mercoledì 22 giugno 2011

BUSINESS&ADMINISTRATION 2^Parte

Foto di riferimento, risalente ai tempi del racconto (1963)

BUSINESS&ADMINISTRATION 2^ Parte

Tutti quei lavori avevano caratteristiche basilari in comune, ma notevoli differenze sul piano strutturale ed organizzativo.
Tutte le attività, sopratutto le maggiori, facevano preciso riferimento, o per lo meno ci provavano, ai collaudati sistemi di "Marketing" originari USA ( in realtà i primi, almeno sul piano teorico, erano stati gli Inglesi, ma sopratutto gli americani ne avevano dato grandissima applicazione pratica e diffusione).
Perugina e sopratutto Lavazza erano già così abbastanza strutturate, ma c'erano altri decisamente più avanti...

Ricordo che tra i tantissimi colloqui di selezione che cui partecipai, La Standa di Monzino e la Farmaceutica dell'amaro Giuliani.
Alla Standa cercavano allievi direttori per i nuovi Magazzini, in progressiva apertura nell'Italia del crescente "boom economico": fui chiamato a Milano per la selezione finale, che prevedeva tra l'altro il superamento dei test all’Americana per verificare intelligenza, attitudini e carattere, visita medica e colloquio conclusivo. Qualche tempo dopo, per motivi professionali imparai che quei test erano pedissequamente presi, tali e quali, da quelli in uso vent'anni prima presso l'Esercito degli Stati Uniti, che li aveva velocemente messi a punto per selezionare, il più rapidamente possibile, milioni di uomini da destinare ai fronti della Seconda Guerra Modiale, in cui stavano allora entrando.
Fù il test sulla "Personalità" a fregarmi...: anche quello costituito da centinaia di domande, cui occorreva rispondere il più velocemente possibile, d'istinto, quasi senza pensare ! Io notai presto che le stesse domande si ripetevano spesso, più volte, ma usando altri termini...
Le risposte possibili erano solo due: Si o No.
Molte erano domande cui non mi sentivo di rispondere decisamente in un modo piùtosto che nell'altro...per cui mi sembrava logico bilanciare il mio parere anullando un "Si" precedente con un "No" successivo, o viceversa, in una sorta di "somma algebrica"...Chiesi conferma di questa mia interpretazione alla "psicologa" che assisteva al test, che se mi capì rispose comunque che sì, poteva essere...
Io così mi comportai e la mia "personalità" risultò quindi essere ambigua, inaffidabile...contraditoria !
Imparata la lezione, nelle successive occasioni mi guardai bene dal commettere ancora l'errore e riuscii sempre a superare al meglio i test di selezione, anche quelli più evoluti ed aggiornati.

Mi colpì invece l'episodio vissuto alla selezione per propagandisti venditori della Farmaceutica Giuliani. In un prestigioso Hotel di Padova mi trovai davanti un datato signore dallo spiccato accento Americano, che mi chiese assai banalmente dove, potendo scegliere, io avrei posizionato sul banco di ogni farmacia l'espositore dei prodotti Giuliani. Risposi istintivamente: in alto a sinistra, ma senza saper spiegare il perchè. Allora lui mi chiese: se lei fosse in Giappone, dove piazzerebbe l'espositore ? Io, ancora istintivamente risposi: in alto al centro. Ma ancora non riuscii a spiegare il perchè !
Entrambe le risposte erano corrette, oggi potrebbe sembrare una fesseria, ma allora l'argomento rientrava ancora nella tecnica in divenire della"persuasione occulta"...
Lui mi chiarì semplicemente che noi, istintivamente come io avevo fatto, seguiamo le nostre invalse abitudini: nel guardare qualsiasi cosa seguiamo lo schema della "lettura", cui siamo abituati, cioè da sinistra a destra, dall'alto in basso ( per i Giapponesi più semplicemente dall'alto in basso).

Questo aspetto del "Marketing", parolona per me allora ancora carica di mistero, mi affascinò e negli anni successivi mi dedicai con notevole interesse e qualche successo a studi ed approfondimenti in materia,

Invece all’API, Anonima Petroli Italiana, quella delle benzine del “Cavallino alato”, negli anni ’60 in grande allargamento della distribuzione, fui assunto…per sbaglio alla Filiale di Padova.
Come ho già raccontato altrove risposi ad un’inserzione per cui cercavano un amministrativo, un ragioniere…Ma durante il colloquio con il direttore, un signore accorto e navigato dall’occhio lungo, che dopo avermi attentamente ascoltato e considerato, mi sparò a bruciapelo: “ma lei vuole davvero fare il ragioniere?”. Io, disarmato dall'ironia del suo sguardo e dalla perentorietà della domanda, risposi che no, non ne avevo ovviamente intenzione alcuna…
Scoppiò a ridere e mi assunse come commerciale.
L’API era allora un’insignificante Società Petrolifera nel contesto delle “Sette Sorelle” del “Cartello Mondiale”, ma una crescente realtà in Italia, dove era assai coraggiosamente e rocambolescamente nata in quel di Falconara, sul mare, vicino ad Ancona. Si diceva che i due fondatori “compari di merende…”, dovettero ad un certo punto scegliere chi dei due dovesse sacrificarsi andando…in galera…
Fuori rimase Peretti, poi divenuto presidente della Società e Cavaliere del Lavoro !
La Sede generale era a Roma, in via Nazionale, vicino a Villa Borgese ed a via Veneto, dove più volte andai a fare corsi di addestramento tecnico commerciale attinenti caratteristiche, usi ed impego dei Carburanti,ma soprattutto dei Lubrificanti, prodotti assai più complessi e dalle prerogative tecniche assai articolate e diversificate, a seconda degli utilizzi cui sono destinate.
Sui quali, buon ultimo, le Società petrolifere fanno i loro veri grossi guadagni !
La prima volta che arrivai alla Sede Romana notai un fatto assai strano: tutti i dipendenti, nessuno escluso, a partire dagli usceri sino ai più alti dirigenti, esibivano un“Regolo Calcolatore”che si notava palesemente spuntare dal taschino della giacca !
Appena ci fù l’occasione ne chiesi il motivo e mi spiegarono che era una più che … tacita imposizione del Presidente ! Il quale, uomo di cultura presso che elementare, si trovò una volta a chiedere ad un suo Ingeniere in Raffineria un dato che richiedeva calcoli complessi e rimase sbalordito quando il tecnico tirò fuori dal taschino uno strano “righello”, lo manipolò brevemente e subito gli fornì l’esatta risposta !
Volle allora sapere come funzionava, volle impararne l’uso e stabilì che tutti i suoi collaboratori e dipendenti ne fossero dotati ed imparassero ad usarlo.
Anzi, mi consigliò il tecnico che mi raccontava quella cosa, sarà bene che anche lei se lo procuri, impari ad usarlo se già non ne è capace e lo esibisca costantemente, almeno ogni volta che viene a Roma.
Provvidi immediatamente all’acquisto e mi rinfrescai la memoria circa l’uso, che già avevo avuto modo di apprendere a scuola.

