sabato 21 aprile 2012

CAT BOAT 5^ ed ultima parte






 
(Cat Boat identico ad Aglaja)

AGLAJA (5^ parte)
Soria di un cat boat e di altre barche curiose.

Mio fratello, sua moglie a loro tenera cagnolina proseguirono allora da soli, da Rovigno verso il Sud delle ambite Isole Kornati, contro il vento teso e le onde contrarie al loro andare, finchè finalmente giunsero a Lussino.
Quello che nei programmi avrebbe dovuto essere la meta del primo giorno di viaggio fù raggiunta solo dopo una settimana, o poco meno.

                                    (veduta aerea della baia principale di Lussino)

Ma il peggio venne dopo !
La baia di Lussino è ampia e relativamente riparata, ma quando soffiano i forti venti, dal Quarnaro o dai Balcani, non c'è riparo che tenga.
Il tempo volse al peggio ed in porto non c'era un attracco libero dove meglio riparare. Finirono così in una cala, dall'apparenza relativamente sicura, dove eran già ancorate diverse barche di diportisti ed altre ancora poi vennero a rifugiarsi.
Posizionate ad arte più ancore in sicurezza mio fratello ritenne di poter stare relativamente tranquillo in quella rada.

(a destra: piccola cala nella baia di Lussino)

Ma durante la notte il vento rinforzò ulteriormente, accanendosi sopratutto contro un enorme ferro da stiro, un grande Yacht scarso di chiglia e di ancoraggi, ma altissimo fuori dall'acqua, contro le cui murate il vento trovò la massima presa, spostandolo verso la vicina scogliera e facendo "arare" l'unica ancora che improbabilmente avrebbe dovuto tenerlo fermo all'ormeggio.
Ma mentre l'ancora arava sul fondo, trascinata dal bestione, raccolse e portò con se anche altre ancore, tra cui quelle del cutter di mio fratello, che si trovò così trascinato verso gli scogli nel buio della notte tempestosa.
Quando si accorse dell'accaduto la sua barca era ormai inclinata, adagiata sugli scogli, quasi schiacciata dal bestione che ce l'aveva spinta !
Inutilmente cercò di districarsi, anche sbattendo violentemente i pugni ed urlando contro l'enorme ferro da stiro che aveva causato quell'arrembaggio.
I suoi occupanti si erano ermeticamente chiusi all'interno senza reagire.
Dopo una notte terribile, al mattino si accorse che il bestione se l'era filata all'indiana e lui, liberatosi dagli scogli, verificò che la sua barca galleggiava ancora...
Ma il motore niente da fare ! Era successo qualcosa sotto la linea di galleggiamento che non era, in quella situazione, in grado di verificare.
Decise allora di tentare il ritorno a vela verso il porto di Lussino, per raggiungere il quale avrebbe dovuto attraversare alcune miglia di mare aperto. Quando uscì dalla cala si ritrovo in balia di un vento d’ intensità tale da non permettere di esporre neppure la minima vela della tormentina. Vento che soffiava ad oltre cento chilometri l'ora e che strappò via da poppa la fune che legava il tender (gommoncino di servizio) nuovo di zecca: lo videro volare in cielo come fosse stato un palloncino...
In completa balia di una situazione incontrollabile, trascinati a velocità folle dal vento fortissimo, nonostante la totale assenza di vele, in un mare frastornato dai marosi che impedivano qualsiasi possibilità di controllo, chiesero soccorso via radio lanciando il "mayday"(S.O.S.), ma senza alcun esito: la guardia costiera Croata faceva orecchie da mercante…
Sparò allora alcuni razzi e fù alla infine soccorso da un cabinato a vela di ragazzi Romani che stavano arrivando da Ancona, che procedendo a motore lo rimorchiarono sino in a Lussino, in porto, dove rimase bloccato per circa due settimane.
Prima in attesa di riparazioni e poi che il brutto tempo, che ancora insisteva, gli consentisse di ripartire finalmente verso casa.
Arrivò ad Aprilia verso fine Agosto, con dieci giorni di ritardo sui tempi programmati. Ormeggiata finalmente la barca nel suo porto base, ripartirono alla volta di Padova. Ma in autostrada, a metà percorso, gli si fuse il motore dell'auto, una Lancia Thema !
Solo dopo svariate altre ore giunsero finalmente a casa, in taxi, dove li attendeva la coppa dei vincitori: per la sfiga che più nera di così…!!!
La casa c’era ancora, stranamente non era bruciata…

