venerdì 10 giugno 2011

IL REBUS E LA SFINGE


IL REBUS E LA SFINGE
Esperienze di psicanalisi classica Fruediana
(nella foto: Sigmund Freud))

Il mio interesse per la Psicanalisi iniziò probabilmente come molti altri, in conseguenza di una curiosità culturale ed intellettuale molto ampia e variegata, già iniziata con l'adoloscenza.
Cui seguì poi una specifica attenzione, un forte interesse solo in parte giustificato dalla pur fondamentale importanza di Sigmund Freud tra i grandi innovatori del pensiero moderno: Darwin, con la sua "evoluzione", Einstein con la "relatività"(assai più difficile da cogliere) ed appunto Freud con la "psicoanalisi". Tre autori fondamentali, cui dedicai molto tempo ed attenzione nelle mie letture, sopratutto dopo i 20 anni, traendone conseguenze fondamentali per una corretta visione del mondo nell'universo e del loro divenire.
Ma il mio interesse per la psicoanalisi Freudiana aumentò sicuramente in misura della mia crescente consapevolezza di...avere io dei "problemi"...
Problemi che si manifestavano talora in comportamenti strani, quasi coatti, che non riuscivo o faticavo ad evitare; in ricorrenti fissazioni mentali; in forme inspiegabili di autolesionismo; in sogni ed incubi ricorrenti, di natura curiosa quanto inspiegabile.
Questo interesse fù poi agevolato dalla compagnia di una ragazza, con cui fui per circa 5 anni fidanzato, che essendo assistente sociale aveva qualche dimestichezza con l'argomento, sopratutto a livello di studi e frequentazioni.

Le mie "crisi" più frequenti consistevano in tre diversi tipi di frustrazioni:
le "amnesie", per cui riuscivo a dimenticare le cose più essenziali.
Una volta dimenticai dove avessi parcheggiato l'auto in Padova centro e
non trovandola per ben tre giorni, dovetti farmene prestare un'altra per andare a lavorare ! Con le chiavi avevo poi sempre un problema costante, le perdevo in continuazione, al punto che la porta dell'appartamento in cui da solo abitavo la aprivo ormai...a spallate ! Con grande costernazione dei vicini che non riuscivano a capire...
C'erano poi le "fissazioni", tipo camminare sui marciapiedi lastricati seguendone solo determinate geometrie; o di tipo cabalistico, per cui avevo la costrizione mentale a seguire solo determinate sequenze di numeri e/o ripetere altrettante volte certe azioni, in riti privi di alcun significato.
In testa a tutte le fissazioni c'era il numero "25", che sempre più mi ossessionava. "25" ? "25" ! 25, 25, 25, 25, 25, .....
Numero che mi saltava in mente, così, senza alcuna ragione, all'improvviso, ma solo nei momenti d'imbarazzo, sia che questo imbarazzo fosse indotto da circostanze o accadimenti reali, sia che fosse conseguenza di pensieri che più o meno inconsciamente mi capitava di fare
Infine c'erano i "sogni", spesso veri e propri incubi, la cui costante (almeno nel mio ricordo al risveglio) era il mio essere "il figlio che muore sulla croce" od altra analoga visione del "Cristo qui tollet peccata mundi", espiando l'edipico infame delitto primordiale: la sopressione del "padre" per sostituirsi a lui (S.Freud: "Totem e Tabù").

Non era un bel vivere, sopratutto in certi periodi.
Così, a 25 anni, nella decisione confortato dalla mia amica assistente sociale che mi indirizzò verso un giovane Psicanalista Freudiano, eminente terapeuta presso l'ospedale psichiatrico di Padova, iniziai il mio trattamento di psicanalisi classica, lungo e costoso (faticavo non poco a permettermelo), che durò poi per circa un anno e mezzo.

E fù un'esperienza unica, faticosissima e diatribata ma travolgente ed illuminante, ma solo con il senno di poi...
Perchè sopratutto o quasi solo alla fine, terminata in qualche modo la terapia, io poi acquistai lentamente ma progressivamente in crescendo, la consapevolezza di quanto era avvenuto durante l'analisi e delle importanti, fondamentali conquiste che avevo realizzato, delle conoscenze di me stesso e del mondo che avevo conseguito e dei mutamenti che in me si erano prodotti.
Ma durante l'analisi avevo sofferto molto, spesso avevo dovuto lottare strenuamente con me stesso avendo fortissime resistenze ad aprirmi, ad uscire fuori dalle mie nevrosi, a recuperare un filo logico tra tutti quei "simboli"che le nascondono, ma sono anche la formidabile chiave di lettura dei problemi dell'anima, a partire dai "sogni", la cui importanza fù definita da Freud fondamentale e che io ebbi l'avventura di poter confermare nel mio caso tale, riuscendo infine ad intepretare correttamente i miei più significativi.