L’addestramento “sul campo”era invece lasciato allo “sbaraglio” della mia… inesperienza. A Padova il maturo direttore che mi aveva assunto era già molto malato e purtroppo morì dopo qualche mese. Il vice che prese il suo posto era un untuoso, inaffidabile intrallazzatore, dedito più che altro a sfruttare ogni occasione ai fini del business personale, ma fondamentalmente anche un incapace, un “ququaraquà” di bassa lega, nonostante il titolo d’Ingeniere di cui si fregiava.
Il vecchio direttore che mi aveva assunto aveva disposto un programma di “affiancamenti sul campo” per consentirmi di apprendere progressivamente il mio lavoro, come nella logica. Il ququaraquà che gli era subentrato mi spedì invece allo sbaraglio: marcia o crepa !
Io provai a marciare e qualcosa comunque riuscii ad imparare da solo.
Però mi trovai spesso davanti a clienti preparati dovendo improvvisare argomentazioni commerciali di mio intuito e …fantasia…Mi trovai a frequentare le “Borse Merci” presso le Camere di Commercio delle Provincie a me assegnate senza sapere bene che cosa ci andassi a fare…Mi trovai a dover insegnare ai Gestori delle Stazioni di Servizio ciò che io non avevo mai imparato a fare…
Fù probabilmente anche in seguito a questa sofferta esperienza che, dopo qualche anno nel settore, avevo imparato così bene ogni aspetto del lavoro da essere promosso Capo Ufficio Addestramento presso la Sede di Roma di un'importante multinazionale del Petrolio !

Ma tornando ai primordi in API, esemplare fù quella volta che mi mandarono ad aprire la nuova Stazione di Servizio a Feltre !
Era Gennaio 1963 ed imparai subito a mie spese un “adagio” che recita: “ Se vuoi patire le pene d’inferno, va a Trento d’estate ed a Feltre d’inverno”!
A Feltre la stazione, grande e nuova di pacca, era completamente coperta da un metro di neve e totalmente sprovvista di impianto di riscaldamento…( i progettisti “Romani” dovevano aver considerato che li sarebbe stato un di più, meglio risparmiare…).
Il Gestore, personalmente scelto dal neo direttore ququraquà in base a segnalazione e raccomandazione della locale stazione dei carabinieri (e forse estorcendogli l’obbligo di versargli sottobanco una quota percentuale dei suoi ricavi gestionali…) era un brav’uomo, volonteroso, ma totalmente digiuno di qualsiasi nozione per il lavoro che doveva svolgere. Esattamente come me, che avevo il compito di istruirlo ed avviarlo nella nuova attività !
Io avevo solo 22 anni, ma sapevo anche essere talora “saggio” ed accorto. Misi quindi la questione nei termini: “Senti, tu sei nuovo ed io pure, so poco o nulla di quello che dovrei insegnarti…Non abbiamo che un ‘alternativa: imparare insieme, cercando magari di sbagliare il meno possibile”.
Lui apprezzò la mia sincerità e modestia, anche perché, dovendo “fisicamente”aprire la nuova Stazione bisognava spalare il metro di…ghiaccio che la ricopriva tutta, grande piazzale incluso !
Mi romboccai le maniche (per modo di dire, perchè quando faceva caldo c’erano dodici gradi sottozero…) e mi misi a spalare insieme a lui.
Ci mettemmo una settimana intera: più che spalare dovevamo “picconare” il ghiaccio, frantumandolo prima di poterlo spalar via.
La sera, nonostante il mio fisico gagliardo, arrivavo nell’alberghetto dove alloggiavo distrutto, consumavo una cena calda ed ipercalorica e mi infilavo a letto fino al mattino successivo, quasi rimpiangendo di non aver voluto fare il “ragioniere”…
Quando finalmente arivammo ad “aprire” di fatto le vendite molte cose, anche strettamente di tipo “tecnico” dovetti inventarmele, comunque chiedere telefonicamente lumi, finchè ottenni infine l’invio di una squadra di tecnici montatori ed installatori per chiarirci ciò che non sapevamo né potevamo immaginare.

Dopo questa esperienza ne feci altre significative.
Notevole era il fatto che tutti i “Presidenti” delle compagnie Petrolifere in Italia avessero la Villa a Cortina d’Ampezzo: sembra fosse un “must”! Perciò doveva a Cortina esserci anche una stazione di servizio della stessa Compagnia, perché mai il Presidente avrebbe fatto benzina alla concorrenza…!
A quei tempi Cortina era per pochi fortunati, e di carburanti c’era assai scarso consumo: era perciò problematico mantenere aperta la gestione delle troppe Stazioni apertevi ad uso dei vari “Presidenti”…Occorreva perciò sponsorizzare onerosamente i gestori e nonostante tutto spesso cambiarli.
I Cortinesi avevano infatti il vezzo di essere poco attendibili, avevano un andazzo molto “stagionale”, piantandoti magari in asso per andare a fare il maestro di sci piùttosto che qualcosaltro…
Nella zona di mia competenza c’era Cortina, dove in realtà andavo volentieri, riuscendo a farmi qualche sciata e talora accompagnarmi con la procace figlia di un gestore…Qualche volta dovetti “travestirmi” da Gestore io stesso, perché arrivava il Presidente e non si trovava chi volesse tener aperta la Stazione…

Poi, alla fine del’63 ci fù la tragedia di Longarone: anche lì c’era un distributore ed era ugualmente nella mia zona. Ci passavo quasi sempre andando a Cortina, spesso la sera tardi, per opportunità d’itinerario. E di notte mi fù sempre lugubre, anche prima della tragedia, la visione della diga, la in cima tra le montagne sopra la valle, illuminata dalla pallida luce dei fari, incombente e minacciosa…
A Longarone si diceva, si sapeva che era un rischio…ma non di quella portata che poi ebbe a manifestarsi ! La famiglia del gestore era composta da 11 persone: sopravisse uno soltanto, un figlio che quella sera era a Belluno per trovare la morosa…
Le cisterne del distributore, interrate sino a 3-4 metri e pesanti tonnellate furono poi ritrovate 4 km. a valle !
Non so se l’API fosse poi risarcita, ma quello era un particolare irrilevante nel contesto dell’immane disastro…
Non lo seppi perchè cambiai lavoro, poi Compagnia Petrolifera, non riuscendo a sopportare ulteriormente la disonesta stupidità rancorosa del quaquaraqua che dirigeva la filiale Padovana.
Ma ebbi notevole soddisfazione dopo pochi anni, quando lavoravo con successo per una Società concorrente, di vederlo licenziare in tronco in seguito ad un grosso ammanco contabile ( 80 milioni degli anni’60!) che avvenne nella Filiale di cui lui era responsabile.

La presenza di certe persone, soprattutto se in ruoli di responsabilità,
è normalmente significativa della precaria conduzione manageriale di una Organizzazione: anche quando si è costretti ad assumere chi non vale, perché fortemente raccomandato da chi non si può… eludere..., gli inetti, gli incapaci, i disonesti comunque imposti, devono sempre essere identificati in quanto tali e collocati in grado di non nuocere !



BUSINESS&ADMINISTRATION 1^ Parte


BUSINESS & ADMINISTRATION
Esperienze tra Dilettanti allo sbaraglio
Gli inizi.

("Il lavoro rende liberi", nella foto l'insegna
all'ingresso del Campo di Auschwitz...)