Dopo quell'episodio mia cognata praticamente cessò di accompagnare mio fratello
per mare: solo salire sulla barca le creava un'insopportabile crisi di ansia.
Mio fratello trovò altra episodica compagnia , ma sopratutto conclamò la sua vocazione di "navigatore solitario". Con figli ed amici partecipò ad alcune edizioni della"Barcolana",
regata storica che parte da Trieste, ed in solitario finalmente raggiunse, qualche estate dopo, le ambite Kornati, le isole della costa Dalmata nel Sud della Croazia.Viaggio che presuppone, con un due alberi non specificamente attrezzato per l'andare "in solitario", abilità, coraggio e determinazione da vero skipper !

(migliaia di barche in partenza da Trieste per la Barcolana)

Nel frattempo l'Aglaja, la sua vecchia, gloriosa e formativa base di partenza, languiva all'asciutto sul suo invaso nel grande porto turistico di Aprilia, in attesa che qualcuno si decidesse ad acquistarla. Ma era dura trovare un compratore per un vecchio barcone di legno, che molti anni aveva e tanti ne dimostrava…
Del resto non era la prima volta che quel mitico Cat Boat restasse fermo in banchina o addirittura in un capannone polveroso, lontano dal mare.
Non ricordo come accadde, ma fù probabilmente il solito amico, già secondo originario armatore di Aglaja, cui avevo segnalato la situazione della sua ex barca, che in un impeto di nostalgico romanticismo mi propose di riacquistarla, in società con lui e portarla sul lago di Como, al circolo velico di Domaso, dove io allora già tenevo e talora perfino usavo le mie derive, prima la Fusilla e poi il Ponent.
“La portiamo lassù e poi ce ne andiamo in giro per il lago, magari con le mogli e gli amici, comodi e rilassati…, volendo ci possiamo anche dormire dentro…” .
Da solo non l’ avrei mai fatto, ma in società…mi feci convinto.
Trattammo il prezzo d’acquisto con mio fratello ed acquistammo il diritto per un posto barca all’ormeggio per sei anni nel porticciolo turistico di Domaso.
Il recupero della barca implicò un lungo viaggio di 800 km., tra andare e tornare.
Soprattutto tornare, con un carrello non specificamente attrezzato, su cui svettava altissimo e pesantissimo il Cat Boat, trainato dal mio Pik up Mitsubishi L200,
in quell’occasione messo alla prova da tanto traino. In autostrada, dalle parti del lago di Garda trovammo anche un forte vento che, nonostante la nostra velocità fosse ridotta al minimo consentito (80 kmh), ci fece a lungo “beccheggiare”, uno scuotimento preoccupante che faceva sobbalzare auto e carrello, insieme a tutta la barca.

 (il Ponte di Paderno, eretto sull'Adda a fine '800 per consentire il transito della ferrovia 
 Seregno-Bergamo. Sotto scorre l'Adda, già via d'acqua tra Venezia ed il lago di Como)

Ci vollero ben 7 ore per percorrere quei 400 km fino a casa, e mentre guidavo considerai che una navigazione “fluviale” sarebbe stata ancor meno veloce, ma assai più comoda ed amena. E sino a tutto il 1.800 era ancora possibile, navigando lungo l’Adriatico sino alla foce del Po’, per poi risalirlo sino all’Adda, che allora era ancora navigabile grazie anche ad appositi canali dotati di vasche e chiuse, tipo Panama, per superare i 100 e passa metri di dislivello tra il Po’ ed il lago di Como…