A chi non è avezzo con la psicoanalisi classica Freudiana sembrerà strano o non corretto che io parli di me stesso e non dell'Analista come protagonista della terapia: in realtà il suo compito, molto importante, delicato, difficile e stressante è quello di "guidare" il paziente, intervendo solo, ma raramente, con piccoli ma accorti "colpi di timone", con domande ad "hoc", sapientemente centellinate, senza MAI arrivare lui a delle conclusioni, senza mai anticipare...e neppure suggerire. E' il paziente che infine deve trovare, "scegliere" le uniche possibili conclusioni, ed...accettarle !
Lavoro quanto mai lento, faticoso, ostacolato da infinite forme di resistenza,
essendo le nevrosi fortemente abbarbicate negli strati profondi e subconsci della mente, fortemente difesi da ancestrali tabù !
Può capitare, ed è un classico dell'analisi, di fare delle sedute intere di un'ora completamente in silenzio, senza riuscire a dire una parola ! E neppure l'Analista può intervenire rompendo quel silenzio, che in realtà pesa nel contesto dell'analisi più di qualsiasi parola, frase o racconto si possa dire.
Di sedute così ne feci anch'io alcune e furono terribili, per la sofferenza che si prova nella terribile lotta interiore di voler parlare ma non riuscirvi, con la frustrazione per il senso di fallimento insito nel tacere...
Ma queste sedute sono spesso stranamente tra le più importanti ai fini del risultato complessivo.

La chiave fondamentale della mia analisi furono tre sogni, molto classici ed estremamente significativi, che avrebbero fatto la felicità del Dott. Freud.
Ancora ne ho da qualche parte il resoconto, scritto appena sveglio, per non dimenticarlo, come da precisa ed importante raccomandazione dell'Analista.
Il sogno "del cavallo". Il sogno "della piscina". Il sogno "dell'amante".
Prima di raccontarli brevemente s'impone una precisazione.
Anche l'intepretazione di quei sogni, come ogni altra cosa, fù una lenta, faticosa e sofferta conquista, articolata attraverso innumerevoli sedute.
La realtà dell'analisi non è mai come rappresentata nei film: uno và dallo psicoanalista, gli racconta un sogno "et voilà", eccolo bello che interpretato !
La "porta"chiusa dietro cui si cela la "verità" non si spalanca MAI all'imporvviso, ma bisogna grattarla pian piano, smerigliarla lentamente sino a farla diventare lentissimamente trasparente, sempre più trasparente...
Finchè guardando attraverso di essa, la "verità" che si scorge è già" giunta alla nostra "coscienza, ma con tale gradualità che ci sembra in realtà di averla sempre conosciuta...Anche perché già nota in fondo lo era, almeno per quella parte di noi che attiene al "subconscio". Il problema è imparare ad accettarla !
Questi i sogni (non sono certo di ripeterli nello stesso ordine in cui li ebbi) e la loro intepretazione, da me poi lentamente fatta con l’aiuto dell’Analista.

Sogno del cavallo:
“Sto girando per le vie di Padova, sotto i tanti portici, tra via Altinate e piazza Eremitani. All’improvviso si ode un gran frastuono, la gente si agita e fugge gridando al pericolo imminente che anch’io avverto, ma come evento fatale, ineluttabile.
Poi lo vedo, un enorme gigantesco cavallo nero cha avanza al di sopra delle case, calpestandole e distruggendole con la sua foga impetuosa. Fuggo anch’io, ma il mio panico mi sembra comunque subordinato alla prevedibile fatalità dell’evento…”
Mi sveglio prima di essere travolto, con la sensazione che comunque la mia paura fosse smorzata da una qualche consapevolezza che stessi sognando…
Poi in seduta d’analisi ricorderò: quello stesso giorno del sogno ero stato a Marghera a trovare un amico al deposito costiero dell’API, la benzina del “Cavallino”. La finestra del suo ufficio dava su un enorme serbatoio che la sovrastava, su cui era riprodotta la gigantesca immagine del “Cavallo nero rampante che avanza al galoppo”…, immagine che io ricordavo di aver lungamente osservato, se pu parlando con il mio amico, con un senso d’inconscia inquetudine, assimilandola come simbolo della mia nevrosi.

