsi dalla finestra, di esito quanto mai improbabile in una zona dove le case più alte non arrivavano che ad un "secondo piano"...
Testardo e determinato lui insistette, finendo col buttarsi...più volte dai 4 - 5 metri massimo che gli offrivano le costruzioni disponibili.
Essendo anche forte, gagliardo e resistente dovette ripetere l'operazione numerose volte, insistendo ad atterrare "di testa"...la cosa forse più dura del suo corpo !
Alla fine si trascinava carponi, già in gran parte stordito e fratturato, su per le poche scale per tuffarsi nuovamente, ma alla fine riuscì nell'intento.

Altro bell'elemento era il papà di Gisella, una specie di gigante forzuto cui la nonna mi diceva io assomigliassi. Il quale morì, Gisella era poco più che bambina, a 39 anni di "crepacuore".Questo il referto emesso dai "cerusici" di quel tempo.
Ma il suo crepacuore non aveva origini emotive, non causava da grandi dispiaceri o problemi esistenziali...Voleva solo dire che il suo cuore si era "rotto" in conseguenza degli sforzi fisici estremi cui il papà di Gisella si sottoponeva, così per scommessa !
Egli oltre al phisic du role ci aveva anche la "testa", il culto della propria forza fisica esibita ad oltranza, sopratutto se provocato da scommesse sempre più ardue dai compaesani divertiti ed alterati dai fumi di "Lambrusc"...
Lui era commerciante di vini e titolare di Osteria Trattoria, nella quale già lavorava la giovanissima Gisella, a dodici anni in grado di arrotolare i "cappelletti" contemporaneamente con due mani: nello stesso istante ne faceva uno con la sinistra ed un altro con la destra !Ciò che io poi la vidi replicare molti anni più tardi.
Come Oste e Trattore si sentiva anche in dovere di esibirsi ed intrattenere gli avventori, facendosi trascinare nelle prove e nelle scommesse sempre più assurde e di improbabile esito.
Come quella di sollevare un tavolo in legno massiccio dell'osteria con dodici uomini seduti sopra ! Si infilava sotto il tavolo e spingendo con gli arti verso la schiena finiva col sollevare il tutto di qualche centimetro, quanto bastava per vincere la scommessa, parliamo di circa una tonnellata o poco meno !
Oppure trainare un carro carico di botti piene vino sino alla stazione, mettendosi tra le stanghe al posto dei cavalli !
O ancora in stazione agganciare da solo, spingendolo a mano, un vagone carico al treno !
Una volta disse a Gisella:"vieni vè, che andiamo a vedere il mare"!
Ma non la fece salire sul treno, troppo banale: la montò sulla canna della sua bicicletta, un cancello di almeno 20 chili, e pedalando verso la Cisa, allora ancora infestata dai briganti, arrancò fino al mare !
Prima di morire giovane per "rottura del miocardio" aveva aperto una trattoria "Parmigiana" anche a Genova, città con cui già commerciava e fù li che dopo la sua morte finì Gisella.
Anche sua mamma morì giovane, di mal sottile (o tubercolosi), causa di decesso allora assai frequente; i giovani fratelli superstiti finirono allo sbando, l'eredità paterna fagocitata dai furbastri di turno in assenza di qualcuno capace di proteggerla. L’ osteria genovese finì nelle mani di una zia che, bontà sua prese Gisella con se a vivere, sopratutto a lavorare, sfruttando le sue notevoli capacità di cuoca e la sua… precoce avvenenza per servire tra i tavoli ed attirare i clienti.
A 14 anni Gisella era già sviluppatissima e dovette presto difendersi dalle avançes di avventori impudenti ed alterati dalle libagioni e lo faceva senza mezzi termini : più di una volta una pesante bottiglia di vino ebbe a rompersi schiantandosi sul cranio di qualcuno che aveva osato allungare le mani al suo passaggio ! La fanciulla imparò assai presto ad esercitare il forte carattere insieme al forte fisico di cui la natura l'aveva dotata.

La zia "scapolona" la condusse presto con se al ballo, per usarla a mò di richiamo per quei baldi giovani che a lei stessa sopratutto premevano...
Tra quelli un bel giorno Gisella ne notò uno, il più alto ed aitante, che tra gli altri la puntava (si, letteralmente, come si usava allora: l'invito al ballo si formulava puntando il dito verso la dama e talora più "cavalieri" si trovavano a puntare la stessa ballerina ed a lei toccava scegliere con chi danzare). Lei lo scelse e fù così che lui divenne poi nostro nonno Federico...

Ma per divenirlo la strada fù lunga, tormentata ed avventurosa !
Gisella infatti aveva una particolarità fisica del tutto atipica, imprevedibile in una maggiorata con la sua prorompente silouette: era sterile !
Lo aveva verificato partendo dal fatto che il suo ciclo mestruale non era mai iniziato.
I vari accertamenti si conclusero a Parma, dove un eminente ginecologo la informò, dopo averla attentamente visitata, che non avrebbe mai avuto figli.
Gisella si rassegnò a questa sua condizione, che probabilmente risultò quanto mai comoda per il suo nuovo amico, Federico, bel tipo, gran tombeur de femmes quanto mai alieno ad impegnarsi in legami matrimoniali !
Abilmente la convinse a cedere ai naturali impulsi che, oltre ai sentimenti premevano nei loro giovani corpi, tanto non correvano alcun rischio...

Ma la natura prima o poi si ribella e presenta il suo conto.
Non a caso la nonna Gisella era solita usare un'eufemismo tipico per la sua generazione, la parola "natura" per definire l'organo sessuale femminile…
Fù così che lei, pressochè diciotenne (ma da almeno due anni frequantava il baldo Federico) risultò essere un pò...incinta !
Tornò dal professore Parmigiano che l'aveva dichiarata sterile, il quale non ebbe che da constatare l'assoluta improbabile stranezza del fenomeno: si, inspiegabilmente la ragazza ci era rimasta...La studiò anche in Ospedale, come caso totalmente atipico,...ma la conclusione pratica...quella rimase.
Scandalo ! Nel 1919 una ragazza madre era considerata nel migliore dei casi alla stergua di meretrice !
Scandalo ! Il baldo Federico, fresco "Ardito", reduce degli Alpini della prima guerra mondiale appena terminata, si eclissò veloce e rapido come un..."dirigibile", immagine alata quanto mai rappresentativa della “moderna rapidità” di quei tempi.
A Gisella non restò che fuggire lontano da Genova.
A nascondere il suo peccato tornò nel Parmense, presso un'altra zia, defilata in quel di Zibello, patria gloriosa del culatello, dove nell'Aprile del 1920 nacque una deliziosa bambina, cui fù imposto il nome di Lidia, figlia del “peccato”!

Ma nel Parmense Gisella non restò a lungo, anche in seguito alle avançes del marito della zia, un simpaticone che, perduta per persa che fosse la giovane puerpera, tanto valeva approfittarne…e si prese anche lui la sua bella bottigliata in testa…
Gisella raccolse tutto il suo coraggio (e non era poco), la sua bellissima bimba e tornò a Genova, determinata a mettere Federico davanti alle sue responsabilità.
Federico, che era ben navigato in vicende di ogni tipo, essendo cresciuto alla dura e variegata scuola dell’angiporto Genovese e della trincea di prima linea a Caporetto e d’intorni, avvertito della Gisella che lo stava cercando si organizò al meglio per non farsi incastrare. Conoscendone il temperamento focoso ed iracondo la prevenne, andandole incontro per affrontarla, fiancheggiato da un paio di compari che, quando Gisella fù a lui vicina la bloccarono e perquisirono per verificare che non avesse il coltello od altra arma “per vendicare il suo onore”, come in uso a quel tempo…
Ma l’arma letale della Gisella risultò presto essere… Lidia, la piccola, bellissima bimba alla cui vista il rude e prode Federico disarmò ogni difesa, si sciolse e capitolò e capì di essere “padre”.
Così Gisella e Federico iniziarono a convivere con la loro figlioletta, nata solo per un errore della “natura” ( a conferma del quale errore Gisella continuò poi a non avere mai il ciclo mestruale !).

Rimasero insieme per oltre 60 anni, sopravvivendo dolorosamente all’unica figlia, prematuramente mancata, conducendo un menagè familiare caratterizzato da reciproca solidarietà alternata a continui e spassosi litigi, spesso basati sul nulla, alla stregua dei comici personaggi di tante vignette e commedie, rappresentanti copie in continuo alterco o discussione, tipo Tordella e Capitan Coccoricò del Corriere dei Piccoli, alla cui lettura mi iniziò proprio il nonno Federico, piùtosto che i personaggi marito e moglie delle divertenti commedie di Govi…cui Federico finì per assomigliare, se non altro nei modi e nelle battute che volutamente imitava.
Gisella dovette rassegnarsi da giovane alla compagnia di un marito che era assolutamente un brav’uomo, ma spesso si lasciava trascinare dalla “goliardia” compagnona dell’essere un “Alpino”, un “Ardito” ed anche un fascista di maniera…
Emblematica la sua partecipazione alla “Marcia su Roma”, dove mai riuscì a giungere, perso per strada tra bagordi, libagioni e fanciulle compiacenti…
Tornato infine a casa, tuttavia alticcio, raccontava Gisella impiegò la forza eccezionale che aveva nelle mani (me lo ricordo settantenne che rompeva una noce tra le dita di una sola mano!) per girare verso l’alto il rubinetto dell’acqua: gli dava fastidio che pisciasse in basso, posizione contraria ad una sana e mascolina erezione…

Come anche altrove ho raccontato, Gisella fù spesso in famiglia con noi, presso la figlia, con il ruolo ufficiale di “cuoca”, essendo estremamente dotata nell’arte culinaria: famosi molti suoi grandi pranzi a base di cappelletti in brodo, cima alla Genovese ecc…ecc…, che rendevano il meglio delle cucine regionali Emiliana e Ligure (ciò che non è poco!).
Ci seguì più o meno ovunque migrassimo, da Genova a Civitavecchia, La Spezia, Padova…”abbandonando” il “povero” Federico…che approfittava di buon grado delle sue assenze per indulgere a quel po’ di “libertà" che gli acciacchi dell’età ancora non gli impedivano di godere.
Credo che l’alternarsi di questi periodi di lontananza fosse decisamente salutare per un accettabile trend di rapporti della copia.
Comunque arrivava sempre il momento in cui la Gisella, “fatto il pieno” della nostra compagnia ( e noi della sua, talora…invadente) ripartiva per casa sua: “vado a vedere cosa combina quel pover uomo di vostro nonno”…

Fù sempre una donna molto attiva, anche fisicamente nonostante la mole, gran lavoratrice e sempre molto determinata. In più di un'occasione la sentii recriminare lamentando che, se avesse avuto un altro tipo di uomo che non Federico, lei avrebbe avuto certamente un successo garantito aprendo un suo "ristorante"...e sicuramente aveva ragione ! Non era infatti solo una cuoca eccezionale, capace di non buttare via nulla, riciclando al meglio qualsiasi elemento commestibile o quasi, aveva anche uno spiccato senso degli affari e dell'economia !
Ed era estremamente intraprendente.
Ebbi modo di osservarla accompagnandola al "Mercato Orientale" di Genova, accanto a via XX Settembre: girava tra i banchi indagando con l'occhio attento, perfino rapace, memorizzando merci, qualità, prezzi...
Poi veloce come un moderno computer risolveva l'equazione: prezzo-qualità media dei prodotti-ubicazione del banco e puntava decisa su quello, dove intraprendeva una trattativa levantina su prezzi e quantità,
e mentre il venditore si distraeva per pesare o dar retta ad un altro cliente lei, veloce come il fulmine ma imperturbabile come il cielo azzurro, acchiappava dal banco una o più manate di merce (frutta, verdura...) e se l'infilava nella borsa...!
La sua abilità in cucina non aveva limiti, anche nell'aspetto squisitamente "tecnico": riusciva a disossare un pollo senza perderne un lembo di pelle: lo spogliava letteralmente lasciando intera la sua "tutina" di pelle, abile e rapida come un chirurgo vascolare.
Una volta in Brianza, dove morto il nonno rimase più volte con noi per diverso tempo, mia moglie Wanda l'accompagnò ad acquistare la carne nella migliore macelleria della zona. Lei voleva prepararci la "cima alla Genovese" e chiese perciò un taglio fine e regolare, ben squadrato di non ricordo quale parte della carne di vitello. Il macellaio la guardava stralunato senza capire, essendo per lui quella una novità assoluta.
La Gisella lo aiutò a trovare quella carne e cercò di spiegargli come avrebbe dovuto tagliarla, ma inutilmente.
Allora perse la pazienza e davanti all'ormai molta altra clientela in attesa, con Wanda che non sapeva più dove andare a nascondersi,
la nonna Giosella partì spedita, andò dietro al banco, strappò di mano il coltellaccio al macellaio allibito ed impotente ed in quattro e quattro otto, con inusitata perizia, si fece il suo bel taglio perfetto dando una eclatante dimostrazione di grande abilità "chirurgica"...Applausi !
Poi tornarono altre volte da quel macellaio, ed ogni volta lui interrompeva di servire altri clienti, ed annunciando lo spettacolo, la inviatava a prendere il suo posto !
Quando Wanda ebbe modo di tornare da sola a quella macelleria fù sempre richiesta con preoccupazione di notizie "della nonna".
Che non solo spendeva cifre importanti, ma dava anche spettacolo.