"Arte o mestiere?"
Si domandava retoricamente, ma assai comicamente il protagonista di un divertente film "underground" ottimamente intepretato da Nino Manfredi,"A cavallo della tigre".
Era il 1962, avevo 21anni ed anch'io mi chiedevo:"Arte o mestiere?"
Ma partendo da presupposti diversi: il protagonista del film stava più che altro temporeggiando, avendo in realtà pochissime propensioni a "faticare", qualunque fosse il tipo di fatica...
Io invece ambivo al lavoro ed al guadagno, non temevo l'impegno e la fatica, ma moltissimo la "noia" dei molti ruoli possibili, a partire da quelli che erano impliciti nel mio diploma testè conseguito: fare il "Ragioniere" e...morire per me erano prospettive equivalenti !
Non a caso per ottenere la promozione avevo dovuto promettere al professore di Ragioneria che mai avrei fatto il...Ragioniere...e lui mi promosse anche in considerazione degli miei positivi esiti nelle altre materie, quelle rigorosamente "non professionali".
Non mi mancavano per altro doti naturali ed inclinazioni degne di nota: più di un professore mi caldeggiò l'opportunità che io indirizzassi verso "Architettura", data la mia notevole "mano" per ogni tipo di disegno,
prospettiva, rappresentazione grafica ed elaborazione tecnica.
Io poi "sentivo" che avrei potuto forse riuscire in attività anche molto impegnative e diverse tra di loro: il medico, l'avvocato, l'attore, lo scrittore...: alcuni episodi della mia vita giustificarono poi l'attendibilità di quelle propensioni. Ma le condizioni economiche della mia famiglia stavano palesemente diventando tali da non permettermi alcun supporto ai lunghi studi e/o tirocinnii che quelle ipotesi avrebbero implicato, nè io dimostravo una così forte "passione" per sceglierne una piùttosto che altre, nè la determinazione per fare i sacrifici che sarebbero stati necessari.
A La Spezia, trascinato da un amico, iniziai anche a recitare con la Filodrammatica del Dopolavoro Dipendenti della Marina, ottenendo buoni riscontri. Vi conobbi ed apprezzai anche un tale Giancarlo Giannini, allora agli esordi promettenti.
Ma preferii in definitiva dedicarmi completamente agli sport, diventando anche "campioncino" di livello di nazionale giovanile.
Alla maturità risultai in assoluto il primo in Educazione Fisica, l'unico "Dieci" di tutto l'Istituto, ciò che mi valse, unitamente ad altri meriti ottenuti in campo agonistico, una borsa di studio per l'ISEF di Bologna...
Ma fare il Professore di Ginnastica a quei tempi significava... sopravvivere alla fame o poco più. Per quanto io avessi dimostrate propensioni anche per l'insegnamento oltre che per gli sport (ebbi incarichi e supplenze per le scuole superiori), non c'erano allora prospettive. Vent'anni dopo avrei potuto calcolare tranquillamente di aprire la "mia palestra", fare l'istruttore ben prezzolato di una delle tantissime discipline poi maturate negli usi e "consumi" degli Italiani...unendo così l' "utile" al dilettevole...
Ma nel 1962 ciò era fantascienza !
Così infine mi iscrissi a Statistica, a Padova essendoci il primo biennio che consentiva il relativo "Diploma", una sorta di laurea breve ed iniziai, anzi continuai a "lavorare", barcamenandomi nei vari, episodici e perlopiù precari incarichi "commerciali" che mi capitavano.
Due anni dopo risposi tra l'altro ad un'inserzione di Alitalia e fui selezionato per divenire "Pilota", forse anche grazie alla raccomandazione di un Comandante dei voli internazionali, papà di un mio amico Romano che poi divenne anche lui pilota. Il programma, totalmente sponsorizzato da Alitalia prevedeva 9 mesi di scuola a Fiumicino con vitto, alloggio ed un presalario, seguito a fine corso dall'assunzione come Stewart sui voli di linea, buon stipendio, rimborsi spese, viaggi gratis in giro per il mondo e la opportunità di frequentare tante Hostess, fanciulle perlopiù assai ben attrezzate ! A 23 anni la prospettiva non era male anche data la mia non esaltante situazione !
Ma io allora ero inguaribilmente e masochisticamente inguaiato con una ragazza Padovana, la quale mise subito avanti le sue manine ...artigliate, minacciando il suo inesorabile out out: "o me o l'Alitalia".
Ed io, coglione...pardon "sciocchino", col senno di poi passai diversi anni a pentirmi, a martellarmi...si, proprio lì !
Mi ricredetti solo nel 1969, quando nel ristorante del principale Hotel di Mestre, dove avevo in corso una colazione di lavoro (nel frattempo mi ero avviato ad una buona carriera nel settore Petrolifero), mi sentii battere vigorosamente sulla spalla e girandomi riconobbi Livio, il mio amico Romano, ora Comandante Alitalia come io avrei potuto diventare, col quale ebbi una velocissima "rimpatriata". Durante la quale mi espresse la sua grande delusione per il lavoro che stava facendo. Disse che dopo l'esaltazione iniziale era poi subentrato un frustrante senso di routine..."è come essere autisti di autobus...".

Ma assai prima di tutto questo, dal 1961 in poi, mi trovai invece ad arrabattarmi con quanto mi capitava, facendo infinite esperienze, comunque utili, nei settori ed ambiti più diversi, talora anche "strani"ed estremamente precari.
Oggi posso affermare che fù per me un'importante scuola di vita !