Sogno della piscina:
“Sto nuotando, come al solito faccio vasche su vasche, come tutte le volte che ho tempo e modo di fare. Avanti e indietro, nella vasca coperta da 25 mt. della Rari Nantes di Padova, in Paltana. La piscina è relativamente buia, quasi tetra, ed io sono il solo a nuotarvi. Avanti e indietro, e poi ancora, tante volte, infinite volte, finchè non è più il solito piacevole, corroborante allenamento, diventa una coazione…
Avanti e indietro…finisco con il domandarmi se arriverò mai da qualche parte…
Poi scorgo una luce sul fondo, una sorta di uscita…, ma continuo a nuotare, avanti e indietro, prigioniero di quell’ambiente, che avverto ormai alla stregua di una prigione e dal quale non trovo comunque vie d’uscita”.
Mi sveglio stressato ed affaticato, soprattutto claustrofobico !

Songo dell’amante:
“Ho un incontro amoroso, di cui mi sfuggono i preliminari. Una bella, giovane e procace donna, che mi si offre senza reticenze, incondizionatamente, senza mezzi termini…Ed ora è già nuda, spalancata per accogliermi…Mi avvicino voglioso, totalmente dedito…, ma già mentre l’avvicino lei si trasforma, decade, sfiorisce, non è più giovane, non è più procace, non è più bella…la sua carne impallidisce e ragrinza sformandosi, il suo volto diventa coperto di rughe, le sue labbra inaridiscono screpolate, il suo ventre si affloscia come un otre…”
Mi sveglio stressato, incredulo e deluso, allarmato da quella macabra trasformazione.

Analisi intepretativa:

Il cavallo è forse il più classico simbolo “edipico” della figura paterna.
Il mio subconscio Edipo irrisolto la teme, ne ha desiderato la soprafazione per poter prendere il suo posto, per avere tutto e solo per se l’amore materno, senza rivali…
Una situazione di nevrosi classica, da manuale, estremamente ricorrente che è quasi…anormale non aver mai provata !
E di cui restano nel tempo tracce più e meno importanti, a seconda dell’evolversi della personalità individuale ed al mancato superamento dei relativi tabù subconsci.

L’ambiente piscina, caldo ed umido ma costrittivo è in realtà il “grambo materno”, in cui mi trovo prigioniero da troppo lungo tempo …Si, io amo nuotare, ma quello è un ambiente ormai molto limitato,una prigione senza vie d’uscita…Solo immergendomi sul fondo, verso quella luce che ho intravista, rischiando l’apnea prolungata, posso sfuggire alla mia claustrofobia…ed emergere nel mare aperto…nel libero mondo reale, affrancato da timori e tabù che tuttavia mi costringono e condizionano.

La bella, attraente giovane donna nuda che attira irresistibile…tranne poi trasformarsi in una vecchia decrepita, è l’immagine della “madre”: all’inizio appare come la vedevi e desideravi con relativa innocenza da bambino…ed infine diviene ciò che nella realtà accade, trasformata dagli anni e dalle ingiurie del tempo…
Tempo del quale tu sembri rifiutare il trascorrere insesorabile… prigioniero di un Edipo irrisolto.

Questo per sommi capi. Sogni che furono comunque, collocati nel contesto generale dell’analisi, chiavi fondamentali per lentamente capire e lentamente risolvere i disturbi della mia personalità: le fissazioni, le amnesie, le ritualità coatte, le reiterate forme di autolesionismo.

Ma restava la fissazione sul numero“25”, che da anni oramai, quando più, quando meno non mi dava tregua.
Ne venni a capo grazie ad un’intuizione, probabilmente guidata dalla consapevolezza che l’Analisi mi stava lentamente fornendo.
Mi trovavo a Genova, dove ricorrentemente andavo da Padova a trovare i miei. Con mia madre andammo a fare un giro al “monumentale” Cimitero di Staglieno, dove sono sepolti tutti i nostri morti.
Io volli espressamente passare anche dalla tomba di mio fratello “maggiore”Alessandro, morto a soli 15 giorni, di polmonite, nel 1939. Si trovava da ormai quasi 30 anni nella zona dei bimbi morti piccoli, defilata dagli altri luoghi che eravamo soliti visitare: una lunga fila di piccole tombe posta sul tetto di un padiglione lontano dall’ingresso.
Quando arrivammo là, dove non passavo più da molti anni, lessi l’iscrizione e subito capii: “25” ! “25 Febbraio 1939”, era la data in cui morì, 15 giorni dopo essere nato, l’inconsapevole primo figlio di mia madre !
E subito mi fù tutto chiaro e, quella volta improvvisa , grande liberazione!
Io purtroppo avevo patito un forte condizionamento già nella prima infanzia, ma poi anche dopo. Indotto da una mamma giovanissima, inconsapevole e a sua volta estremamente condizionata dal dolore per la perdita del suo primo bambino.
Che perciò aveva riversato su di me tutte le sue paure, le sue ansie, la sua tenerezza enorme, trascesa in morbosità.
Aveva perciò finito con il condizionarmi pesantemente, anche continuamente rammentandomi, quasi “recriminando”, quanto fosse stato bello, grande, favoloso mio fratello Alessandro, il bimbo nato prima di me, già amatissimo e sempre rimpianto, mancato “implume” di pochi giorni.
Di cui io non ero evidentemente che un surrogato premio di consolazione…E di cui io divenni incosapevolmente morbosamente geloso, sino al punto di desiderare di morire a mia volta, per essere infine anch’io così rimpianto ed amato !
Desiderio poi rinsaldato nel tempo dall’immagine del Cristo, il “figlio” che muore sulla croce, amatissimo e strenuamente rimpianto nel suo immenso dolore da Maria, la “madre” per antonomasia !
Ed io tante volte poi, già adulto, sognai nevroticamente di essere quel “figlio” e di morire anch’io, platealmente sulla corce, finalmente rimpianto ed amato come quel Cristo, come quel fratello, simbolo incosapevole di una gelosia assurdamente indotta.