Nel 1975, Federico morì più che ottantenne (ricordo che nei momenti di vaneggiamento che precedettero la sua fine, il cuore cui non bastava ormai più neppure il pacemaker, si rivedeva in trincea, davanti alla morte cui era sfuggito nel 15-18 e dal letto ci indicava una sentinella, allora colpita a morte e che ora, dopo 60anni lui stava raggiungendo…). Gisella rimase sola, tranne l’episodica compagnia della nipote Elisabetta, che per quanto si prodigasse non poteva assisterla come lei, sempre più noiosa, avrebbe preteso ed in parte richiesto.
Mario viveva a Padova ed era il più lontano. Io in quel di Como, la ospitai più volte, finchè fù in grado di muoversi, comunque spesso andavamo a trovarla.
Una mattina d’estate, Elisabetta era via in vacanza, non erano neppure le sei che la nonna ci telefonò: aveva fatto un brutto sogno, stava male…”Non ti preoccupare, stai tranquilla, arriviamo subito”. Alle 8 eravamo già da lei a Genova, approfittando anche del fatto che i nostri bambini fossero in vacanza al mare con la zia Bruna.
La rincuorammo ed accompagnammo fin quasi a sera, e fù allora che, inaspettatamente ci esternò tutto il racconto della sua iniziale avventura con Federico, l’illegittima nascita di mia madre Lidia, e tutto il colorito contorno che qui sopra ho cercato di riportare. Ci sarebbe voluto il registratore per cogliere appieno le notevoli caratterizzazioni di quella narrazione !
Io qualcosa sapevo, qualcosa avevo intuito, circa i difficili e diatribati inizi collegati alla nascita di mia madre, ma non immaginavo una “storia” così tipicamente stile “Novecento”!

Gisella morì qualche anno dopo, anche lei ottantenne, forse il giorno successivo a Natale, sola, in un ospizio di suore, legata al letto…
Ciò che dopo 32anni è ancora mio grande cruccio !
Ma non c’erano alternative, tranne una eroica impraticabile iniziativa…
Elisabetta le aveva provate tutte, ma non c’era soluzione per evitare il ricovero.
Fui presente anch’io una volta, quando stava cercando una badante disponibile ad accudirla: nessuna durava non riuscendo a sopportare…l’insopportabile Gisella !
Si presentò una signora che già mesi prima ci aveva provato: quando si ricordò di chi si trattava disse: “no, guardate, neanche se mi ricoprite d’oro !”
La nonna Gisella non era minimamente autosufficiente e di fatto ingestibile al di fuori di una struttura specializzata ed attrezzata. Così fummo costretti a percheggiarla in attesa che morisse…Sono parole dure, crude, ma è purtroppo la verità.
A Novembre, un mese o poco più prima che mancasse, trovandomi per lavoro non lontano da Genova andai a trovarla, senza preavviso. All’Ospizio, vicino alla Stazione Brignole, dovetti spiegare che ero il nipote che viveva lontano e che ero casualmente di passaggio. Mi fecero aspettare un buon quarto d’ora, ovviamente per renderla presentabile. Fù un incontro straziante: piangeva disperata, pregandomi di portarla via da li, che mi avrebbe dato utto il suo denaro…
Ne uscii distrutto, con in mente un’unica soluzione, quella che mi ribadii invano poco dopo, a Natale quando morì, avrebbe potuto essere la migliore: l’eutanasia !

La parola, il concetto sono estremamente forti, provocatoriamente inusuali, nel caso specifico apparentemente assurdi !
Ma provate ad immaginare: una grande festa a casa nostra, con tutti i nipoti e pronipoti radunati per festeggiarla, magari proprio in occasione del Natale…
Con la Gisella che può anche gustare per l’ultima volta i suoi cibi preferiti, circondata dall’affetto di tutti i suoi cari che inneggiano alla sua nota vanità e la celebrano in quanto capostipite, “nonna” di tutti i presenti…
Felice, inebriata, aiutata alla fine da quanto di più soft all’occorrenza, lei lascia felice e serena, nel pieno degli affetti familiari questa valle di lacrime…!
Averne avuto il coraggio ! Averne il coraggio !

Nò, non và bene, non è morale: assai meglio morire soli come cani, legati ad un letto anonimo, circondati da tristi, lugubri monache inacidite, sapendo che sei sola ed è Natale e nessuno, nessuno dei tuoi cari è li con te per festeggiarlo !

Mi spiace enormemente chiudere in un modo così triste un racconto per altri versi forse ameno ed edificante !
Ma la mia coscienza non riesce a rassegnarsi al conformismo del comune presunto volere e si ribella alla perbenista e vile crudeltà istituzionalizzata.

Per quanto mi concerne mi auguro, in assenza di un bel “colpo da restarci secco all’istante”, di avere la forza, la lucidità ed i mezzi per provvedere da solo, se e quando occorrerà.

The lonely dolphin.

Cantù 1975, piscina del Parco Consonni: da sinistra Valentina, Wanda con in braccio Gioel, Bruna e la "nonna Gisella" (dietro di lei si intravede Pericle in costume).

* La nonna Gisella fù nota come "Maria" per gran parte della sua vita. Solo negli anni '60 qualcuno la convinse, forse a ragione, che il suo vero nome, "Gisella" era più bello ed originale. Così da allora divenne "la nonna Gisella".

giovedì 26 maggio 2011

PERICLE, sesta ed ultima parte

PERICLE, l'uomo che visse più volte


PERICLE sesta ed ultima parte.

(nella foto Lidia e Pericle con l'autore del racconto, Genova 1942)


Come al solito Pericle a Padova partì alla grande, familiarizzò velocemente con il nuovo tipo di lavoro, prese in mano molte iniziative conducendole al meglio, si accattivò molti clienti vecchi e nuovi…Presto in diversi pensarono che fosse lui il vero titolare della Ditta “Vassallo Arredamenti”…
Arrivò a pensarlo anche il Fisco, da sempre sulle sue tracce e per Mario fù dura e costosa (leggi: avvocati…) la dimostrazione che così non era.
Assai più costosi furono gli ammanchi che di lì ad un paio d’anni Mario assai dolorosamente, in tutti i sensi, ebbe a rilevare, causati da…indebiti Prelievi di Pericle.
Ammanchi nell’ordine di molti milioni di lire !
All’inguaribile, inalienabile propensione al gioco d’azzardo si era allora aggiunta una grossa motivazione scatenante: Pericle si era risposato !
Aveva quasi vent’anni meno di lui e sembra l’avesse conosciuta in quanto già cliente...morosa del negozio di mobili: andò a casa di lei per sollecitarne i pagamenti e…finì con allargarne a dismisura la posizione debitoria…Galeotto fù il credito e chi ne tentò l’incasso invano…
Io resto convinto che però lui già la conoscesse e l’avesse…frequentata dieci anni prima, quando vivevamo a Padova, a nemmeno cento metri da dove lei abitava…
Resto convinto che fù un “revival”, probabilmente occasionale, ma sicuramente scatenante: Pericle aveva 56 anni, nonostante tutto ben portati e sicuramente molte “cartucce” in canna ancora da sparare…Era e si sentiva solo, libero e bisognoso di consolazione. Lei non era certamente al suo livello di educazione ed intelletto, ma sicuramente gli rendeva molto bene in quanto a glamour e tenerezza.
Fummo tutti contenti della novità !
Almeno finchè non saltarono fuori le magagne finanziarie.
Mario mi chiamò per aggiornarmi della disastrosa situazione e non potei che essere solidale con lui sulla tristissima opportunità di allontanare definitivamente Pericle da ogni attività collaborativa. Non ricordo una decisione tanto sofferta, pietosa ma d’inesorabile determinazione !
Ci fù poi un incontro a quattro a Genova, in casa di Edilio, con Mario ed io stesso (non ricordo se ci fosse anche Elisabetta), in occasione del quale ci sprecammo in patetici ed assurdi quanto inutili predicozzi al suo indirizzo…Di quello che io dissi nell’occasione ebbi poi a rammaricarmi: per quanto dovuto era semplicemente inutile ed impietoso, un mero sfogo che avrei fatto meglio a trattenere.

Così Pericle, al giro di boa dei sessant’anni, si trovò di nuovo in braghe di tela, e con una moglie appena quarant’enne a carico.
Cercammo comunque di aiutarlo (spiccioli), ma alla fine riuscì nel breve, come al solito ad aiutarsi da solo !
Aveva ormai raggiunto il gradino più basso della sua discesa agli inferi, e l’ennesimo lavoro che trovò, per quanto decisamente umile per lui, fù di nuovo tanta manna dal cielo, data la sua situazione.
Questa volta fù un altro vecchio amico ad offrirgli una possibilità di sopravivenza, il itolare della Letterfix, primaria azienda nel settore dei sistemi autoadesivi di scrittura e segnalazione, al condurre la quale era ormai il figlio. Pericle entrò nell’organizzazione commerciale come ispettore venditore e come al solito ottenne presto dei buoni risultati. Il lavoro non era un gran che, ma gli offriva discreti ricavi e libertà di movimenti, in ogni caso riuscì a farselo bastare, sembra questa volta senza combinare altri pasticci. Sicuramente ogni tanto andava a giocare al casinò, da qualche parte, ma ormai aveva scarsa disponibilità da rischiare…
Si muoveva più o meno in tutto il nord Italia ed ogni tanto era Genova, dove vedeva Elisabetta, nel frattempo divenuta affermata giornalista, felicemente coniugata e nell’83 mamma di Enrico, per il quale Pericle ovviamente sbavava…
Ogni tanto passava da noi, nel Comasco, dove gioiva dei nipoti Valentina e Gioel, ormai grandicelli, come a Padova, dove c’erano Federico, Alessandro ed Isabella, i figli di Mario. E la moglie, della quale, lo confesso non ricordo più nemmeno il nome.
Poi, nonostante ormai da diversi anni avesse smesso di fumare, nel 1985 il solito maledetto cancro si manifestò anche nei suoi polmoni, e fù subito evidente che c’era ben poco da sperare…
Ciò nondimeno si tentò comunque di tutto, inclusa l’arrampicata sugli specchi delle pratiche alternative: fui io a condurlo a Milano da un medico naturopata che usava la cura del “vischio”, circa i cui effetti c’era tutta una letteratura in ambito erboristico ed omeopatico e che in alcuni casi sembrava aver fatto miracoli…
Ma non li fece nel suo caso…
Lui, scettico come sempre, accettò di fare anche quel tentativo ( ma forse sarebbe venuto anche a Lourdes se avessimo insistito per condurvelo…).
Poi si giocò l’ultima carta all’Ospedale di Trento, dove era di attualità un tipo d’intervento mirato, mininvasivo, che consisteva nell’entrare con una sonda nel torace, raggiungere il male e cauterizzarlo in tanto fumo…
Intervento che si rivelò poi doloroso quanto inutile: quando andai a riprenderlo dopo qualche giorno era fortemente provato ed ancora dolorante ed il chirurgo che lo aveva trattato mi disse che la diffusione del male era ormai tale che non c’era più nulla da fare ! Non restava che la morfina per lenire il dolore.
Morfina che assumeva già da tempo, anche mentre era con noi in Brianza, e ricordo con rabbia quanta fatica dovevo fare per procuragliela: c’era solo una farmacia a Milano dove da Como dovevo ogni volta andare, sempre avendo dei problemi perché finalmente me la consegnassero, nonostante la regolare ricetta medica e gli altri documenti di prassi allegati. Sarebbe stato assai più semplice ed immediato acquistarla dagli spacciatori, ai tanti angoli delle strade dove erano notoriamente piazzati, in chiara evidenza…
Da Trento lo portai a Padova, a casa di Mario, dove preferì finire i suoi giorni e dove poteva raggiungerlo facilmente anche la moglie per accudirlo.

Un primo pomeriggio di Settembre del 1986 ero a Brescia da un cliente che stavo trattando una vendita. Avevo appena iniziato quando suonò il telefono:” E’ sua moglie che la cerca” mi dissero cortesemente. Stupito che fosse riuscita a trovarmi lì risposi a Wanda che mi informò della morte di Pericle appena avvenuta.
Feci finta di nulla, continua il mio lavoro concludendolo al meglio, esattamente come da lui avevo imparato a comportarmi, senza cedere inutilmente all’emozione e dedicando alla sua memoria quel mio comportamento.
Arrivai a Padova dopo neppure due ore ed ebbi la piacevole sorpresa di ammirare il suo volto, così come, Mario mi assicurò, era rimasto al momento del decesso: sereno e sorridente, più che sollevato dal male e dal dolore, come se avesse infine varcato un ambito oltre il quale potesse aver trovato non solo la pace, ma forse anche ogni altro bene perduto, Lidia compresa !
Questa sua immagine restò per noi di gran consolazione e mi sollevò dal ricordo amaro che mi aveva lasciato la sua risposta negativa alla mia domanda, fattagli poco tempo prima: se avesse desiderato nonostante tutto rivivere la sua vita…
Cosa che io sarei immediatamente pronto a fare per la mia, con entusiasmo, magari saltando qualche passaggio e correggendo qualche particolare…, ma non necessariamente.