La lunga premessa introduttiva, vuole essere significativa di quanto si dovesse spendere, imparare ed esercitare anche e sopratutto allora, in un mondo che, pur essendo da tempo avviato alla "ricostruzione" postbellica, era ancora fortemente subordinato ad una condizione fondamentalmente rurale, preindustriale ed affatto "consumistica", sopratutto nel Veneto, a quei tempi ancora patria di emigranti, dove allora io vivevo.
In quell'ambito mi trovai, ad esempio, vendere Enciclopedie per Ragazzi: "La vita Meravigliosa", 12 volumi per un totale di circa 40mila lire, pagamento rateale con minimo anticipo di 4milalire…la nostra provvigione. Nostra perchè io ero Capogruppo di un disperato manipolo di Venditori, tra cui il non ancora 18enne mio fratello.
Il nostro "target" erano le famiglie meno abbienti delle "case minime" (l'INAcase) delle periferie di Padova, Vicenza e Verona, per le quali un acquisto come quello rappresentava notevole impegno e sacrificio !
Quarantamila lire erano allora quasi la paga mensile di un operaio !
La tecnica di vendita era ottima e collaudata: suonavamo ai campanelli, "door to door", lasciavamo un volume in visione e ripassavamo il giorno dopo per tentare la conclusione. Statisticamente saltavano fuori due vendite ogni 10 "contatti": ci pagavamo, in quattro che eravamo, la benzina per la Fiat 500 in dotazione, i panini della colazione e qualche spicciolo per le nostre piccole spese.
Il nostro ottimismo era tale che spesso partivamo senza denaro e con scarsa benzina nel serbatoio...Così ci trovammo talora a...succhiare il latte dalle bottiglie poste davanti alle porte degli inquilini INA Casa e la..benzina dai grossi serbatoi delle auto americane dei militari in forza NATO a Vicenza o Verona...La necessità...
Fù comunque esperienza di vita e di lavoro notevolissima, già, alla "americana" (ricordo un emblematico episodio di un film USA in cui il giovanissimo rampollo di un grosso magnate della Finanza viene accompagnato dall'autista, a bordo di un'enorme "limousine", che lo scarica ad un angolo dell Fifth Avenue insieme al suo banchetto da lustrascarpe, per cui si guadagnerà la sua "paghetta"...esentasse facendo lo "ShoeShine").
Noi eravamo più grandicelli, decisamente assai meno dotati, sicuramente assai più "motivati"da necessità specifiche, più che non educative...
Così vendemmo (o ci provammo...) macchine da scrivere, macchine da cucire, cosmetici ecc...ecc..., in un mondo che stava crescendo inesorabilmente se pur lentamente. Io, forse favorito dal mio diploma e della mia immagine più matura e risoluta, dopo essere stato anche sub agente di mio padre per la vendita di Autogrù e semoventi vari, divenni poi sub agente Perugina per l'organizzazione Prodotti da Banco: feci un brevissimo"corso di addestramento sul campo" a Bologna e mi dotarono di un grosso furgone Fiat 1100, pieno di delizie al cioccolato da piazzare sul banco dei Bar Padovani con appositi espositori.
Cavallo di battaglia erano i "Flippers, i magnifici sette" della Perugina, che con gran battage pubblicitario stava allora lanciando sul mercato. Erano tubetti di cartone variopinto contenenti delizie al cioccolato in varie fantasie di gusto.
Poteva sembrare un lavoro facile, ma non era esattamente così: allora quei prodotti erano troppo cari e ricercati per le tasche e la mentalità di gran parte dei potenziali consumatori. C'erano dei bar, anche in città, non parliamo della Provincia, dove non si batteva chiodo perchè, oltre a qualche obrobioso imbevibile caffè, funzionava solo la mescita di "ombrette" e grappini...e dove sfizio episodico poteva essere giusto il "pan biscotto con la soppressa"!
Mi capitò, in qualche...Osteria dove già era presente la concorrenza, Ferrero con i suoi "Mon Cherie", di riuscire a piazzare un espositore di Flippers Perugina: dopo una settimana erano ancora tutti lì !
La titolare rassegnata mi argomentava. " ghe aveo dito mi che i no se saria vendui...I tol solo i Monserì Ferrero, che ghe dentro el liguor...".
E già, nel Veneto iperetilista di allora, senza di alcool non si combinavano affari !
Ed io, vergognosamente astemio, dovetti presto convertirmi o far finta di...
Episodio tipico vissuto qualche anno dopo: sette del mattino, Ponte Priula, statale Treviso-Conegliano-Pordenone. Ai lati dello slargo sulla strada ci sono almeno quattro grosse trattorie-ostarie con bar. Parcheggio tra i tanti mezzi, sopratutto camion e furgoni e mi avvio a quello che sembra il Bar più "pulito", meno datato...
Dentro c'è pieno di autisti, viaggiatori che stanno trincando "ombre", "calici", grappini...Qualcun indulge anche a mangiare pan biscotto, sopressa e ova sode. Mi avvicino al bar e chiedo "Cappuccino e Broche"...Ciò che provoca la caduta del...silenzio: mi guardano, mi squadrano, nessuno osa dir nulla data la mia stazza e struttura, ma è evidente che pensano.."ma donde vien fora sto qua"...Qualcuno esce a vedere dove è parcheggiato il disco volante del Marziano...Il cappuccino che infine mi verrà servito avrà inesorabilmente il sapore di...vino, di segatura e di fondi di caffè bruciato...
La brioche il gusto del legno e la consistenza del gesso...

Ma non ebbi a che fare solo con Perugina.
Nel 1963, disperato per l'assenza di denaro, mi proposi e fui assunto come Ragioniere presso un emergente Autotrasportatore Padovano.
Ma non riuscii a resistere, "claustrofobia"...Dopo tre giorni fuggii alla volta di Milano dove feci il corso e fui nominato Agente di Padova della “Americana Encyclopedia”, assai più facile da pronunciare che da...vendere..., almeno allora, probabilmente non avendo io ancora sviluppate sufficienti doti di perseveranza e determinazione ed essendo ancora tuttavia primordiali le mie "tecniche di vendita".

Con Lavazza invece resistetti più a lungo, facevo i controlli contabili ai magazzini del Veneto Occidentale, con sede presso la Filiale di Padova. Poi, capita la mia indole, mi passarono alle ricerche di mercato. Ma mio padre, anche per allontanarmi da Padova dove insistevo in un diatribato rapporto amoroso...mi chiamò a Genova a lavorare per la filiale Mercedes da lui in quel periodo gestita.

Ma il mio "cuore", era rimesto a Padova, insieme alla "testa"...
Ed a Padova avevo in "stand by" un importante contatto per tornare a lavorare nel settore petrolifero, contatto che stava lentamente maturando.
Già, perchè nel frattempo avevo anche lavorato come commerciale all'API, quella della benzina col "Cavallino che vola" e quel settore, il petrolifero, mi aveva particolarmente coinvolto.
Altra notevole esperienza da dilettante tra i dilettanti, tutti allo sbaraglio !
Come argomenterò nel prossimo racconto.

The lonely dolphin.




domenica 12 giugno 2011

MORFINOMANE A 12 ANNI !


MORFINOMANE A DODICI ANNI

Si, lo sono stato davvero, sia pure per un breve periodo.
Tutto è forse iniziato quando sui sette anni mi diagnosticarono le "ghiandole ai bronchi" (sorta di adenomi precancerosi). Da allora in poi continuai ad avere sempre più spesso ed in maniera sempre più grave, bronchiti e broncopolmoniti. Mi sottoposero a tutte le possibili visite specialistiche, diventai forse radioattivo per le innumerevoli radiografie cui fui sottoposto (unico metodo allora disponibile e totalmente inadeguato a rilevare la patologia che io in realtà avevo).
Passai settimane e mesi a letto e finii anche a Villa Serena, nel 1951 moderna ed attrezzata clinica privata, allora proprietà dei "baroni" della medicina Genovese. Feci un'interminabile serie di noiosissime inalazioni per i bronchi...ma continuavo lentamente a peggiorare.
Fortunatamente alternando periodi di vita quasi normale, in cui potevo perfino scalmanarmi a giocare al pallone, nuotare e fare il capobanda di un manipolo di decenni, ai "bagni del Lido", contrapposto ad altre tribù coetanee. Ma in altri periodi mi toccava, nel migliore dei casi, guardare dalla finestra chiusa di casa i miei amici che giocavano all'aperto.
Passavo così molto tempo a leggere (fortunatamente non c'era la televisione), non solo fumetti, gli immancabili album di Topolino
ma anche tanti libri che mi regalava mio padre !
Lessi tutto Verne, Salgari e tante altre cose, per non parlare dei 10 volumi dell'Enciclopedia per ragazzi di Mondadori, che mi fù compagna inseparabile dagli 8 ai 15 anni ed anche oltre.
E "lavorai" molto con il "Meccano", gioco estremamente educativo e creativo per i ragazzi, oggi purtroppo sparito e non adeguatamente rimpiazzato.
Giocavo tantissimo con i soldatini : indiani e cowboys, militari dei vari eserciti recenti, cavalieri...ecc..., ne avevo una ampia collezione, che utilizzavo come "regista" inventando trame di combattimento o replicando ciò che avevo letto o visto al cinema.
Quei periodi di malattia mi aiutarono molto a sviluppare fantasia, creatività e cultura extrascolastica.