La “fissazione” sul numero “25” l'avevo cristallizzata anni prima, quando trovandomi con i miei nonni a visitare quella piccola, innocente tomba, in un periodo in cui stavo subendo un grave esaurimento nervoso, ero stato assalito da un barlume di visione di ciò che ho qui sopra descritto, ma non potendolo metabolizzare ne esorcizzare, in definitiva comprendere e né accettare, avevo finito con il "fissarlo", nascosto in quel numero, nel profondo del mio subconscio.
Da cui tuttavia inaspettato ed improvviso riemergeva, inspiegabilmente, in situazioni d’imbarazzo, che analogmente io avrei voluto sepellire, nascondere, annullare !
E quel numero inspiegabilmente ricorrente era la chiave per farlo.

Quando dopo un anno e mezzo cessai la psicanalisi lo feci perché non ero economicamente più in grado di permettermela, non riuscivo a pagare le sedute…
Ma comunque ero già consapevole della grande esperienza che per me aveva rappresentato e per i notevoli benefici che ne riscontrai, progressivamente nel tempo.
In teoria è difficile definire quando un trattamento in Analisi possa definirsi concluso…Spesso non lo è mai…Ma io mi sentii comunque consapevole che, se pur tutto non era stato sviscerato e risolto, avevo pur sempre ritrovato un accettabile equilibrio, una salda consapevolezza di me ed un’adeguata padronanza di gran parte delle mie emozioni, ovviando nel contempo ai problemi, alle fisime, alle amnesie, alle fissazioni e coazioni che per anni, a fasi alterne, mi avevano disturbato.
Soprattutto avevo imparato ad accettarmi, con i miei limiti e difetti, realizzando che in definitiva io non fossi l’unto del Signore destinato ad imolarsi sull’ara sacrificale, ma più o meno invece il classico “pirla qualunque”…
E ad accettare gli errori commessi dai miei giovanissimi, talora incauti ed incosapevoli genitori, nel gestire la mia infanzia caricandola di troppe ed eccesive emotività, paure e sensibilizzazioni spesso fuori luogo, comunque eccessive.

Dopo l’esperienza della psicoanalisi io cambiai.
Come mi aveva preavvertito l’analista diversi lati del mio carattere e temperamento ebbero a modificarsi: non necessariamente in bene od in male, parametri quasi irrilevanti ai fini della specifica valutazione.
Persi di eccentricità creativa, divenni meno esasperatamente sensibile, calarono alcune mie predisposizioni genialoidi. Divenni più equilibrato, più concreto, più attento alla realtà, più accorto nelle scelte di vita e determinato nel perseguirle.

La mia vita ebbe poi forse meno slanci profondi, assenza o quasi di abissi emotivi, dubbi, incertezze, paure ingiustificate, sensi di colpa, fisime irrazionali.
Sono rimasto un “emotivo”ben controllato, almeno apparentemente, ma sicuramente ipersensibile a livello psicosomatico.
Mi porto tuttavia avanti la mia accettabile dose di “tic”, più o meno inconsapevoli e tanti difetti, con i quali ormai riesco a convivere più che a combatterli.

Sto infine cercando di organizzarmi per una prossima vita, nel caso assai improbabile che me ne tocchi un’altra futura…Il grosso problema è : riuscirò a ricordarmi i buoni propositi che sto formulando ?
In ogni caso, qualora addivenissi ad una “metempsicosi” (trasmigrazione delle anime) mi piacerebbe tanto rinascere “delfino” !
Come forse già ero in una vita precedente: sicuramente sono poi rinato “uomo” per esseremi mal comportato !
Altro problema: cosa può mai combinare un delfino per essere così duramente castigato ?
Se qualcuno ha una risposta attendibile lo prego di farmela sapere, non vorrei poi ripetere l’errore già commesso.

The lonely “dolphin”.































































































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