Assai noiosa fù la prassi burocratica per il trasferimento e la cremazione del corpo, per cui finimmo anche in tribunale per gli atti formali necessari.
Era dura allora sottrarre alla Chiesa ed al ricco sistema delle pompe funebri parte del business di loro competenza! Ora la Chiesa arriva perfino a consigliare la cremazione, almeno nei luoghi dove gli spazi non consentono ulteriori inumazioni…
Ma nel 1986 era pratica quanto mai rara ed inusuale.
Infine procedemmo al cimitero di Staglieno, in assenza di una cerimonia formale, semplicemente accompagnando il feretro al forno ed assistendo alla sua cremazione.
Prima però io, con voce rotta dall’emozione, lessi la breve introduzione di Bertrand Russel al suo libro “Perché non sono Cristiano: eppure amo la vita, ma mi rifiuto di tremare al pensiero del nulla…”

E qui potrebbe concludersi il racconto di Pericle, l’uomo che visse più volte…

Ma c’è un epilogo notevole e particolarmente significativo…
Circa il cui probabile verificarsi il buon Roberto, marito di Elisabetta, dottore commercialista, ci aveva comunque avvertiti: sugli eredi naturali, cioè su noi tutti, figli e nipoti, nonché coniuge Padovana, sarebbe infine piombato quel fisco che mai non perdona e che sempre, ma invano, a Pericle aveva dato la caccia !
Per cui avremmo dovuto correre in massa, tutti, anche i minori, al Tribunale più vicino per dare formale rinuncia ad una eredità…che di fatto non esisteva, se non nelle cospicue tasse che avremmo dovuto accettandola, pagare in luogo di Pericle.

Fù così che una sera tardi, erano quasi le otto, rientrando insieme a casa, io Wanda e Gioel, trovammo il vigile nonché messo comunale fermo al freddo davanti al cancello in nostra attesa. Uso a recapitarci ogni tanto qualche multa ci guardò quasi piangendo e tutto compreso ci disse “questa volta si che l’avete fatta grossa !”.
Io immaginai: lo facemmo accomodare e sedere in cucina, dove lui, pallido ci consegnò un verbale dell’Intendenza di Finanza di Genova per cui eravamo tutti, noi eredi figli, nipoti e coniuge, chiamati in solido a pagare “l’eredità” di Pericle, ammontante ad un debito di circa 360 milioni (dell’86!) verso l’Erario.
Debito che originava da tasse inevase, penali ecc… pari a circa 40 milioni del 1948.
Davanti al messo tapino, spaventato e costernato per tutta la iattura che ci stava cascando addosso, di cui lui ci era latore…ci mettemmo a ridere allegramente…!
Gli stappammo una bottiglia di ottimo merlot, che lui gradì visibilmente e gli raccontai di come la cosa non ci fosse affatto nuova, anzi era attesa e che bastava rinunciare all’eredità per venirne allegramente fuori !
Gli accennai anche del come e perché di Pericle, precisandogli che se avessimo potuto disporre di tutto il denaro da lui lasciato nei vari Casinò d’Europa, diversi di noi avremmo potuto campare di rendita !
L’unica difficoltà poi fù la rinuncia all’eredità per nostra figlia Valentina, non ancora maggiorenne, allora exchange student nell’Ohio (USA), per cui dovemmo seguire un noioso iter burocratico, fra cancellerie di Tribunale ed Ambasciate…

Ma alla fine nessuno di noi….“ereditò” !

A “corollario” del racconto sono doverose alcune precisazioni.
Innanzitutto il personaggio di Piero, più volte nominato ma mai approfondito.

PIERO e gli altri.

Piero era il più giovane dei fratelli, nei confronti del quale Pericle aveva di fatto esercitato la patria potestà dopo la prematura morte di papà Mario.
Piero era cresciuto come il classico “Pierino”, il piccolo di casa cui tutto o quasi si perdona, una ne pensa e cento ne combina, perlopiù coperto dalla mamma Edilia ed invano rimproverato dai fratelli maggiori.
Trascorsa l’adolescenza senza arte ne parte, molto dedito a festeggiare ad oltranza, tra boogy boogy e bagordi, la fine di una guerra che l’aveva visto fanciullo, alla visita di leva gli riscontrarono la TBC, malattia ai quei tempi gravissima, ad alto rischi di mortalità ! Finì in sanatorio a Sondalo, in Valtellina, dove per circa tre anni ebbe modo di calmarsi e di riflettere.
Quando tornò fù poi assiduamente seguito a Genova dal dott. Ferraris, il medico cui io personalmente debbo la vita (v.in questo blog il post del mio racconto “Morfinomane a dodici anni”) e ne venne infine fuori praticamente guarito.
Dopodichè fù sempre, più o meno, l’ombra di Pericle, nel bene e nel male, vivendo anche lui, perlopiù di riflesso ma anche per intima vocazione, le molte vite che di Pericle ho raccontate.
Lo seguì nella fortuna, ma soprattutto nella sfortuna…, a lungo lavorò per lui o con lui, talora lo sostituì in alcuni lavori, più spesso lo affiancò, seguendone grosso modo la parabola discendente.
Non so se Piero, come Pericle, fosse “giocatore”…, ma sicuramente come lui aveva “le mani bucate”. In ogni caso si dedicò anche ai lavori più “strani” ed improbabili, probabilmente anche stimolato dall’opportunità di mantenere moglie e due figli.
Fù infatti venditore di visoni e cincillà per allevamento, imitato con successo dal giovanissimo Mario, mio fratello, che a lui si collegò anche per l’apertura del suo primo negozio di mobili.
Piero infatti ebbe la felice intuizione, credo questa volta del tutto autonoma, di dedicarsi nel momento giusto all’importazione di Mobili Spagnoli, iniziativa che ebbe notevole successo e che gli rese una volta tanto reddito e benessere in abbondanza.
Così come accadde a Mario, in quel di Padova, che però riuscì a svilupparla, conservarla, ampliarla e trasformarla nel tempo, per circa 40 anni, finchè anche per lui arrivò purtroppo il pesante declino.

In occasione della peggiore delle sue defaillance economiche, credo proprio conseguente la cessazione del negozio di mobili, Piero ebbe il suo matrimonio in grave crisi e ci rimase per diverso tempo.
Lui era comunque e ciò nonostante sempre stato molto legato alla famiglia.
Rammento la sua assidua e sinceramente compresa partecipazione ad ogni evento, nascite, matrimoni o funerali. Così come le sue frequenti visite al mio capezzale, quando giovanissimo ero spesso costretto a letto da una lunga malattia e lui passava delle ore a raccontarmi fiabe, la trama dei nuovi più divertenti film appena usciti, che lui aveva visto e che io avrei potuto vedere solo più tardi, una volta che fossi finalmente guarito. Era molto bravo anche a raccontare aneddoti e barzellette, mi aiutò a migliorare nel gioco della dama (era bravissimo) e nel risolvere rebus e parole crociate sulla Settimana Enigmistica.
Un paio di volte, quando ero in salute, venne lui a recuperarmi: in montagna, dove ero andato a sciare con i Fratelli Maristi ma alla sera smaniavo di nostalgia per la mamma…Ed anni dopo, quando più grandicello ero scappato di casa, vagando sui crinali del Monte Fasce ero sceso fino a Nervi, dove mi ero arreso telefonando a casa.
E fù ancora lui, come ho già ricordato all’inizio di questo racconto, ad affiancarmi cercando di consolarmi quando giunto all’Ospedale San Martino di Genova seppi chiaramente che Lidia era condannata, senza speranza.
Ed ancora lui ad avere la forza di sospendere il suo lavoro per affiancare, notte e giorno, senza mai perderlo di vista, il figlio maggiore in comunità, per condurlo con successo fuori dal brutto, ambiguo tunnel della droga, nel quale era immeritatamente finito, giovanissimo ed aitante sportivo, mentre navigava come steward su di una nave da crociera.

Ho voluto citare Piero soprattutto come maggior testimone della romanzesca ed altalenante vita di Pericle, a lui accomunato da assidua frequentazione e spesso dalla condivisione dell’alterno destino.

Silvio morì giovanissimo, lo vidi poche volte, sempre con simpatia, soprattutto dopo quella volta che, avrò avuto sette anni, lo accompagnai al campo della “Nafta” dove faceva un allenamento di calcio indossando la per me allora gloriosa maglia del Genoa.

Edilio, fù da noi sempre considerato tra i Vassallo la... "pecora bianca",
per il suo continuo e costante apparire...normale, non coinvolto nelle "avventure" degli altri fratelli, se non suo malgrado. Come ho avuto modo di specificare in episodi dedicati, sia per evitare a Pericle il peggio, sia da lui trascinato in speculazioni od investimenti ad alto rischio (v. episodi "Ormig Autogrù" e "Casinò di SanMarino).
Purtroppo ha poi finito per avere anche lui uno sfortunato esito economico ed esistenziale, in parte collegato ai danni dell'ultima grave alluvione Genovese, che gli ha disastrato la Tipografia, in parte in conseguenza di un'inevitabile e pesante crisi di quel settore con l'avvento dell'informatizzazione di moduli, documenti, corrispondenza, oltre che a gran parte degli strumenti della pubblicità.

Serafino non era un “Vassallo”, era fratello per linea materna e lo seppi sempre diverso dagli altri, tranquillo e metodico, impiegato di concetto …Ebbi comunque con lui pochissime occasioni di frequentazione.

Vittoria, la sorella maggiore, anche lei di primo letto, la vidi spesso, ma sempre defilata dalle vicende dei fratelli. Con lei visse infine per molti anni la nonna Edilia, la madre di tutti i fratelli. Mi sembrarono sempre donne di altri tempi, quali si vedono nei vecchi film muti, con gli occhi carichi di ombretto, le vesti datate, lunghe, e le pettinature stile “belle epoque”. Il loro manifestarsi era poi stereotipatamente femmineo, delle donne di casa dedite unicamente ai figli ed ad un marito “padrone”.
Ciò che nel caso di Vittoria era assolutamente più che vero !

Poi riuscirei a perdermi nel tentativo di citare altre persone: la bellissima Lucetta, carinissima moglie di Edilio; la buona e spiritosa Liliana, tanto cara a Lidia, come lei molto “naif”; la fascinosa ed intrigante Anita, anche lei una vita a tribolare con Piero, suo marito.
E tanti cugini, nipoti e pronipoti…

Mi scuso con tutti coloro che sto dimenticando o tralasciando (Enrico e Filippo, i superfusti ancor giovani figli di Elisabetta, Clara ed Italo immaturamente scomparso, Anna Pegghi ed Antonio, Cinzia, Gian Luca e Nicoletta, Bruno, ecc…)

Ma voglio infine citare i giovanissimi, perché sono loro ora a rappresentare la continuità e la nostra consolazione per gli acciacchi che, hainoi incombono ed incalzano.

In ordine di età i pronipoti di Pericle:

Edoardo, figlio di Federico e nipote di Mario.
Carolina, figlia di Valentina e mia nipotissima.
Riccardo, figlio di Isabella e nipote di Mario.
Sergio, figlio di Alessandro e nipote di Mario.
Greta, figlia (più esattamente “clone”…) di Gioel, cui assomiglia come una goccia d’acqua, altra mia supernipotissima.
Più altri due in gestazione, pronti/e? nel giro di qualche mese, a Padova per Isabella ed a San Paolo del Brasile per Alessandro.

Fine del racconto.

Con l’auspicio che qualcuno un giorno prosegua il filone di una storia di famiglia, che presenta molti aspetti affatto banali.
(Sicuramente più che “originali” per quanto riguarda Pericle…)


Lidia e Pericle al mare negli anni '50 (forse a Lerici)

venerdì 20 maggio 2011

PERICLE 5^ Parte

sabato 14 maggio 2011

PERICLE, l'uomo che visse più volte 5^ Parte

PERICLE (5^Parte)
(nella foto Wisky, il cagnolino di Lidia, rimasto "orfano" e adottato da Elisabetta)

Lidia morì alle 22 e30 di Sabato 3 Marzo 1974, non aveva ancora 54 anni.
Da anni ormai accusava malori in zona fegato adome, ma senza una diagnosi certa. Il medico che la seguiva riusciva a riempirla di medicine, assecondando la spiccata tendenza ad abusarne che Lidia aveva sempre avuta.
Io credo che alla fine lei fosse intossicata dai farmaci nel corpo e di ...stress antichi e recenti, accumulati, stratificati nella mente, nell'anima...