Ma continuavo a peggiorare: un paio di volte, ad 11 e 12 anni, in occasione di gravi "congestioni polmonari", ebbi anche la sensazione di essere vicino a morire...
Sempre più spesso avevo attacchi di tosse ed all'inizio del 1953 ebbi
anche un forte emotisi: sputai molto sangue mentre tossivo !
Il dottor Vittone che ci seguiva da anni era assai più esoso che bravo, aveva già chiesto un infinità di "consulti", ma senza arrivare da nessuna parte.
Mio padre allora fortunatamente decise di agire autonomamente e mi portò subito dal dott.Ferraris, primario del reparto delle malattie polmonari gravi,TBC e tumori, all'ospedale specialistico in Genova, dove era stato già ricoverato suo fratello, Piero risultato tubercoloso appena ventenne, alla visita di leva.
Il dott. Attilio Ferraris mi visitò nel suo studio, bello ed attrezzato, sopra piazza Corvetto, accanto alla collinetta parco dellaVilletta Di Negro . Era Sabato pomeriggio!
Era un uomo piacevole, sui 40 anni, alto, tipo James Stewart, dai modi molto appropriati e coinvolgenti ed emanava un forte carisma.
In seguito verificai come mi bastasse la sua presenza per sentirmi già meglio !
Mi fece una lunga visita accuratissima, radiografia inclusa, dopodichè mi rimandò all'indomani, Domenica mattina, in ospedale per una broncoscopia.
La mia fortuna, per cui oggi posso scrivere questo racconto, è che lui fosse il primo in Italia ad utilizzare questo sistema d'indagine, che aveva da poco appreso direttamente dal prof. Metras, l'inventore di quella tecnica, a Marsiglia.

Allora la broncoscopia si faceva con un grosso tubo rigido, di metallo, che, in anestesia locale veniva introdotto attraverso la gola fino ai bronchi.
Io arrivai tranquillizzato dai miei genitori su ciò che mi toccava e così feci la mia prima iniezione di morfina... che fù un'esperienza meravigliosa: mi sentivo solo vagamente stordito, ma provavo un'enorme sensazione di benessere, di pace, di felicità; vedevo tutto rosa ed era bello perfino lo squallido e triste luogo in qui mi trovavo !
Il dott. Ferraris fù bravissimo nel coinvolgermi, invitandomi perfino, dopo che lui mi aveva mostrato come, a spruzzarmi da solo l'etere anestetizzante in gola.
Ciònonostante l'introduzione del grosso tubo in trachea non fù affatto piacevole, nè la sua successiva permanenza per il lunghissimo quarto d'ora in cui lui esplorò, verificò e perfino tentò una soluzione.
Avevo un "adenoma" bronchiale, un tumore stimato "benigno" (ed infine poi confermato tale), che occludeva il bronco sinistro.
Aveva forma e dmensione una ciliegia, il cui picciolo restava ancorato alla parete interna del bronco, vibrando quando entrava l'aria che cercava di arrivare ai polmoni, sibilando come la pallina nel fischietto arbitrale ed ormai sanguinando per lo stress delle continue vibrazioni.

Il dott. Ferraris tentò, già in quella prima broncoscopia, di staccare quel peduncolo incidendone delicatamente il "picciolo", ma appena avicinava il bisturi si esasperava il sanguinamento, con pericolo di emoragia !
Gli strumenti di cui allora disponeva e che poteva introdurre e manovrare all'interno del tubo, erano primordiali e non prevedevano affatto cauterizzatore per arrestare emoragie, nè l'aspiratore per riassorbirle.
Comunque ci riprovò ancora, nei giorni, nelle settimane successive, molte volte, tentando approcci e tecniche diverse, ma senza esito: sempre si palesava il rischio emoragico.

Fù così che io mi sottoposi ad almeno una dozzina di broncoscopie ed arrivai al punto che non vedevo l'ora che me le facessero !
Perchè nonostante il grosso fastidio del tubo in gola, in trachea, nel bronco, nonostante poi dovessi rimanere a lungo, per delle ore con la gola dolorante ed irritata, incapace di parlare ed ingoiare nulla che non fosse liquido...tutto questo era regolarmente preceduto dall'inezione stupefacente, la morfina che mi faceva sognare e vivere il Paradiso !
E quando cessava il suo effetto, che aveva durata sempre più breve, mi sentivo stralunato, con una brutta sensazione di manchevolezza generale, dissociato ed infelice. Sicuramente stavo diventando morfinomane !
Mi resi chiaramente conto di ciò che mi era capitato due o tre anni dopo, quando al cinema vidi "L'uomo dal braccio d'oro", famoso film sugli effetti della droga, intepretato da Sinatra e da Kim Novak.
La vicenda mi coinvolse moltissimo e la recepii in ogni dettaglio proprio in funzione della mia trascorsa...morfinomania broncoscopica...

Infine il dott. Ferraris capì che oltre la diagnosi non riusciva, e che sarebbe convenuto portarmi a Marsiglia, dal prof. Metras, l'inventore della tecnica, che ci provasse lui...e che in ogni caso era in grado di sottopormi al meglio ad un tradizionale intervento chirurgico per asportare l'adenoma, intervento di portata comunque notevole.
Mio padre non ebbe dubbi sull'opportunità, nonostante l'entità della spesa e fù così che partimmo alla volta di Marsiglia in quattro, il dott. Ferraris, i miei genitori ed io.

La Clinique Sant Julien era appena prima, Marsiglia, sulla campagna degradante verso il mare assai vicino, accanto al villaggio omonimo, che aveva dato i natali al noto comico francese Fernandel, famoso interprete di Don Camillo. Che ebbi occasione di incontrare nel ristorante albergo gestito dai suoi parenti, dove soggiornai alcuni giorni prima di essere ammesso alla Clinique, in compagnia dei miei genitori e del dott.Ferraris.
In quei due-tre giorni, in attesa del grave intervento (ma io credevo si trattasse solo di un’ennesima broncoscopia, più lunga ed importante per cui sarei stato addormentato) i miei mi organizzarono ogni possibile distrazione: noleggiarono un motoscafo con cui andammo verso il largo ad aggirare l’isolotto dello Chateau d’If, il grande scoglio su cui si erge maestosa e lugubre l’alta rocca in cui fù ambientata la prigionia del Conte di Montecristo, in compagnia dell’Abate Faria; mi portarono nel cinema principale della Rue Canebierre a vedere, per la prima volta il “Cinemascope”: la Tunique, la Tunica in Francese.
Con mia mamma andammo anche ad un grande circo a due piste, il più grande spettacolo che avessi mai visto, dove purtroppo assistemmo anche ad un terribile incidente: una trapezista che si esibiva roteando velocissima, appesa coi denti a 10 metri da terra ebbe rotto l’anello di sostegno che teneva in bocca e precipitò schiantandosi sulla sottostante pista di ghiaccio, proprio lì davanti a noi !
Da allora ogni volta che vedo ripetersi quel numero, classico dello spettacolo circense, rivedo coi brividi quella terribile scena.
Con la quale ancora negli occhi il giorno dopo entrai in clinica per essere operato.