Chiuse progettate svariati secoli prima da quel geniaccio di Leonardo da Vinci nel suo periodo Milanese, quando stava dipingendo l’Ultima Cena e spesso se ne scappava sull’Adda, con la scusa di trovare ispirazione per forme e colori, in realtà per giocare ad uno dei suoi tanti divertimenti: fare l’ingegniere idraulico !
E ad Imbersago, lungo l’Adda non lontano da Lecco, c’è ancora in funzione un traghetto progettato da Leonardo, spinto unicamente dalla corrente del fiume, che collega le sponde Comasca e Bergamasca, caricando anche qualche auto.
(Il traghetto sull'Adda ad Imbersago, che collega le sponde Comasca e Bergamasca sfruttando come forza motrice la sola spinta della corerente, secondo quanto progettato da Leonardo da Vinci)

L’Aglaja aveva sicuramente necessità di una revisione importante prima di tornare a navigare in sicurezza e noi avevamo ipotizzato di provvedere con il “fai da te”, utilizzando lo spazio coperto della ex stalla di un amico compiacente.
Il giorno dopo, mentre cercavamo con mezzi di…”sfortuna”di scaricare dal carrello quella tonnellata e passa di barcone poco ci mancò che il tutto crollasse addosso a mio figlio, arruolato per aiutarci nell’impresa.
Io, che ero già poco convinto di quella soluzione, a quel punto sbottai, innanzitutto con me stesso: “ma che cavolo stiamo facendo, ultracinquantenni rincoglioniti alle prese con l’utopia di un lavoro che non è il nostro e che probabilmente risulterebbe nel migliore dei casi inadeguato?”.
Fu una delle poche volte che per primo mi arresi ! Per fortuna.
Così, seduta stante, decidemmo di trasferire immediatamente il tutto al vicino cantiere Dalò, mastro d’ascia costruttore e restauratore di barche.
Che era un tipo alla sua maniera, da prendere con le pinze, ma del quale il solito amico era già stato ripetutamente cliente.
Dalò considerò con distacco e sufficienza la nostra richiesta d’intervento, mise subito le mani avanti dicendo che non aveva tempo, ma alla fine scaricò il barcone con il suo attrezzato paranco elettrico e concluse che avrebbe visto cosa poteva fare, se e quando avrebbe avuto tempo da dedicarvi.

Ma dopo circa un mese il nostro Cat Boat era pronto, risanato, rinnovato e modificato. Su suggerimento dello stesso Dalò avevamo ad esempio eliminato il motore entrobordo, ritenendolo non indispensabile per la navigazione lacustre, ma che implicava pericolose possibilità d’infiltrazioni d’acqua e complicazioni di risanamento dello scafo.
Il costo totale della nostra nuova Aglaja divenne così assai più importante di quanto non avessimo preventivato…
Bisognava allora sfruttarla al massimo per ammortizzare…!
Iniziammo con il trasferirla lungo tutto il lago da Como a Domaso, facendo tappa a Bellagio, a metà degli oltre 60 km. del tragitto, considerato che da Como eravamo partiti tardi, a pomeriggio inoltrato, procedendo sempre a motore, anche perché nel basso ramo Ovest del Lario il vento è quasi sempre carente.
La mattina dopo invece procedemmo finalmente con le vele spiegate, in totale armonia con le nostre propensioni, godendo la bella giornata domenicale.
 (qui sopra: lo "Sporting", circolo velistico di Domaso, in alto Lario)

E furono poi fortunatamente molte le occasioni di navigazione, negli anni successivi, tra Colico, Bellagio, Menaggio, nel ramo alto e ventoso del lago, quello che vede spesso radunati velisti e surfisti provenienti anche in massa dalla vicina Svizzera, dall’Austria e dalla Baviera.