Per capire come una donna fondamentalmente forte e sana avesse potuto soccombere al cancro cercai negli anni successivi di documentarmi e trovai sopratutto un autore, un medico di vasta fama e conoscenza, Lorenzo Speciani che indicava l'ipotesi psicosomatica come causa scatenante, portando tutta una serie di documentazioni, anche a livello statistico, nei sui testi divulgativi: "L'uomo senza futuro" e "Di cancro si vive".
L'argomento è stato recentemente ribadito ed ampliato da un altro grande medico, il prof. Soresi, nel suo "Il cervello anarchico": grande divulgatore della "neuropsicoendocrinologia", la medicina del futuro, che fà sopratutto riferimento all'anima ed ai suoi disturbi come fattori scatenanti di ogni malattia, o quasi...
Molto semplicemente la tesi è questa: noi ci ammaliamo sopratutto o solo quando vengono meno le nostre difese immunitarie, ciò che accade quando subiamo forti stress che alterano il funzionamento del nostro sistema endocrino immunitario, la cui gestione ha sede nell'Ipotalamo, ghiandola fondamentale sita alla base del cervello, non a caso nota anche come...
"la sede dell'anima"!
E Lidia di stress aveva sicuramente fatto il pieno...così come di troppe medicine.

Sei mesi prima di morire, con Pericle ci vennero a trovare a Montegrotto, vicino a Padova, dove ancora abitavamo. Erano appena stati a Chianciano per curarle il fegato…Lei sembrava ancora una ragazzina, più che la nonna di ben 5 nipotini !
Poi il rapido sopravvento del male, l'ipotesi di calcoli alla cistifelia da cui l'ittero sopravvenuto, l'intervento...”aperta e richiusa”...senza nulla ormai poter fare !
La notte prima del quale trascorsi senza riuscire a chiudere occhio al Motel Agip di San Donato Milanese, con il presentimento del peggio.
La mattina dopo telefonai e seppi dell'infausto esito. Mi precipitai a Genova, all'ospedale San Martino, dove incontrai Pericle che, tra le lacrime mi aggiornò. Non l'avevo mai visto piangere e mi appartai nel viale adiacente per farlo a mia volta. Stavo singhiozzando disperato quando mi raggiunse lo zio Piero, per consolarmi e sopratutto per suggerirmi di ricompormi, se volevo vedere Lidia senza allarmarla troppo. Piero era sensibile e spesso presente nelle varie incombenze delicate.

Riuscii ad incontrarla più tardi: lei sicuramente sapeva, ma...non doveva sapere...Iniziò così la breve, patetica e dolorosa e tipica sceneggiata del facciamo finta che non sia, ma non facciamoci ancora più male del tantissimo che già ci tocca, ignoriamolo il maledetto, esorcizziamolo e forse riusciremo a superarlo..., in qualche modo.
Pericle arrivò al punto di farsi "prestare" dei grossi calcoli, appena estratti dalla cistifelea di una paziente vicina di letto, per esibirli a Lidia, come prova del buon esito dell'intervento da lei subito.
Ma il cancro al Pancreas allora era morte sicura e rapida, sopratutto se poi degenerato in metastasi ! Nei giorni successivi arrivò anche Mario da Padova ed insieme decidemmo di non arrenderci comunque, di provare il tutto per tutto: a Massa Carra c'era il dott. Azzolina, allora famoso e contestato innovatore di cardiochirurgia, appresa negli Stati Uniti. A Battipaglia c'era un certo dott. Bonifacio, veterinario che aveva escogitato un siero, derivato dalle capre, che in molti casi sembrava aver fatto miracoli..Noi subito partimmo per entrambe le direzioni, sorretti dalla speranza che residua alla disperazione.
Azzolina a Massa non c’era, risultò essere in America: parlammo con il suo assistente primario, che ci aggiornò: negli USA stavano tentando il trapianto di Pancreas, ma la tecnica era ancora tutta da verificare...Lui (eretico!) ci consigliava di tentare il siero Bonifacio...lo avremmo dovuto trovare in Svizzera, in Italia ne avevano…ovviamente proibita la vendita...
La sera stessa eravamo a Locarno, dove ci era stata segnalata la farmacia più probabile, ma dove imparammo che non lo ricevevano più e ci consigliarono di contattare direttamente il dott. Bonifacio, fornendoci il suo numero di telefono.
Era l'ora di cena: chiamammo subito Battipaglia e ci rispose lui, Bonifacio, cui spiegammo sommariamente il nostro problema: vi aspetto domattina, ci disse semplicamente.
Alternandoci alla guida della Mercedes di Mario guidammo tutta la notte, arrivando verso le sei a Battipaglia, a Sud di Napoli e Salerno, subito prima di Eboli, dove anche il Cristo di Levi si era fermato…
Alle sei e trenta fummo i primi a presentarci al portiere del palazzo dove alloggiava Bonifacio. Intuimmo che era lui a "gestire" gli incontri e gli sganciammo mancia più che cospiqua, divenendo automaticamente i primi della lista d’attesa, che poi verificammo assai lunga (c'era gente arrivata appositamente perfino dal Sud America!).
Verso le otto il portiere compiacente, ci avvertì che potevamo salire, ma fummo subito scortati da due guardie municipali (!?) che Bonifacio fece entrare insieme a noi.
Lui era l'omino datato ed emaciato che avevamo tante volte già visto in televisione e sulle pagine dei giornali, osannato dai pazienti in qualche modo miracolati, contestato dalla scienza ufficiale, a partire dal grande barone della farmacologia Italica, Silvio Garattini: come può un pedestre veterinario pretendere di aver sconfitto il male del secolo, contro cui tutte le più grandi e patentate menti della Scienza ufficiale si stanno invano prodigando da decenni !?!
Ci fece accomodare al tavolo di un’ ampia sala, i due pizzardoni in pedi accanto a noi, zitti a controllare che non avvenissero "movimenti di denaro" (questa ipotizzammo era sicuramente la loro funzione), anche perché a Bonifacio era stata inibita la vendita del siero, ma lui restava libero di donarla a chi gliela richiedesse.
Volle sapere di Lidia, del suo male e di come fosse stato trattato: ci diede poche speranze e con quelle una boccetta di siero, con le istruzioni per l'uso. Ci disse infine che ci avrebbe raggiunto al bar sottostante per prendere un caffè, dopo aver liquidato i due testimoni silenziosi.
Arrivò subito dopo, offrì lui il caffè e noi ci domandammo se non era quella l'occasione per passargli del denaro, ma data la presenza di tanta gente e la mancanza di segnali, ancorchè sottintesi, da parte sua, ci astenemmo imbarazzati.
Ci salutò infine, con la richiesta: fatemi sapere.

La sera stessa arrivammo a Genova, alla clinica Montallegro dove nel frattempo Lidia era stata trasferita e fù Pericle ad iniettarle il siero, il personale della clinica avendo rifiutando con dignitoso rispetto l'uso dell'eretico pseudofarmaco...Ma era anche giustamente un problema di responsabilità.
L'unico esito, se fù tale, è che Lidia non ebbe più bisogno di morfina.
Forse perchè nel frattempo era entrata in coma (ma io ebbi sempre il dubbio che lei volesse ormai negarsi all'imbarazzante nostra presenza e desiderasse ormai solo morire in pace, così, discretamente).
Ciò che avvenne qualche giorno dopo.
Sabato sera arrivai a Genova, Wanda ed i bambini erano già lì, a casa di Pericle.
Che io rilevai all'ora di cena dal capezzale di Lidia, accanto alla quale rimasi, stringendole la mano, intuendo l’imminente epilogo…
Verso le dieci il medico di turno la vide e mi confermò che eravamo alla fine...
Chiamai subito Pericle, che stava già partendo per raggiungerci insieme ad Elisabetta e Mario, nel frattempo arrivato da Padova.
Eravamo tutti intorno al suo letto, io le stringevo ancora la mano quando avvertii una scossa, con un breve tremito di tutto il suo corpo, sembrava che Lidia stesse risvegliandosi, invece stava solo addormentandosi definitivamente…per sempre.
Prove scientifiche avrebbero dimostrato il peso dell'anima pari a 30 grammi...e sembra sia quello il peso che improvvisamente esala dal corpo al momento del decesso: io credo che avvertii fisicamente quel minimo, ma...enorme calo ponderale...
Ma le illusioni, sopratutto in certi casi, sono sempre in agguato.
"Se nè andata" dissi semplicemente agli altri presenti.
Pericle pianse e Mario scoppiò letteralmente in lacrime, anche lui per la prima volta che ricordavo da quando eravamo bambini (e lui non era mai stato un piagnucolone)
Elisabetta singhiozzava disperata. Io avevo già versato tutte le mie lacrime alla notizia dell'esito infausto dell'intervento, del resto per me Lidia era già mancata in quel momento, dopo era stata pura formalità.
Non lo fù invece informare i vecchi bisnonni, Federico e Gisella, del decesso della loro giovane, unica, bella e carissima figlia...
Ma dopo tre giorni , a funerale avvenuto, fummo tutti insieme, capaci ancora di consolarci festeggiando il quinto compleanno di mia figlia Valentina: è proprio vero che figli e nipoti sono la grande consolazione per coloro che "rimangono"...

Pericle era dunque inaspettatamente vedovo, esacerbato nel dolore più grande possibile per la perdita della cara, amatissima, insostituibile compagna di una vita, madre dei suoi quattro figli, compagna di tante avventure e di troppe ...disavventure.
Per la sofferenza che a Lidia procurarono lui ebbe sicuramente infinite occasioni di pentirsi ed amaramente rammaricarsi...

Ma il racconto di Pericle non finisce qui: lui sopravisse a Lidia per altri dodici anni, durante i quali riuscì, nonostante tutto, a dimostrare ancora una volta che…
il lupo perde il pelo, ma non il vizio...!

A Genova rimase solo, troppo solo. C’era è vero Elisabetta, molto presa a consolare i vecchi nonni ed assai già coinvolta nelle curve di un matrimonio che datava da neppure un anno, ma già si palesava assai arduo da gestire, con una suocera regina madre invadente e supponente, uno suocero che non le era da meno ed un marito principe consorte, tanto succubo dei genitori e bamboccio nelle loro mani quanto carino, di nobile aspetto, elegante, formalmente ineccepibile, nonché assai dotato economicamente.
Al matrimonio, celebrato con il dovuto sfarzo nella millenaria chiesetta della Ruta, sopra Camogli, da dove poi i novelli sposi partirono in crociera sul bellissimo sloop, vela di dodici metri proprietà dello sposo, tra i parenti “poveri” ci fù chi azzardò un pronostico terribile, ma solo sussurandolo a sua moglie che poi potè sempre testimoniarne
l’originalità: io, che dissi: questo matrimonio non duerà più di due anni.
Motivando: io conosco troppo bene mia sorella, lei è in realtà uno spirito troppo orgoglioso e forte, un carattere troppo indipendente per sopportare un marito ancora avviluppato nella placenta materna, pedissequamente manipolato da un padre padrone che usa ad oltranza guanto di velluto, imbottito dell’ovatta più morbida, ma al cui interno c’è un rigido pugno d’acciaio dotato di artigli di tungsteno…e tanta acidità in esalazione…
Mi era poi chiaro che Elisabetta l’avesse scelto, fra i tanti non meno dotati perché era stato il solo a non sbavarle dietro. Non per astuto calcolo (in amor vince chi fugge), bensì per banale incapacità di misurarsi con gli altri, cioè di mettersi in gioco.
Ed infatti, come nelle previsioni, il primo matrimonio di Elisabetta si concluse, assai movimentatamente, un anno dopo, o poco più.
Lei orgogliosamente rese alla famiglia del marito ciò cui più di ogni altra cosa ambivano: l’esonero da qualsiasi dazione economica: per grandissima fortuna non c’erano figli e l’increscioso episodio cadde presto nell’oblio. Dopo qualche anno fù come non fosse mai accaduto !

Ma Pericle a quei fatti non fù fisicamente presente.
Mario nel frattempo realizzva exploit notevolissimi nel suo lavoro: a Padova aveva trasferito il suo negozio di mobili “Vassallo Arredamenti” in un ambito assai più ampio e prestigioso, in centro di Padova, dove presto fù il più grande e di maggior prestigio e quello che infine durò più a lungo.
Stava inoltre programmando l’apertura di altri negozi a Bolzano e, mi sembra, a Trieste, dove già aveva diversi clienti. Naturalmente il tutto corredato da ampio magazzino e adeguato laboratorio.
Così ebbe l’idea di coinvolgere Pericle nelle sue attività, chiamandolo ad aiutarlo ed all’occorrenza sostituirlo durante le sue numerose assenze.
Pericle era ancora giovane ed assai valido. Era suo padre e perciò il massimo in quanto ad affidabilità nel ruolo di fiducia. C’era inoltre l’opportunità di allontanarlo da Genova dove ormai faceva più che altro la spola tra il Salone Alfa Romeo dove era un mero venditore ed il cimitero di Staglieno…
Fù così che Pericle, dopo dieci anni tornò a Padova. Là c’ero anch’io, con famiglia, ma ci sarei rimasto ancora solo per qualche mese, poi definitivamente trasferito per lavoro nella lontana Brianza Comasca.

E per l’ultima volta, incredibilmente la storia si replicò.

Come avrò modo di raccontare nella prossima, ultima parte.