Il prof. Metras, che assomigliava un po’ a Napoleone, tentò a sua volta con la broncoscopia, anche lui senza esito.
Così mi operò, assistito dal dott. Ferraris: l’intervento durò oltre 6 ore ed ebbe ottimo esito e fù poi anche pubblicato, con foto a colori, sulle riviste mediche specializzate, come interessante caso clinico.
Io mi ero addormentato al “sei” della conta per l’anestesia e mi risvegliai il giorno dopo, estremamente contrariato e sofferente: avevo un cannello nel naso (ossigeno), una siringa nel braccio (flebo), e due tubi di drenaggio che mi penetravano il torace, davanti e didietro.
Così seppi che mi avevano un po’ squartato (ma senza ledere le mie giovani e divaricabili costole), per cui avevo una cucitura di 36 punti lunghi sul lato sinistro del costato, fino alla schiena.
Molto meglio le broncoscopie, e la...morfina...!

Ma poi passò tutto, anche la cosa più brutta, gli attimi di intenso dolore quando mi estrassero i tubi di drenaggio.
Ed arrivò anche una fisioterapista molto severa a farmi fare ginnastica per evitare che io rimanessi con la spalla sinistra disassata, visto che la trattenevo innaturalmente per paura del dolore.
Le prime soddisfazioni furono quando mi misurarono con lo spirometro la capacità polmonare, recuperata alla grande; e sopratutto il poter di nuovo respirare a pieni polmoni, sentir l’aria scendere fino in fondo, dappertutto !
Ricordo le prime passegiate con mia madre, appena fuori, negli orti e giardini che circondavano la villa ed io che mi inebbriavo letteralmente con tutti quei profumi, tipicamente mediterranei e primaverili, respirandoli a pieni polmoni. A "pieni" polmoni !
Rimasi là per circa un mese ed alla fine ne venni via con l’orgoglio di portarmi da solo la valigia.

Quell’estate già ricominciai a nuotare regolarmente e l’anno dopo iniziavo l’agonismo ottenendo presto risultati notevoli.
Da allora infatti mi dedicai moltissimo agli sports, con esiti agonistici di ottimo livello in Atletica e nel Nuoto: dovevo rifarmi dell'immobilità che da bambino, per lunghi mesi e durante diversi anni, la malattia mi aveva causato.

Nel 1965, a 24 anni, vinsi il Campionato Italiano di Nuoto Salvamento.
Il mio record di Apnea passiva è di 4 minuti (1972), quello di Apnea attiva è di 75 metri (3 vasche) in 2 minuti e 15’.
Fin dopo i 60 anni scendevo regolarmente in apnea, senza pinne e con i soli occhialini da nuoto ad abbracciare il Cristo degli abissi a San Fruttuoso, a 18 metri di profondità, circondato da increduli subacquei, superattrezzati di mute, maschere, autorespiratori e rpofondimetri...

Questa è stata la mia rivincita per aver rischiato di morire a 12 anni, e poi di diventare...morfinomane…

the lonely dolphin

venerdì 10 giugno 2011

IL REBUS E LA SFINGE


IL REBUS E LA SFINGE
Esperienze di psicanalisi classica Fruediana
(nella foto: Sigmund Freud))

Il mio interesse per la Psicanalisi iniziò probabilmente come molti altri, in conseguenza di una curiosità culturale ed intellettuale molto ampia e variegata, già iniziata con l'adoloscenza.
Cui seguì poi una specifica attenzione, un forte interesse solo in parte giustificato dalla pur fondamentale importanza di Sigmund Freud tra i grandi innovatori del pensiero moderno: Darwin, con la sua "evoluzione", Einstein con la "relatività"(assai più difficile da cogliere) ed appunto Freud con la "psicoanalisi". Tre autori fondamentali, cui dedicai molto tempo ed attenzione nelle mie letture, sopratutto dopo i 20 anni, traendone conseguenze fondamentali per una corretta visione del mondo nell'universo e del loro divenire.
Ma il mio interesse per la psicoanalisi Freudiana aumentò sicuramente in misura della mia crescente consapevolezza di...avere io dei "problemi"...
Problemi che si manifestavano talora in comportamenti strani, quasi coatti, che non riuscivo o faticavo ad evitare; in ricorrenti fissazioni mentali; in forme inspiegabili di autolesionismo; in sogni ed incubi ricorrenti, di natura curiosa quanto inspiegabile.
Questo interesse fù poi agevolato dalla compagnia di una ragazza, con cui fui per circa 5 anni fidanzato, che essendo assistente sociale aveva qualche dimestichezza con l'argomento, sopratutto a livello di studi e frequentazioni.

Le mie "crisi" più frequenti consistevano in tre diversi tipi di frustrazioni:
le "amnesie", per cui riuscivo a dimenticare le cose più essenziali.
Una volta dimenticai dove avessi parcheggiato l'auto in Padova centro e
non trovandola per ben tre giorni, dovetti farmene prestare un'altra per andare a lavorare ! Con le chiavi avevo poi sempre un problema costante, le perdevo in continuazione, al punto che la porta dell'appartamento in cui da solo abitavo la aprivo ormai...a spallate ! Con grande costernazione dei vicini che non riuscivano a capire...
C'erano poi le "fissazioni", tipo camminare sui marciapiedi lastricati seguendone solo determinate geometrie; o di tipo cabalistico, per cui avevo la costrizione mentale a seguire solo determinate sequenze di numeri e/o ripetere altrettante volte certe azioni, in riti privi di alcun significato.
In testa a tutte le fissazioni c'era il numero "25", che sempre più mi ossessionava. "25" ? "25" ! 25, 25, 25, 25, 25, .....
Numero che mi saltava in mente, così, senza alcuna ragione, all'improvviso, ma solo nei momenti d'imbarazzo, sia che questo imbarazzo fosse indotto da circostanze o accadimenti reali, sia che fosse conseguenza di pensieri che più o meno inconsciamente mi capitava di fare
Infine c'erano i "sogni", spesso veri e propri incubi, la cui costante (almeno nel mio ricordo al risveglio) era il mio essere "il figlio che muore sulla croce" od altra analoga visione del "Cristo qui tollet peccata mundi", espiando l'edipico infame delitto primordiale: la sopressione del "padre" per sostituirsi a lui (S.Freud: "Totem e Tabù").

Non era un bel vivere, sopratutto in certi periodi.
Così, a 25 anni, nella decisione confortato dalla mia amica assistente sociale che mi indirizzò verso un giovane Psicanalista Freudiano, eminente terapeuta presso l'ospedale psichiatrico di Padova, iniziai il mio trattamento di psicanalisi classica, lungo e costoso (faticavo non poco a permettermelo), che durò poi per circa un anno e mezzo.