17 maggio 2011

INFOIBATI

La Foiba di Pisino in Istria

Fine anni’ 90, vacanze Pasquali in Istria, vicino a Pola sul mare, in compagnia di amici. Al seguito dei quali casualmente arrivammo a Pisino, all’interno della penisola Istriana. A margine di quella cittadina, accanto ad un gruppo di vecchie case, c’è il Castello di Montecuccoli, notevole maniero del 1.500, là edificato da omonima famiglia Modenese, ben conservato ed aperto al pubblico, incluso ristorante di buon livello. Il Castello sorge a strapiombo su di un baratro profondo, che precipita sino ad un torrente che scorre in fondo alla sua stretta fenditura, che si apre un poco verso est, dove sembra sdrammatizzarsi il precipizio circostante. Al di sopra, oltre al Castello sorgono a picco per ampio arco, le case della zona alta di Pisino, che sembrano a rischio di cadervi.
Con mia moglie fummo subito catturati da quell’insolito paesaggio e, lasciando i nostri amici ad altra loro incombenza, ci dedicammo ad esplorare i dintorni, a partire dal Castello, scendendo poi per il breve tratto di acciottolato declinante sul baratro, dal cui parapetto continuammo a guardare affascinati dalla sua profondità e non solo da quella...

La visione era decisamente drammatica ed inspiegabilmente lugubre… Giuro che la percepimmo così in totale assenza del senno di poi, completamente ignari di quanto poco più tardi venimmo a sapere. Ma una cosa stranissima mi colpì: il fatto che l’acqua del profondo torrente sottostante scorresse… all’incontrario ! Cioè verso l’alto ! Era un’assai curiosa impressione ottica? Da un lato c’era l’altissima parte del baratro, con il Castello e le Case in bilico, lato completamente chiuso; dall’altro il precipizio, pur rimanendo assai stretto e tormentato, si apriva faticosamente “verso valle”… Ma il torrente sembrava scorrere verso la parte più alta e chiusa, cioè all’incontrario! Effetto visivo su cui anche mia moglie concordava. Ad un certo punto del nostro breve tragitto sull’acciottolato lievemente degradante, il parapetto s’interrompeva dando accesso ad uno stretto e ripidissimo sentiero, più o meno scalinato, che precipitava all’interno del baratro.
Faticosamente convinsi mia moglie a seguirmi nell’ardua esplorazione, così scendemmo, forse anche di 100 metri, verso il fondo della voragine. Più faticosa fù ovviamente la risalita, ma avevamo scoperto l’incredibile: si, in effetti il torrente scorreva all’incontrario, cioè “in salita”, da valle a monte…!
Questo era perlomeno l’inequivocabile illusione ottica suggerita dalla morfologia della zona circostante.
In realtà il torrente scende dalla parte più aperta, “a valle” verso quella chiusa “a monte” perché qui finisce con l’ incavernarsi in una profonda, ampia ed invisibile grotta, lunga decine di chilometri!
Ciò che imparammo di li a poco.
Grotta che fù studiata per secoli come elemento curioso e misterioso e raccontata da notevoli osservatori, su tutti Giulio Verne, alla quale si ispirò per scrivere un suo romanzo: “Mathias Sandorf”.(**) Dove andasse a perdersi tutta quell’acqua rimase comunque un mistero per secoli, sino a quando, recentemente, venne confermata nella realtà l’ipotesi esposta da Verne nel suo romanzo, per cui il torrente, percorso un tragitto in galleria di circa 20 km., sfocia alimentandolo nel lungo e profondo fiordo marino di Limska Draga, subito a nord di Rovigno. Ma anche altri autori, tra cui Dante Alighieri, furono fortemente impressionati dall’abisso della voragine, traendone spunto per lo meno ideale, rappresentativo per ambientare le loro opere. In effetti, dovessi immaginare un girone infernale sprofondato in una “selva oscura”, la foiba di Pisino mi parrebbe significativo riferimento! Ma a parte l’illusione ottica del fiume che “corre in salita”… fummo fortemente colpiti da un strano senso di lugubre inquietudine, di sensibile disagio, ad un livello inspiegabile nelle circostanze della situazione… Neanche avessimo saputo…
E sapemmo poco dopo quando, ritrovati i nostri amici imparammo che eravamo appena scesi e risaliti da una delle più famigerate foibe dei massacri titini !(*)
In quella terribile voragine furono precipitati nel ’45 almeno un centinaio di Istriani, vittime dell’indefinibile crudele follia dei“vincitori”. Diversi mesi dopo eravamo di nuovo in Istria in vacanza, e decidemmo di arrivare ancora a Pisino, per rivedere il Castello e la foiba. E fù con grande sorpresa che cogliemmo la coincidenza di una manifestazione, probabilmente promossa da reduci Istriani, dedicata alla memoria delle vittime precipitate nella foiba. Manifestazione faticosamente sopportata dalle autorità governative, sicuramente in conto all’opportunità di un futuro accesso alla Comunità Europea…per cui occorreva apparire liberali e tolleranti… Manifestazione silenziosa, ma non meno drammatica e straziante per il tipo di rappresentazione esibito: tutt’intorno alla sommità della foiba, cioè sul precipizio della voragine, erano appesi grandi teli su ognuno dei quali era stata dipinta l’immagine di una vittima, mentre precipitava nel baratro sottostante ! Di quelle vittime assai tragicamente esibite si potevano quasi percepire le urla strazianti…nel silenzio più totale dei non pochi presenti. Fortemente colpito feci diverse fotografie (ne allego qui alcuna) ed alcuni disegni a colori, che poi regalai ad amici. Dopo circa 12 anni il ricordo di quell’esperienza l'ho ancora vivamente presente, ed in occasione della “giornata della memoria delle foibe”, finalmente istituita a partire dal 2004, mi viene spontaneo rievocarla.

The lonely dolphin, 10.02.2011


Note:
(*)Delle Foibe ebbi vaga conoscenza solo negli anni’80, cogliendone in pieno la drammatica, terribile storia, solo più tardi.
La cultura politicamente corretta di generale riferimento ci aveva raccontato tramite cronache, saggi, foto, filmati, libri, trasmissioni TV… l’enorme portata dell’Olocausto, l’infinita tragedia dello sterminio nei lager, le torture, l’annientamento totale di 6 milioni di persone: i terribili orrori commessi dai Nazisti-Fascisti… Ho visto con raccapriccio e rammarico films e documentari, ho letto una infinità di articoli corredati da strazianti foto, libri di notevole portata documentale ed emotiva come Triblinka, visto rappresentazioni teatrali di grande risonanza (di Peter Weiss, rammento tra l’altro “ il canto dei forni“…) Ma di “foibe” non avevo mai sentito parlare ! E neppure o quasi dei campi Siberiani in cui i Sovietici sterminarono milioni di dissidenti, assai più di quanti annientati nei lager tedeschi.
Il fatto che poi Mao, i grande traghettatore, abbia sterminato circa 50 milioni di dissociati dal regime risulta quasi una novità dell’ultima ora. a pochi intimi riservata.... Sembrerebbe allora che il grande mostro, terribile pazzo aguzzino nazi fascista, Hitler (!) non fosse che un pivello accanto a Stalin ed a Mao ! Ma è quasi solo di Hitler che “storiografi”, “saggisti”, documentaristi, continuano ad informarci, pressochè ogni giorno (v. Rai Storia di Minoli & C., che non conosce o quasi altro argomento…). Tito poi fù quasi nessuno…anche se alla fine promosse l’eliminazione, nelle foibe, di parecchie migliaia di Italiani d’Istria.

(**) Nell’opera di Verne il conte magiaro Mathias Sandorf viene accusato di congiura contro la Monarchia austroungarica e tradotto al Castello pisinese, dove la corte marziale lo condanna a morte.
Sandorf scappa dal Castello calandosi lungo il precipizio della Foiba, nell’abisso, e trasportato dall’omonimo torrente in piena arriva per vie sotterranee al Canale di Leme (cioè al fiordo di Limska Draga) ed a Rovigno.

domenica 8 maggio 2011

PERICLE 4^ Parte


PERICLE (Quarta Parte)

Occorre ora una precisazione che ribadisce un aspetto importante:
nonostante le varie, fantasiose e disinvolte trovate, diverse delle quali al limite o perfino oltre i confini della legalità, Pericle conservava un'immagine di signorile dignità, di chiara e persuasiva affidabilità, di specchiata onestà ed integrità morale...
Nulla in lui allarmava, suggeriva opportunità di attenzione, di verifica preliminare o di precauzione : appariva esattamente al contrario di coloro di cui è bene diffidare. La maggior parte della gente (e non parlo di sprovveduti) gli avrebbe affidato il portafoglio, le chiavi di casa, la combinazione della cassaforte…E più di qualcuno lo fece…
Anche perchè sicuramente lui agiva sempre in buona fede, convinto di poter onorare ogni impegno, ogni debito, ogni promessa. Ciò che comunque cercò sempre di fare, almeno fino a quando gli fù possibile.
E questo era anche parte della sua considerevole forza !
Forza di persuasione e convincimento che aveva al massimo grado, ricca di argomentazioni logiche, assolutamente ragionevoli, poste con fare pacioso, tranquillamente signorile, come se lui fosse assetticamente disinteressato all'esito di qualunque adesione o negazione della controparte.
Era come il flautista di Harlem, l'incantatore di serpenti, l'ipnotista capace di condurre chiunque ovvunque lui volesse.
Era il più grande venditore che io abbia mai conosciuto nella mia lunghissima e variegata carriera commerciale, il classico personaggio capace di piazzare sabbia ai beduini nel deserto e ghiaccio agli eschimesi al polo nord !
Di ottenere soccorsi da un moribondo, di catturare le intime grazie della più santa delle vergini..., se non avesse avuto gli scrupoli che in fondo aveva.
E quando alla fine lui trasgrediva, smentendo il suo rigore morale, era sempre sulla spinta o per le conseguenze del suo demone interiore, la malattia che lo accompagnò tutta la vita, tarpandogli le ali di grande genio degli affari: il vizio del gioco !
La nostra famiglia inoltre appariva positivamente per quella che in realtà era: una sana famiglia borghese, benestante e moralmente ineccepibile.
Non che lui proditoriamente sfruttasse questa immagine, ciò che sarebbe stato lontanissimo dalle sue intenzioni, ma semplicemente ne naturalmente. Probabilmente come quando a Civitavecchia coinvolse nel giro dei biliardini la Città dei Ragazzi, sicuramente fornendogli con ciò aiuti economici. O come quando a La Spezia lui e Magnatti (peccatore fondamentalmente pio e sempre pronto a pentirsi) "agganciarono" il noto Padre Dionisio, Priore del locale Convento dei frati Cappuccini, sotto la cui egida idearono ed organizzarono il Festival della Canzone Spezzina...!
Evento notevole che ho dimenticato di raccontare nella precedente puntata. Era la seconda metà degli anni '50 e cresceva l'opportunità di nuovi Festival Canori. Così Pericle e Magnatti s'inventarono quello di La Spezia, utilizzando al meglio il carisma, allora notevole, di questo Frate, coinvolgendovi Enzo Tortora (che venne anche a casa nostra) e la cantante Marisa Del Frate...(scelta sicuramente per il suo cognome assai allusivo...) oltre che, ovviamente, la RAI TV !
Il "clou"del festival, assai discutibile e quasi iconoclastico, vide il noto Frate Spezzino inginocchiato davanti alla ...Del "Frate" che cantava..., il tutto fortunatamente ridimensionato dai bonari seppure ironici commenti di quel gran signore che fù Tortora, per me il più grande dei presentatori Italiani.
Questo era Pericle !
Ed a quei tempi era ancora un Cattolico Credente, per quanto scettico di base ed assai poco praticante. Fui io ad iniziarlo all'ateismo: avemmo delle discussioni, inizialmente anche vivaci, perchè lui contestava la mia esibizionistica mancanza di fede.
Ma poi, lentamente ragionando assieme lo portai progressivamente sulle mie posizioni. Determinante fù per lui la lettura di un saggio di Bertrand Russel: "Perchè non sono Cristiano", allora appena uscito in Italia, che io portai a casa.
Fatto è che non ebbe obiezioni a firmarmi la richiesta di esonero dalla lezione di religione a scuola, unico caso in tutto l'Istituto: all'ora di religione uscivamo in due, io ed il mio amico Roberto Jachia, simpaticissimo ragazzone ebreo.
Tutto questo accadeva ancora a La Spezia, tra il '56 ed 1961.

Alla fine del quale anno arrivammo a Padova.
Il suo incarico di Agente per la Ormig, fabbrica leader di autogrù, poteva sembrare un ripiego per un uomo come lui, ma fù in quel momento, in fuga da La Spezia..., tanta manna dal cielo.
E lui vi si dedicò con la sua grande professionalità, organizzando l'ufficio dell'Agenzia ed il programma di lavoro, studiando attentamente le caratteristiche tecniche di costosi prodotti industriali affatto nuovi per lui, già definendone le argomentazioni di vendita su base teorica e pianificando la strategia di approccio alla clientela potenziale, non trascurabile in quelle province Venete, fuori dal grande triangolo industriale ma già pronte ed ambiziose per crescere velocemente, in una miriade di attività artigianali, come allora iniziarono a fare.
Da Genova arrivò il solito fratello Piero, ad affiancarlo ed a imparare il nuovo lavoro, destinato poi a divenire a sua volta Agente Ormig per Bologna e d'intorni. Io stesso, allora ventunenne, affiancato dal mio giovanissimo fratello Mario, iniziammo episodicamente a collaborare con lui in ufficio ed a volte accompagnadolo dai clienti, talora andando autonomamente a trovare quelli di minore importanza, comunque a "preparare" il terreno.
Pericle si mosse come sempre al meglio, capace e gran lavoratore, battendo a tappeto ogni possibile pista e nel giro di un anno appena sbaragliò le più ottimistiche previsioni di vendita !
La produzione della Fabbrica faceva fatica a seguirlo nelle consegne e nel 1963 la proprietà arrivò a palesargli la Direzione Commerciale !
Incarico che Pericle forse prese in considerazione, ma conoscendolo per quello spirito "libero" ed autonomo che sempre era stato non credo avesse seriamente valutato di aderirvi...Nè infine ebbe il tempo reale per farlo...
A Padova infatti si ripetè il consueto schema classico: inizialmente tutto bene, grande alacrità ed armonia, ottima escalation delle prospettive in base ai traguardi conquistati, positivo inserimento nella realtà socio-economica locale, buone frequentazioni, ecc...
Poi… il solito patatrac !
Arrivato sulla cresta dell'onda del nuovo lavoro, quando ormai guadagnava ottimamente, Pericle decise di...punirsi (così funziona la malattia del gioco d'azzardo: il vero giocatore continua sempre a giocare, finchè non perde, finchè non ha più nemmeno la camicia da puntare e lo fà per punirsi! Di che cosa non lo sa nemmeno lui e solo il dott. Freud, o chi per esso, potrebbe venirne a capo...).

Padova ha un grosso difetto: dista a neppure mezz'ora di treno (allora anche di auto) da Venezia, dove c'è il...Casinò, d'estate al Lido, d'inverno in Canale.
Pericle forse resistette per il tempo di leccarsi le ferite Spezzine e poi consolidare la sua ottima posizione di Agente Ormig, ma alla fine, supportato dalla vana illusione di avere ora la "fortuna" dalla sua, partì verso il vicinissimo Casinò per moltiplicare velocemente i guadagni frutto del suo accorto, abile e tenace lavoro.
Come al solito perse, sempre di più, rovinosamente...come al solito...
Alla fine, arrivato sotto zero, cercò di "rifarsi" giocandosi anche i congrui anticipi avuti dai Clienti per l'acquisto delle autogrù da lui vendutegli, in qualche modo incassandone gli assegni relativi...
L'epilogo della catastrofe iniziò nell'estate del 1963, concludendosi nel primo semestre del '64.
La fabbrica vedendo arrivare gli ordini, comunque i solleciti di consegna da parte dei clienti, ma non le relative caparre d'acquisto, gliene chiese ragione, indagò, inviò in zona l'Ispettore alle vendite, tale Zanardi, già talora ospite a casa nostra...e fù la rovina !
Pericle si salvò da una denuncia penale per truffa aggravata sopratutto per l'aiuto del fratello Edilio, che firmò pacchi di cambiali a favore di Ormig, per cui fù costretto a fornire a quella fabbrica tutto il materiale tipografico in conto pagamenti per un sacco di anni ed a prezzi stracciati !
Quell'inverno arrivammo quasi alla fame, il servizio telefonico tagliato, lo sfratto per l'appartamento dove abitavamo e Pericle che faceva la spola con il Monte di Pietà...impegnando tutto ciò che poteva.
Ma, imparai allora, era questa una vecchia consuetudine: ad andarsene per primi erano stati gioielli e pellicce di Lidia, quadri e mobili di particolare valore. Ma ora rimaneva ben poco.
Imparammo anche allora, finalmente, che nostro padre era un giocatore incallito, dedito così sistematicamente alla propria rovina.
Capii anche lo strano interesse che lui aveva dimostrato verso i miei libri inerenti il calcolo delle probabilità (io allora cercavo di studiare Statistica all'Università Padovana) e le discussione che più volte avevamo avuto in merito all'annoso quesito che riguarda i "numeri in ritardo"...
Tutti i giocatori infatti, sia che puntino al Lotto che alla roulette, basano le loro speranze sull'uscita dei numeri in ritardo, nell'illusorio equivoco per cui, più passa il tempo senza che detti numeri escano, più aumentano le probabilità di vederli finalmente uscire ( e su di essi crescono iperbolicamente le puntate ). La probabiltà matematica statistica prevede invece, assai chiaramente, che ogni volta che avviene l'evento (estrazione dei numeri o lancio della pallina sul piatto rotante) per tutti i fattori in gioco permangono le stesse identiche probabilità di uscita delle volte precedenti, e così per ogni volta successiva, senza variazione alcuna !
Esistono in realtà effimere teorie sui numeri in ritardo, scientificamente mai dimostrate e comunque arrampicate su per gli specchi dell'illusione.
Io questo sostenevo contro Pericle, che invece insisteva nella sua irrazionale "fede" per l'evento più probabile in quanto tardivo...
Per altro lui, dotato di mente assolutamente razionale, doveva costruirsi un solido alibi "scientifico" a supporto del suo irrazionale, rovinoso trasporto per il gioco d'azzardo.
Alla sua morte, nel 1986, tra le sue cose trovammo decine di "quaderni", compilati con estremo ordine, cura e chiarezza, dove erano segnati in bella calligrafia, su tutte le pagine, i numeri in ritardo, le date ed i luoghi dove e quando erano stati da Pericle rilevati: testimonianaza di ore ed ore ed ore, infinità di giorni e sopratutto nottate trascorse ai tavoli dei vari Casinò.
Faceva anche uso di simpamina per restare sveglio quelle notti...mi fù chiaro, dopo che me ne offrì un paio di pastiglie quando dovetti passare la notte sui libri, in ritardo per la preparazione di un esame all'Università.

Ora, a 22 anni conoscevo per la prima volta l'altra personalità di mio padre, opposta totalmente all'immagine che sino ad allora di lui avevo avuta. Mi trovai così ad accompagnarlo al Monte di Pietà per impegnare anche la pianola di mia sorella: lui disse che aveva bisogno di aiuto per il trasporto, ma sicuramente voleva finalmente responsabilizzarmi sulla gravità della situazione in atto.
Situazione che ci fù anche ribadita ed evidenziata dall'esterno: a parte le evidenti difficoltà economiche, incombenti ormai ai livelli più essenziali, ricevemmo l'allarmante visita di Ufficiali Giudiziari e di due signori, che in assenza di Pericle arrivarono da noi appositamente per "aggiornarci". Uno fù Zanardi, l'Ispettore della Ormig Autogrù, a noi già noto, che ci chiarì quanto era accaduto invitandoci a regolarci di conseguenza. L'altro fù un signore Svizzero che non avevamo mai visto, che ci raccontò di essere stato coinvolto e danneggiato da Pericle in non so quali affari, ma che ci precisò era venuto solo per avvertirci, non avendo comunque speranza di rimediare il suo danno. E di Pericle ci fece un ritratto quanto mai obbiettivo, completo ed esatto, non trascurandone i lati più postivi come quelli peggiori.
Mario ed io ci arangiavamo in qualche lavoretto di scarso reddito e cercavamo di sopperire alle necessità famigliari. Io poi ero stato preso totalmente alla sprovvista da quella situazione: avevo appena lasciato andare, sopratutto per motivi di orgoglio, un impiego che avevo trovato all'API, la società petrolifera. In quanto commerciale, mi ero ripetutamente visto sbattere davanti il bollettino dei protesti, che era di prassi consultare nella verifica dell'affidabilità della clientela, con il nome di Pericle sottolineato in rosso per i numerosi protesti che lo riguardavano !
E lui non era un nostro cliente.…Ma la mentalità corrente voleva che io a lui fossi accomunato e perciò considerato anch'io inaffidabile...Così alla fine mi feci convincere a dare le dimissioni, aiutato anche da un discreto premio di liquidazione...che versai su di un libretto a risparmio che poi, avvenuto il patatrac, girai nella cassa familiare.
Fù il periodo più brutto della mia vita !
Ma fù anche una scuola formidabile, per uno che fino ad allora era cresciuto quasi nella bambagia...
Era il 1964 e l'Italia viveva per la prima volta, negli anni del "Boom" la sua prima "congiuntura economica", una fase di recessione, fortunatamente poi rivelatasi di breve durata. Era difficile trovare lavoro, sopratutto per chi come me avesse referenze familiari palesemente discutibili...
Per Pericle poi, non ne parliamo ! Aveva solo 46 anni, ma troppi "altarini"ormai incombenti alle sue spalle, che aleggiavano tenebrosi.

Quella volta lo salvò il vecchio amico Armando Novelli, storico concessionario Mercedes di Genova, già suo fornitore di auto fuoriserie ai bei tempi. Anche dal quale Pericle, ormai disperato, andò a cercare aiuto.
Fortuna volle che Novelli, costretto dalla casa madre, stesse in quel periodo aprendo un nuovo Salone Mercedes Benz in Corso Europa e stava cercando la persona giusta per poterlo gestire.
Pericle, che lui conosceva molto bene sin dall'adolescenza, informatissimo del suo "vizio" ma anche delle sue enormi capacità di gran venditore di classe, gli arrivò come il cacio sui maccheroni.
Calcolò che lo avrebbe strettamente avuto sottocontrollo per la parte contabile ed amministrativa e che sarebbe stato la persona più adatta, il meglio in assoluto per promuovere l'attività della nuova filiale Mercedes di Genova.
E così fù.
Da Padova tornammo a Genova, quasi facendo l’autostop, nella Primavera del 1964. Mario, appena dicianovenne, si fermò a Padova dove era… superfidanzato e dove aveva realizzato un lavoro che gli permetteva più e meno di sopravvivere.
Io, quasi altrettanto sentimentalmente coinvolto, avrei voluto fare altrettanto, ma riuscii a tornare a Padova solo dopo qualche mese.
Per cui non vidi la partenza di Pericle al timone della nuova prestigiosa Filiale Maercedes di Corso Europa, avvenuta di lì a poco.
Che partì ovviamente alla grande, di nuovo ripetendosi lo schema ormai classico ed inevitabile di ogni ressurezione e successiva rovina di Pericle, l’ “Arabo Fenicio”…

Ripensandoci è incredibile quante volte si sia replicata la stessa vicenda, senza mai cambiare ! Pericle si espresse anche in quell’occasione al massimo della sua bravura e perseveranza lavorativa, adottò nuove tecniche d’approccio antesignane, mai viste prima in Mercedes né altrove ed in breve le vendite della Filiale superarono quelle della Sede di via Rimassa, più che raddoppiando nel primo anno le vendite totali di auto Mercedes nella Provincia di Genova !
Alla sede centrale dell’Autostar a Roma lo vollero conoscere ed anche quella volta si palesò la propsettiva di un incarico direzionale, ma senza seguito.
Armando Novelli non sapeva se essere contento o …geloso, era comunque rimasto spiazzato da quell’exploit, superiore alle sue migliori attese.
Io a Padova, dopo essere sopravissuto con i lavori più strani e precari, ero stato assunto alla locale Filiale della Lavazza, con un incarico amministrativo poi divenuto commerciale. Me la cavavo appena discretamente e mi barcamenavo in un rapporto sentimentale difficile e diatribato. Probabilmente anche per allontanarmi dal quale Pericle
( che sempre ebbe il difetto del “nepotismo”) convinse Novelli ad assumermi come amministrativo presso la Filiale Mercedes di Genova.
Dove io però resistetti solo sei mesi, per tornare infine a Padova, al vecchio amore e soprattutto ad una nuova interessante e finalmente adeguata opportunità di lavoro.
Ma mentre ero con Novelli, alla sede di via Rimassa, ebbi più di un’occasione d’intrattenermi confidenzialmente con lui, che mi raccontò di come Pericle era sempre stato quello che era…sin da quando portava le braghe corte…! Armando Novelli aveva qualche anno in più di Pericle, ma erano stati ragazzi assieme e lui lo ricordava benissimo quale fantasioso e promettente istrione nel mondo degli affari e non solo…
Mi raccontò anche di quando lo vide, appena diciotenne, già andare al monte di pietà per impegnarsi la collanina che aveva testè regalata a Lidia, la fidanzatina sedicenne, per sopperire alle perdite del gioco d’azzardo !
Novelli previde anche che non sarbbe mai cambiato, essendo il vizio (o malattia che fosse) troppo in lui radicata, ed era un vero peccato, perché di qualità grandi ne aveva dimostratamente a iosa !
Ma lui ora, l’Armando, lo teneva sotto ferreo controllo ! Almeno così s’illudeva. In effetti faceva spesso dei bliz, arrivando inatteso alla Filiale di Corso Europa e tutta la contabilità era rigidamente sottocontrollo di via Rimassa.
Per qualche anno non ci furono problemi, o quasi.
Poi dalle parti del 1970 i nodi arrivarono al pettine: non ci furono questa volta per fortuna grandi scandali o pesanti ripercussioni, ma Pericle infine ruppe anche con l’amico Novelli e tutto fa pensare che fosse perché aveva trovato infine il modo di incassare degli anticipi sulle auto prenotate, o più facilmente sulla vendita dell’usato.
Ovviamente per finanziarsi le solite puntate ai Casinò e relative disastrose inevitabili perdite.
Imparai la novità mentre vivevo a Roma, dove ero stato trasferito e promosso dalla Società Petrolifera per cui dal 1966 lavoravo. Siccome il mio lavoro mi metteva anche a contatto con funzionari del Ministero delle Finanze, Pericle mi chiese se potevo attivarmi per sveltirgli le pratiche relative alle licenze d’importazione per svariati
lotti di auto usate in ambito CEE.
Ciò che riuscii (ovviamente ungendo le ruote giuste) a fare in più occasioni.