E fù un'esperienza unica, faticosissima e diatribata ma travolgente ed illuminante, ma solo con il senno di poi...
Perchè sopratutto o quasi solo alla fine, terminata in qualche modo la terapia, io poi acquistai lentamente ma progressivamente in crescendo, la consapevolezza di quanto era avvenuto durante l'analisi e delle importanti, fondamentali conquiste che avevo realizzato, delle conoscenze di me stesso e del mondo che avevo conseguito e dei mutamenti che in me si erano prodotti.
Ma durante l'analisi avevo sofferto molto, spesso avevo dovuto lottare strenuamente con me stesso avendo fortissime resistenze ad aprirmi, ad uscire fuori dalle mie nevrosi, a recuperare un filo logico tra tutti quei "simboli"che le nascondono, ma sono anche la formidabile chiave di lettura dei problemi dell'anima, a partire dai "sogni", la cui importanza fù definita da Freud fondamentale e che io ebbi l'avventura di poter confermare nel mio caso tale, riuscendo infine ad intepretare correttamente i miei più significativi.

A chi non è avezzo con la psicoanalisi classica Freudiana sembrerà strano o non corretto che io parli di me stesso e non dell'Analista come protagonista della terapia: in realtà il suo compito, molto importante, delicato, difficile e stressante è quello di "guidare" il paziente, intervendo solo, ma raramente, con piccoli ma accorti "colpi di timone", con domande ad "hoc", sapientemente centellinate, senza MAI arrivare lui a delle conclusioni, senza mai anticipare...e neppure suggerire. E' il paziente che infine deve trovare, "scegliere" le uniche possibili conclusioni, ed...accettarle !
Lavoro quanto mai lento, faticoso, ostacolato da infinite forme di resistenza,
essendo le nevrosi fortemente abbarbicate negli strati profondi e subconsci della mente, fortemente difesi da ancestrali tabù !
Può capitare, ed è un classico dell'analisi, di fare delle sedute intere di un'ora completamente in silenzio, senza riuscire a dire una parola ! E neppure l'Analista può intervenire rompendo quel silenzio, che in realtà pesa nel contesto dell'analisi più di qualsiasi parola, frase o racconto si possa dire.
Di sedute così ne feci anch'io alcune e furono terribili, per la sofferenza che si prova nella terribile lotta interiore di voler parlare ma non riuscirvi, con la frustrazione per il senso di fallimento insito nel tacere...
Ma queste sedute sono spesso stranamente tra le più importanti ai fini del risultato complessivo.

La chiave fondamentale della mia analisi furono tre sogni, molto classici ed estremamente significativi, che avrebbero fatto la felicità del Dott. Freud.
Ancora ne ho da qualche parte il resoconto, scritto appena sveglio, per non dimenticarlo, come da precisa ed importante raccomandazione dell'Analista.
Il sogno "del cavallo". Il sogno "della piscina". Il sogno "dell'amante".
Prima di raccontarli brevemente s'impone una precisazione.
Anche l'intepretazione di quei sogni, come ogni altra cosa, fù una lenta, faticosa e sofferta conquista, articolata attraverso innumerevoli sedute.
La realtà dell'analisi non è mai come rappresentata nei film: uno và dallo psicoanalista, gli racconta un sogno "et voilà", eccolo bello che interpretato !
La "porta"chiusa dietro cui si cela la "verità" non si spalanca MAI all'imporvviso, ma bisogna grattarla pian piano, smerigliarla lentamente sino a farla diventare lentissimamente trasparente, sempre più trasparente...
Finchè guardando attraverso di essa, la "verità" che si scorge è già" giunta alla nostra "coscienza, ma con tale gradualità che ci sembra in realtà di averla sempre conosciuta...Anche perché già nota in fondo lo era, almeno per quella parte di noi che attiene al "subconscio". Il problema è imparare ad accettarla !
Questi i sogni (non sono certo di ripeterli nello stesso ordine in cui li ebbi) e la loro intepretazione, da me poi lentamente fatta con l’aiuto dell’Analista.

Sogno del cavallo:
“Sto girando per le vie di Padova, sotto i tanti portici, tra via Altinate e piazza Eremitani. All’improvviso si ode un gran frastuono, la gente si agita e fugge gridando al pericolo imminente che anch’io avverto, ma come evento fatale, ineluttabile.
Poi lo vedo, un enorme gigantesco cavallo nero cha avanza al di sopra delle case, calpestandole e distruggendole con la sua foga impetuosa. Fuggo anch’io, ma il mio panico mi sembra comunque subordinato alla prevedibile fatalità dell’evento…”
Mi sveglio prima di essere travolto, con la sensazione che comunque la mia paura fosse smorzata da una qualche consapevolezza che stessi sognando…
Poi in seduta d’analisi ricorderò: quello stesso giorno del sogno ero stato a Marghera a trovare un amico al deposito costiero dell’API, la benzina del “Cavallino”. La finestra del suo ufficio dava su un enorme serbatoio che la sovrastava, su cui era riprodotta la gigantesca immagine del “Cavallo nero rampante che avanza al galoppo”…, immagine che io ricordavo di aver lungamente osservato, se pu parlando con il mio amico, con un senso d’inconscia inquetudine, assimilandola come simbolo della mia nevrosi.

Sogno della piscina:
“Sto nuotando, come al solito faccio vasche su vasche, come tutte le volte che ho tempo e modo di fare. Avanti e indietro, nella vasca coperta da 25 mt. della Rari Nantes di Padova, in Paltana. La piscina è relativamente buia, quasi tetra, ed io sono il solo a nuotarvi. Avanti e indietro, e poi ancora, tante volte, infinite volte, finchè non è più il solito piacevole, corroborante allenamento, diventa una coazione…
Avanti e indietro…finisco con il domandarmi se arriverò mai da qualche parte…
Poi scorgo una luce sul fondo, una sorta di uscita…, ma continuo a nuotare, avanti e indietro, prigioniero di quell’ambiente, che avverto ormai alla stregua di una prigione e dal quale non trovo comunque vie d’uscita”.
Mi sveglio stressato ed affaticato, soprattutto claustrofobico !

Songo dell’amante:
“Ho un incontro amoroso, di cui mi sfuggono i preliminari. Una bella, giovane e procace donna, che mi si offre senza reticenze, incondizionatamente, senza mezzi termini…Ed ora è già nuda, spalancata per accogliermi…Mi avvicino voglioso, totalmente dedito…, ma già mentre l’avvicino lei si trasforma, decade, sfiorisce, non è più giovane, non è più procace, non è più bella…la sua carne impallidisce e ragrinza sformandosi, il suo volto diventa coperto di rughe, le sue labbra inaridiscono screpolate, il suo ventre si affloscia come un otre…”
Mi sveglio stressato, incredulo e deluso, allarmato da quella macabra trasformazione.

Analisi intepretativa:

Il cavallo è forse il più classico simbolo “edipico” della figura paterna.
Il mio subconscio Edipo irrisolto la teme, ne ha desiderato la soprafazione per poter prendere il suo posto, per avere tutto e solo per se l’amore materno, senza rivali…
Una situazione di nevrosi classica, da manuale, estremamente ricorrente che è quasi…anormale non aver mai provata !
E di cui restano nel tempo tracce più e meno importanti, a seconda dell’evolversi della personalità individuale ed al mancato superamento dei relativi tabù subconsci.

L’ambiente piscina, caldo ed umido ma costrittivo è in realtà il “grambo materno”, in cui mi trovo prigioniero da troppo lungo tempo …Si, io amo nuotare, ma quello è un ambiente ormai molto limitato,una prigione senza vie d’uscita…Solo immergendomi sul fondo, verso quella luce che ho intravista, rischiando l’apnea prolungata, posso sfuggire alla mia claustrofobia…ed emergere nel mare aperto…nel libero mondo reale, affrancato da timori e tabù che tuttavia mi costringono e condizionano.