Bene, Pericle se ne era inventata un’altra e non era da poco !
Lasciato Novelli si era messo ad importare e vendere Mercedes usate dalla Germania, soprattutto da Stoccarda ( città sede di Mercedes Benz), tutte rigorosamente Diesel !
Anche allora il prezzo della benzina era in crescita iperbolica, ma il gasolio costava la metà e consentiva percorrenze maggiori. Ma di auto Diesel c’erano solo le Mercedes, a parte un paio di “trattori" Pegeaut, la 204 e la 404.
Le vendite dei Diesel Mercedes andavano alla grande, ma non erano molti a potersele permettere, se non nell’usato.
Ma di usato Mercedes Diesel c’era più che richiesta una vera e propria incetta ! Pericle, che era assai attento anche nello studio dei vari cavilli birocratici, studiò la cosa e scoprì che le “merci usate”, se trasferite in ambito CEE, pagavano una tassa d’importazione effimera (mi sembra del 4%) !
Così si mise ad importare Mercedes diesel usate, alla grande, guadagnando subito molto bene. Le vendeva semplicemente da casa, con inserzioni su giornali e riviste specializzate (“vendo Mercede Diesel usata in ottime condizioni”), mentre per comprarle andava direttamente in Germania, perlopiù a Stoccarda, dove verificava le auto, già rigorosamente controllate in ordine dai venditori, le pagava e le spediva per ferrovia o con specifica bisarca su gomma. Ogni viaggio erano almeno otto macchine, che arrivavano presso apposito garage predisposto a Genova, con ottimi ricavi.
E di viaggi ne fece tanti, ma assai di più avrebbero potuto essere…
L’affare era tipo quello famoso dei “Camions Americani”, ma in piccolo, praticamente senza rischi…o quasi…
In realtà un rischio c’era, ed era grande, enorme, terribile !
La strada per la Germania passava per…Campione d’Italia, per Baden Baden, per MarienBad…, tutti luoghi dotati di Casinò…!
Era impensabile che Pericle potesse mai resistere alla tentazione di “aiutare” la nuova fortuna che era stato capace, per l’ennesima volta d’inventarsi !
Così il viaggio tipo verso Stoccarda fù presto quello per cui Pericle sostava a Campione d’Italia e finiva col giocarsi, tutto o parte, il denaro che portava con se, destinato a pagare le Mercedes che aveva prenotate…
Ed i Tedeschi ad aspettarlo invano…!
Una volta puoi trovare una scusa, un’altra cerchi d’inventarti qualcosaltro ( e lui era bravissimo anche in questo) ma poi quelli, prima che altri, fanno presto a mandarti a...scopare il mare…
Così, nel breve volgere di nemmeno due anni, finì anche quell’avventura, che altri imitarono e proseguirono alla grande.

Pericle fù costretto allora, a 54 anni ad un’ulteriore umiliazione. E gli andò comunque bene, considerata la terra bruciata che ormai lo circondava !
Finì con il fare il venditore d’auto all’Alfa Romeo, nella filiale di Corso Europa confinante con il Salone Mercedes, dove fino a poco prima era stato il brillante gestore emergente, celebrato per i grandi successi rapidamente ottenuti..

In famiglia le cose sembravano comunque sistemate: Mario aveva con successo avviato un suo promettente commercio di mobili , inizialmente importati dalla Spagna, con magazzino adeguato e negozio in Padova centro; io stavo facendo carriera nel Marketing, prima del settore Petrolifero e poi nell’arredamento; Elisabetta, magnifica ragazza, sportivissima ed avviata al giornalismo, dopo essere stata Miss Lido, Miss Liguria e…quasi Miss Italia , aveva “castigato” uno dei migliori partiti matrimoniali Genovesi... sposandolo: era stato l’unico tra i tantissimi e validi pretendenti a non farle una corte spietata !
Così la povera Lidia si ritrovò infine a casa da sola, con il suo affetuosissimo cagnolino Wisky, un pechinese che Pericle le aveva portato cucciolo da …San Remo..
Sola per modo di dire, perché spesso aveva presso di se alcuni dei vari nipotini nel frattempo giunti ad allietare ed Elisabetta non le era affatto lontana.
Ma purtroppo non sufficienti a compensare l’infinita quantità di stress accumulati in 35 anni di vita con il tumultuoso ed irriducibile Pericle, con la serie infinita di alti sempre meno alti… e di bassi…sempre più bassi…, continuamente passando dall’altare alla polvere…
Inoltre aveva sicuramente sofferto enormemente le umiliazioni cui indirettamente, ma talora anche maldestramente, la sottoposero i ricchi ed altezzosi consuoceri testè acquisiti . Che non fosse nel suo carattere il sopportare il ruolo della parente povera, che si cerca di tenere nascosta se pure la si deve sopportare, dopo lo splendore di vita che era nel suo non lontano passato, è poi assai probabile !
La grande forza e capacità di sopportazione che sino ad allora aveva dimostrate erano ormai arrivate all’esaurimento.

Sino al terribile epilogo che si verificò all’inzizio del 1974.

(Continua. Fine della 4^ Parte)


Pericle con Valentina, tra Wanda ed Elisabetta (1973)

venerdì 6 maggio 2011

LA STANGATA

In sintonia con il racconto che segue, nel quale il film è comunque espressamente citato (quando Pericle convinse Magnatti ad allestire una Sala Corse Clandestina a La Spezia...), un breve ma piacevole video estratto dal famoso e piacevolissimo film, "La Stangata".
Buona visione !


PERICLE (3^ Parte)

PERICLE (3^ Parte)

PERICLE. L'UOMO CHE VISSE PIU' VOLTE
(Terza parte)

Il disastroso esito dell'affaire dei camions segnò l'inizio di un lungo declino, con fasi alterne, alti e bassi, ma senza mai più ritorno all'apice allora raggiunto. Pericle, come l'Araba Fenice che sempre risorgeva dalle proprie ceneri ed alla quale Lidia usava paragonarlo, aveva grandi forza d'animo, spirito di conservazione ed iniziativa ed inesauribili fantasia e coraggio...
Ma anche una "brutta malattia", che lo accompagnò tutta la vita: il vizio del gioco ! Che gli tarpò continuamente le ali, portandolo ripetutamente alla rovina.
Edilio, l'unico dei suoi fratelli ancora in vita, al quale ho telefonato giorni fà per fargli gli auguri in occasione dei suoi 84 anni compiuti il giorno di Pasqua, parlando di Pericle con riferimento a questa sua piccola biografia, mi ha detto che…
"avrebbe potuto essere il Berlusconi di quel tempo"...
Dopo una breve riflessione sono stato d'accordo con Edilio: Pericle aveva, come ho già scritto tutte le qualità, intelligenza, capacità, coraggio, fantasia, determinazione ecc...ecc..., per essere assimilato ai businessmen di maggior successo, anche se era forse meno dotato di…"mancanza di scrupoli", elemento purtroppo indispensabile nel mondo degli affari.
In compenso aveva molta più classe di Berlusconi, più signorilità "vera", assai più senso di opportunità e riservatezza, di diplomazia ed una grande discrezione personale. E sicuramente più buon gusto: anche lui certamente amò tanto le donne, ma mai, sono pronto a giurarlo, senza sconfinare negli esibizionismi da puttaniere.

Una divagazione per inciso: Edilio, in buona salute a 84 anni mi fà vincere una antica scomessa: è l'unico "non fumatore" di tutti i 5 fratelli, sopravissuto mediamente di oltre 20 anni a tutti gli altri, grandi fumatori, prematuramente morti di cancro ai polmoni !
Silvio morì poco più che quarantenne, Serafino era poco oltre i 50, Piero arrivò sui 65 e Pericle a 68, ma perchè avevano smesso di fumare già da diversi anni.

Resta il fatto che dopo il grande flop dei camions americani Pericle dovette ridimensionarsi ed inventare faticosamente altre occasioni di business.
Al grave default economico si aggiungeva la persecuzione del fisco, che poi lo accompagnò per tutta la vita. Sembra che, tra gli altri inghippi, ci fosse anche una grossa esposizione in seguito ad un importante affare che Pericle aveva combinato con il grande Gaslini
(si, quello dell'Ospedale).
Pericle aveva avuto l'idea, ma non avendo sufficiente capitale per concretizzarla, l'aveva proposta a Gasilini che aveva aderito, ma secondo la formula: io ci metto i soldi, ma tu, dati irischi che implica, ci metti la faccia...
L'affare aveva funzionato, ma era finito nelle grinfie del fisco, che se l'era presa con il responsabile formale della cosa.

Dovemmo lasciare la grande "villa", l'auto americana e ridimensionare il personale di servizio. Il tenore di vita e di frequentazione restò comunque di alto livello, anche perchè occorreva far buon viso...
Nel 1951 andammo ad abitare nella casa "americana", un palazzo allora architettonicamente avveniristico (aveva perfino il riscaldamento a pavimento!), sempre al Lido, in via De Gasperi, tra le vie Giordano Bruno e "Vassallo”, a 200 metri dal mare, in un grande appartamento dotato di saloni e molteplici accessori, dove Pericle e Lidia cercarono di conservare il precedente stile di vita.
Ma le risorse economiche diradavano e dopo un paio d'anni ci fù un ulteriore ridimensionamento. Forse anche perchè Pericle aveva perduto, dopo la storia dei camions, credibilità nell'assai rigido mondo del business Genovese...Oppure lui aveva incrementato i suoi blitz ai Casinò rivieraschi per cercare di rifarsi (un classico nello schema mentale del giocatore) ...
Idee ed iniziative certamente non gli vennero meno, ma con minori esiti, quando non perfino ancora disastrosi !
Come fù quello del Casinò di San Marino !
Proprio in quel periodo la microscopica Repubblica autonoma Romagnola, già allora meta di iniziative estemporanee rivolte ad aggirare le restrittive normative Italiane, sopratutto in materia fiscale, si studiò di aprire sul suo minimo territorio un grande Casinò, che avrebbe dovuto diventare un'alternativa ai soli altri tre presenti sul territorio nazionale: San Remo e Venezia e campione d'Italia.
Per legge in Italia il gioco d'azzardo è monopolio dello Stato, a partire da quello giocato nei Casinò, che erano e restano solo i su nominati.
Pericle fù subito molto attratto dall'iniziativa ( forse nè fù anche un promotore!), sia perchè trattavasi di materia a lui molto congeniale..., sia per il gusto della trasgressione...che implicava, sia perché il business si prospettava notevole ed alla buon’ora, si sarebbe posto finalmente dalla parte del Banco, che alla fine vince sempre !
Ma quella volta non vinse…
Fece incetta di azioni del nuovo Casinò di San Marino, impegnandosi anche la camicia e convincendo amici e parenti ad aderire.
Il giorno dell'innaugurazione una folla di patentati, eleganti e dotati
avventori si avviò a salire le toruose pendici romagnole del monte Titano, l’alta collina su cui ubica San Marino. Tra di essi Pericle con Lidia e diversi amici nonchè "complici" del business.
Tutti passarono la notte in auto, fermi in coda, nel vano tentativo di accedere alla piccola repubblica: il Governo Italiano aveva di fatto bloccato la "Dogana" di accesso alla minirepubblica, con il pretesto di controlli fiscali assurdi quanto effimeri ! Ogni auto veniva bloccata per il più lungo tempo possibile, praticamente smontata per verificare la presenza di merci di contrabbando quanto mai improbabili, gli occupanti sottoposti a controlli esasperati, compresa la perquisizione personale...
Quella notte quasi nessuno riuscì a superare la "frontiera", e così fù poi nei giorni successivi. Ma già il giorno dopo le Azioni della Società per il casinò di San Marino valevano niente e nel breve fare successivo gli azionisti poterono utilizzarle giusto per asciugarsi le lacrime versate per le perdite subite.
Per Pericle un'altra pioggia sul bagnato ("ciueve su u' bagnou" dicono a Genova).