La bella, attraente giovane donna nuda che attira irresistibile…tranne poi trasformarsi in una vecchia decrepita, è l’immagine della “madre”: all’inizio appare come la vedevi e desideravi con relativa innocenza da bambino…ed infine diviene ciò che nella realtà accade, trasformata dagli anni e dalle ingiurie del tempo…
Tempo del quale tu sembri rifiutare il trascorrere insesorabile… prigioniero di un Edipo irrisolto.

Questo per sommi capi. Sogni che furono comunque, collocati nel contesto generale dell’analisi, chiavi fondamentali per lentamente capire e lentamente risolvere i disturbi della mia personalità: le fissazioni, le amnesie, le ritualità coatte, le reiterate forme di autolesionismo.

Ma restava la fissazione sul numero“25”, che da anni oramai, quando più, quando meno non mi dava tregua.
Ne venni a capo grazie ad un’intuizione, probabilmente guidata dalla consapevolezza che l’Analisi mi stava lentamente fornendo.
Mi trovavo a Genova, dove ricorrentemente andavo da Padova a trovare i miei. Con mia madre andammo a fare un giro al “monumentale” Cimitero di Staglieno, dove sono sepolti tutti i nostri morti.
Io volli espressamente passare anche dalla tomba di mio fratello “maggiore”Alessandro, morto a soli 15 giorni, di polmonite, nel 1939. Si trovava da ormai quasi 30 anni nella zona dei bimbi morti piccoli, defilata dagli altri luoghi che eravamo soliti visitare: una lunga fila di piccole tombe posta sul tetto di un padiglione lontano dall’ingresso.
Quando arrivammo là, dove non passavo più da molti anni, lessi l’iscrizione e subito capii: “25” ! “25 Febbraio 1939”, era la data in cui morì, 15 giorni dopo essere nato, l’inconsapevole primo figlio di mia madre !
E subito mi fù tutto chiaro e, quella volta improvvisa , grande liberazione!
Io purtroppo avevo patito un forte condizionamento già nella prima infanzia, ma poi anche dopo. Indotto da una mamma giovanissima, inconsapevole e a sua volta estremamente condizionata dal dolore per la perdita del suo primo bambino.
Che perciò aveva riversato su di me tutte le sue paure, le sue ansie, la sua tenerezza enorme, trascesa in morbosità.
Aveva perciò finito con il condizionarmi pesantemente, anche continuamente rammentandomi, quasi “recriminando”, quanto fosse stato bello, grande, favoloso mio fratello Alessandro, il bimbo nato prima di me, già amatissimo e sempre rimpianto, mancato “implume” di pochi giorni.
Di cui io non ero evidentemente che un surrogato premio di consolazione…E di cui io divenni incosapevolmente morbosamente geloso, sino al punto di desiderare di morire a mia volta, per essere infine anch’io così rimpianto ed amato !
Desiderio poi rinsaldato nel tempo dall’immagine del Cristo, il “figlio” che muore sulla croce, amatissimo e strenuamente rimpianto nel suo immenso dolore da Maria, la “madre” per antonomasia !
Ed io tante volte poi, già adulto, sognai nevroticamente di essere quel “figlio” e di morire anch’io, platealmente sulla corce, finalmente rimpianto ed amato come quel Cristo, come quel fratello, simbolo incosapevole di una gelosia assurdamente indotta.

La “fissazione” sul numero “25” l'avevo cristallizzata anni prima, quando trovandomi con i miei nonni a visitare quella piccola, innocente tomba, in un periodo in cui stavo subendo un grave esaurimento nervoso, ero stato assalito da un barlume di visione di ciò che ho qui sopra descritto, ma non potendolo metabolizzare ne esorcizzare, in definitiva comprendere e né accettare, avevo finito con il "fissarlo", nascosto in quel numero, nel profondo del mio subconscio.
Da cui tuttavia inaspettato ed improvviso riemergeva, inspiegabilmente, in situazioni d’imbarazzo, che analogmente io avrei voluto sepellire, nascondere, annullare !
E quel numero inspiegabilmente ricorrente era la chiave per farlo.

Quando dopo un anno e mezzo cessai la psicanalisi lo feci perché non ero economicamente più in grado di permettermela, non riuscivo a pagare le sedute…
Ma comunque ero già consapevole della grande esperienza che per me aveva rappresentato e per i notevoli benefici che ne riscontrai, progressivamente nel tempo.
In teoria è difficile definire quando un trattamento in Analisi possa definirsi concluso…Spesso non lo è mai…Ma io mi sentii comunque consapevole che, se pur tutto non era stato sviscerato e risolto, avevo pur sempre ritrovato un accettabile equilibrio, una salda consapevolezza di me ed un’adeguata padronanza di gran parte delle mie emozioni, ovviando nel contempo ai problemi, alle fisime, alle amnesie, alle fissazioni e coazioni che per anni, a fasi alterne, mi avevano disturbato.
Soprattutto avevo imparato ad accettarmi, con i miei limiti e difetti, realizzando che in definitiva io non fossi l’unto del Signore destinato ad imolarsi sull’ara sacrificale, ma più o meno invece il classico “pirla qualunque”…
E ad accettare gli errori commessi dai miei giovanissimi, talora incauti ed incosapevoli genitori, nel gestire la mia infanzia caricandola di troppe ed eccesive emotività, paure e sensibilizzazioni spesso fuori luogo, comunque eccessive.

Dopo l’esperienza della psicoanalisi io cambiai.
Come mi aveva preavvertito l’analista diversi lati del mio carattere e temperamento ebbero a modificarsi: non necessariamente in bene od in male, parametri quasi irrilevanti ai fini della specifica valutazione.
Persi di eccentricità creativa, divenni meno esasperatamente sensibile, calarono alcune mie predisposizioni genialoidi. Divenni più equilibrato, più concreto, più attento alla realtà, più accorto nelle scelte di vita e determinato nel perseguirle.

La mia vita ebbe poi forse meno slanci profondi, assenza o quasi di abissi emotivi, dubbi, incertezze, paure ingiustificate, sensi di colpa, fisime irrazionali.
Sono rimasto un “emotivo”ben controllato, almeno apparentemente, ma sicuramente ipersensibile a livello psicosomatico.
Mi porto tuttavia avanti la mia accettabile dose di “tic”, più o meno inconsapevoli e tanti difetti, con i quali ormai riesco a convivere più che a combatterli.

Sto infine cercando di organizzarmi per una prossima vita, nel caso assai improbabile che me ne tocchi un’altra futura…Il grosso problema è : riuscirò a ricordarmi i buoni propositi che sto formulando ?
In ogni caso, qualora addivenissi ad una “metempsicosi” (trasmigrazione delle anime) mi piacerebbe tanto rinascere “delfino” !
Come forse già ero in una vita precedente: sicuramente sono poi rinato “uomo” per esseremi mal comportato !
Altro problema: cosa può mai combinare un delfino per essere così duramente castigato ?
Se qualcuno ha una risposta attendibile lo prego di farmela sapere, non vorrei poi ripetere l’errore già commesso.

The lonely “dolphin”.