Per fortuna ci fù un altra iniziativa in quel periodo che invece funzionò abbastanza, almeno per alimetare un tenore di vita comunque sempre in discesa.
Nonostante il grande flop dei camions a Pericle era rimasto il gusto per il fascino dell'Argentina...Attirato da non so quali specifiche mire, un'estate dei primi anni'50 partì per il Sud America in compagnia di Mario Magnatti, suo nuovo "segretario", poi socio, amico e "compagno di merende", da Pericle trascinato in tutta una serie di avventure e ... disavventure affaristiche...
Magnatti, originario di Pescara, era un bell'uomo, scapolone incontrovertibile, signorile nei modi ma capace di trasformarsi facilmente in una esilarante macchietta. Un simpaticone capace di millantare un romantico passato di attore, di ufficiale di cavalleria e di pilota dell'areonautica militare...
Fù così che per farlo salire con lui sull'areo diretto a Buenos Aires Pericle dovette perfino trascinarlo con la forza...e rincuorarlo per le tante ore di volo, nonchè trattenerlo ad ogni scalo, dove voleva scendere senza più risalire. Tornò in Italia dopo un anno, rigorosamente via mare, a bordo di un mercantile, soffrendo il mal di mare per circa un mese, la durata del viaggio!
Pericle invece tornò dopo tre mesi, allegro e pimpante, carico di doni esotici, inclusa una pelle di caimano.
In Argentina non fù chiaro cosa avessero combinato, lui e Magnatti, a parte incontrare Evita Peron (ricordo ancora le battute in proposito di Lidia, sempre gelosa). Magnatti ufficialmente era rimasto per curare gli sviluppi dei possibili affari, ma si diceva anche in attesa del denaro per pagarsi il ritorno...Ritornò dopo un anno e parlava bene lo Spagnolo !

Comunque fosse, dall'America cominciarono ad arrivare i "biliardini", i poi famosi "flippers" che in Italia sino ad allora si erano visti solo in qualche film Americano: importarli, organizzarli e distribuirli fù allora l'idea originale di Pericle. E non c'erano solo i Flippers, c'era anche tutta una serie di giochi nuovi, entusiasmanti, diversi dotati di tiro a segno con fotocellula, il più famoso l'orso, che colpito alla spalla si voltava e tornava indietro, a ripetizione (io divenni presto un piccolo campione di quello ed altri giochi, incluse le Slot Machines...).

Pericle, la cui collocazione avrebbe potuto essere alla stregua di "Re di Las Vegas"... aprì la ditta, import e distribuzione, in un ampio sottopalazzo di via "Vassallo", con impiegati, qualche fratello e tecnici elettricisti per assemblaggio, messa a punto, manutenzioni e riparazioni: importava, rivendeva e noleggiava i "biliardini" ovvunque ci fosse interesse.
Contemporaneamente nel 1952 aprì anche una nuova, grande e ben dotata "Sala Attrazioni" in Corso Italia, nei locali del Nuovo Lido ! Con una depandance all'interno dei "Bagni", accanto al grande Bar, riservata ai soci frequentatori dell'elitario stabilimento.
Credo fosse la prima "Sala Attrazioni" del genere in Italia ed ebbe subito grande successo, così come la distribuzione dei "Flippers", noleggiati o venduti che fossero. La Sala del Lido 30 anni dopo era ancora aperta ed attiva !
Ciònondimeno nel '53 dovemmo lasciare il grande appartamento ultramoderno della casa "Americana" del Lido per spostarci in via Rosselli, sempre in Albaro, sempre a due passi dal mare di Corso Italia, in un datato ma dignitoso e pur grande appartamento, tuttavia in un trend a calare dopo le precedente due collocazioni.
Così cessarono le feste eleganti e le frequentazioni "bene" che avevano fino ad allora caratterizzato lo stile di vita di Pericle e Lidia.
Inoltre dovemmo affrontare in quel periodo il nodo cruciale di una mia grave patologia, che durava già da anni, ma che allora giunse verso le estreme possibili conseguenze...e che implicò grandi preoccupazioni e costi notevoli per essere infine, proprio nel 1953 risolta al meglio.

E nel’55 dovemmo di nuovo“cambiare aria” in meniera più sostanziale, una vera fuga, la prima delle diverse altre successive.
A Giugno, caricati mobili e masserizie sul camion per i traslocchi, salimmo sulla vecchia Fiat 1500 e partimmo alla volta del Lazio, al mare di Santa Marinella, dove Pericle aveva aperto un'altra, nuova, piacevole e ben posizionata Sala Attrazioni, che partì subito alla grande.
Nella vicina Civitavecchia, dove in autunno ci trasferimmo nella centrale via Cencelle, aveva spostato la ditta per import e distribuzione dei “biliardini”. Fù di nuovo un breve periodo sereno e fecondo, almeno per quanto ricordo: il lavoro funzionava, la Sala Attrazioni aveva serate da incassi eclatanti, la frequentazione era quella della Roma “bene”, inclusi personaggi noti ed attori anche famosi (ricordo in particolare Ingrid Bergman e Rossellini, che avevano la villa al mare lì accanto, a Santa Severa).
Ma l’estate successiva Pericle partì per il Nord, come talora faceva…
SanRemo ? Montecarlo ? Campione d'Italia ?
Fatto fù che non tornò che dopo un mese !
Era stato arrestato, probabilmente in albergo, in seguito a mandato di cattura per reati fiscali (od assegni “irregolari”…) e rinchiuso nel carcere di Marassi a Genova.
Da Genova scesero i suoceri, Federico e Gisella, per aiutarci anche materialmente nella situazione di crisi : dovevamo arrangiarci a gestire la Sala Attrazioni di Santa Marinella in piena stagione. Anch’io, che ero il maggiore (avevo 15 anni) fui responsabilizzato. Mio nonno Federico mi mostrò un trafiletto del Secolo XIX che dava la notizia dell’arresto e carcerazione di Pericle…e cercò di spiegarmi che mio padre restava un grand’uomo, ma con qualche piccolo difetto, a partire dalla “sfortuna”.
Ce la cavammo alla grande: Mario ed Elisabetta ( 11 e 7 anni rispettivamente ) rientravano dal mare verso sera con la nonna Gisella. Lidia, il nonno Federico ed io facevamo per lo più le ore piccole alla Sala attrazioni, aiutati da un paio di dipendenti.
Pericle tornò dopo un mese di carcere in gran forma, abbronzato, riposato ed apparentemente sereno: aveva una forza incredibile !
Ma quell’autunno l’atmosfera tornò a farsi pesante…
Ricordo una crisi di nervi esasperata, da neurodeliri, di Lidia, come mai, né prima né dopo, mi capitò di assistere. Urlava e si dibatteva ossessivamente, che non ne poteva più. Pericle dovette sollevarla di peso e portarla in camera dove riuscì poi faticosamente a calmarla. Non so a cosa fosse dovuta, se a motivi di gelosia od altro.
Comunque fosse a fine anno di nuovo salpammo ancora per altri lidi.

Era il 1956 ed erano passati neppure due anni da quando avevamo lasciato Genova.
Quella partenza aveva determinato una frammentazione del “clan” di Pericle: Serafino aveva trovato altro impiego, l’altro fratello Silvio non ricordo se si fosse già staccato, comunque si era trasferito in Sicilia a continuare per conto suo l’attività dei “biliardini”. Solo il fratello minore, Piero ci aveva seguiti a Civitavhecchia, ma ci rimase solo per un paio di mesi, tornando poi a Genova dove mi sembra lavorasse per alcuni anni nel settore import delle grosse macellerie (andava spesso in Jugoslavia per gli acquisti di carne bovina).
In quanto ad Edilio non aveva mai fatto parte del "clan", pur rimanendo talora coinvolto, ...anche assai dolorosamente, in alcune delle estempranee iniziative di Pericle. Giovanissimo aveva deciso di diventare tipografo, aveva fatto esperienza nella primaria "Tipografia Cardinale", ubicata in piazza Matteotti, nello stesso edificio del Palazzo Ducale, proprietà del cognato"Angiolino", marito della sorella Vittoria.
Poi era partito in proprio, prosperando per molti anni, sino a chiudere con una disastrosa debacle, dovuta sia ai danni subiti per l'ultima alluvione, sia per il calo del lavoro, sopratutto conseguenza della informattizzazione generale dei sistemi.
Magnatti invece si era trasferito a La Spezia, dove aveva aperta una notevole Sala Attrazioni nella centrale via Chiodo. I permessi per attivare strutture del genere erano sempre più difficili da ottenere, ma lui c’era riuscito con l’aiuto “esterno” del fratello, alto funzionario presso la vicina Prefettura di Massa Carrara.
Magnatti offrì nel '56 a Pericle l’opportunità di associarsi a lui, ampliando così le attività d’import e distribuzione dei biliardini (Juke Boxes e Slot machines incluse) ed insieme avviare anche la nuova ditta, personale tecnico incluso, in una laterale di via Chiodo.

Fù così che nel Gennaio del 1957 arrivammo a La Spezia.
Dove già andammo prima a trascorrere le vacanze di Natale, complice il fatto che il nostro appartamento di Civitavecchia era diventato scarsamente vivibile per la puzza di bruciato, causa un piccolo ma pericoloso incendio provocato da mio fratello Mario, 11 anni, sempre alla ricerca di “sperimentazioni” curiose, intento a verificare, chiuso in dispensa, quanto potesse svilupparsi la fiamma di un cerino versandoci sopra una bottiglietta di trielina…Alla sua giovane età aveva già reinventato la…Molotov, per fortuna senza farla scoppiare…Svelto a mollarla e scappare ne era uscito indenne, ma il fuoco aveva subito avviluppato tutta la dispensa dilagando poi nel corridoio…
La Spezia a Natale del ’56 fù per noi meravigliosa, letteralmente abbacinati dalle incantevoli visioni di Lerici, Fiascherino, Tellaro, Portovenere, le Cinque Terre…
Vi durammo poi sino alla fine del ’61, ben 5 anni, un record !
Prima di dover scappare ancora si ripetè il solito ciclo di avvenimenti, con un buon inizio delle attività, un positivo trend di lavoro ed il successivo inevitabile progressivo declino…, questa volta però determinato anche da un vera oggettiva iattura.
Proprio in quegli anni si verificò infatti un’alzata di scudi contro i famigerati “flippers”, una crociata “morale”, con tanto di raccolta di firme di madri preoccupate per la cattiva influenza indotta nei loro giovani figli dalle diaboliche macchinette.
Che altro non erano in realtà che semplici giochi elettrici fungenti da banale passatempo, per cui nel peggiore dei casi si faceva a chi era il più bravo ed i più grandi si giocavano l’aperitivo.
Ma alla fine, nell’Italia bacchettona dei Gronchi e dei Fanfani l’ebbero vinta i benpensanti“salvafamiglie”ed i biliardini furono di fatto proibiti, rimanendo permessi solo all’interno dei circolo privati !
Fù una bella tombola, né valsero a rimediarla i disperati escamotages che Pericle e Magnatti tentarono di inventarsi.
Alla fine, nel 1961, persi per persi, Pericle convinse un riluttante Mario Magnatti ad attivare una sala giochi “clandestina” in un’appartamento accanto a quello in cui lui abitava, dove soprattutto si sarebbero fatte scommesse sui cavalli…
Pericle, antesignano come al solito, si era inventato un’anteprima della “Stangata”(il famoso, bellissimo film con Newman e Redford)…, ma i cavalli sui cui avvenivano le puntate erano cavalli…finti !
Da bambino Pericle mi aveva regalato un gioco, una pista ovale con dei binari su cui correvano, spinti da un meccanismo elettrico, dei cavallini che simulavano il gran premio.
Bene, ora ne aveva riesumato un’edizione assai più grande e più ricca: su di un grande tavolo, tipo 5 metri per 3, aveva organizzato una bellissima pista ovale su cui correvano i cavallini finti, in scala 1 a 10…
Lui faceva il Book Maker, praticamente il "croupier" di quella stramba roulette, gestiva le puntate attribuendo diversi valori ai vari… destrieri (non so dire se e quali trucchi ci potessero essere: sicuramente escluderei il “doping”…).
Cose del genere si vedono normalmente solo al cinema e si stenta a crederci !

La cosa durò forse un mese, poi fù risaputa con scandalo, probabilmente per le maggiori perdite di qualcuno…
Fortunatamente non ci furono gravi sanzioni, sia per le caratteristiche molto privè che aveva la cosa, sia per l’ala protettrice del fratello di Magnatti (che sbottò comunque fuori, incazzato nero).

Così di nuovo, nel Settembre del’61 levammo le tende, questa volta “scappando” ad Est, in quel di Padova, dove Pericle aveva provvidenzialmente concretizzato l’incarico di Agente per alcune province Venete della Ormig di Ovada, primaria fabbrica Piemontese di Autogrù. A segnalargli quel lavoro fù un tale Fongi, già suo episodico partner e referente nel giro dei biliardini a sestri Levante, poi trasferito
a Mestre a vendere Autogrù..

Uno dei tanti episodici ma estrosi personaggi, "compagni di merende"
minori di Pericle, riconducibili alle macchiette raccontate da Erskine Caldwell e da John Steinback nelle loro antologie di tipi umani nell'epoca del New Deal...Ne ricordo altri, ma non di tutti i nomi, a parte un tale Commendatore Ansalini, un omone da 180 chili che piegava da solo le balestre della sua vecchia Balilla quando vi saliva, poi amigrato in Argentina; ricordo anche un greve usuraio di Ronco Scrivia, con l'aria da autentico pescecane...; ed un omarino di Bologna, tale Romagnoli, che cercava di barcamenarsi non ricordo bene come...

E così a Padova, per la prima volta lontano dal "mare" dopo Genova, Civitavecchia e La spezia, iniziò l’ennesima avventura.

Il cui inevitabile epilogo si sarebbe presto ripetuto e fù questa volta estremamente pesante.

(fine della Terza Parte)