Lo schema tipico era: raggiungere l’alto lago in auto, talora con le mogli, il Sbato mattina e rientrare la Domenica sera, dopo un intero week end a vela, giù e su per il lago. A dormire andavamo perlopiù in un alberghetto vicino alla foce del torrente Mera, non lontano da Domaso (non dormimmo mai in barca, ritenendolo troppo scomodo). Facevamo perlopiù colazione a bordo e cenavamo in qualche buona trattoria. Si navigava di solito in tranquillo dislocamento, sfruttando i venti tipici del lago, la Breva ed il Tivano, che seguono le classiche termiche indotte dall’irradiamento solare tra i monti, i lago e la pianura.
Ma a volte capitava di dover affrontare anche venti molto tesi, che scendevano turbinosi dalle alpi di confine, tra la Valtellina, la Svizzera e l’Austria, cioè essenzialmente Saint Moritz, il Maloja, Davos. Ed allora bisognava impegnarsi, perché in neppure 5 km. di lago, tra Domaso e la foce immissaria dell’Adda, potevano formarsi onde di due metri !
Per non parlare delle raffiche.
Una volta, era un’incredibile giornata di Novembre, ma quasi estiva, stavamo placidamente dondolando in barca mentre facevamo colazione. Appena arrivati, nella tarda mattinata avevamo preparato l’Aglaja ed eravamo usciti di qualche cento metri dal porticciolo, verso Gravedona. Non lontano dalla costa, con le vele issate e totalmente aperte, che neppure si muovevano nella totale assenza di vento.
Vento che solitamente, seguendo la termica, se non arriva nella tarda mattinata lo fa nel primo pomeriggio. Ed appunto in attesa che arrivasse decidemmo di fare colazione. Tranquillamente seduti nel pozzetto con tutte le vele issate ma cindolanti per la totale assenza di movimenti d’aria,  mangiavamo un grosso e ben farcito filone di pane appena confezionato, tenendoci accanto, a breve portata, il relativo beveraggio.
Io ero accanto al timone, quando improvvisamente, senza alcun preavviso, senza la minima premonizione, ci colse una fortissima raffica di vento, così, nata dal nulla !
E ci trovammo, totalmente impreparati, con la barca inclinata sin quasi a scuffiare !
 (in alto: cabinato che sta "scuffiando"...!)

Mancò poco, perché il bordo inclinatosi finì addirittura sott’acqua, che non entrò nel pozzetto unicamente grazie all’alta protezione che lo circonda, tipica dei Cat Boat. Non ebbi neppure il tempo di pensare, di agire sul timone, unicamente forzandoci istintivamente entrambi di spostarci sul bordo innalzatosi per bilanciare con il nostro peso quel gravissimo sbandamento.
Fortunatamente la barca, completamente libera alle vele ed al timone, si allineò subito in parallelo al vento, orzando sino a sventare, così da ritrovare automaticamente l’equilibrio utile ad un sicuro galleggiamento.
Rimediammo quindi il poco che si era salvato della nostra colazione e ci accingemmo a navigare con molta circospezione !

 Colpi di vento così forti ed improvvisi capitano sul lago, seppure non sono frequenti e talora fanno anche vittime tra i naviganti, soprattutto i surfisti, e tra coloro che si buttano sul lago, dalle alte vette dei monti circostanti, con il deltaplano o il parapendio.
Nell’Agosto dell’89 avevo in corso un trasloco a Cantù, in una zona collinare prospiciente il ramo Sud Ovest del Lario. Era una giornata limpida e molto calda e stavamo sistemando i gerani sul grande terrazzo panoramico verso Como, cioè verso il lago, non lontano dalla torre Baradello.
I pesanti vasi di gerani, 15-20 kg. ciascuno, erano posati a terra, sul pavimento piastrellato del terrazzo.
Improvvisamente, dal nulla totale, arrivò una fortissima raffica di vento, come fosse nata da un improvviso tsunamy…, un soffio di almeno 90 km. l’ora che raccolse tutti i vasi a terra facendoli rapidamente scivolare sul pavimento sino ad arrembarli all’estremita del terrazzo, contro la ringhiera…Mai vista una cosa simile !
Quella sera dai Telegiornali imparammo di alcuni decessi verificati quel pomeriggio, alla stessa ora, tra i deltaplanisti in volo sul lago e tra i surfisti in navigazione: erano stati colti per aria o tra le onde e violentemente sbattuti sott’acqua. Chi si era salvato raccontò che era stato solo per miracolo !
 (Parapendii decollati dal Cornizzolo stanno veleggiando sul lago)

 Ma a parte questi rari episodi ed altre meno anormali situazioni di emergenza da non sottovalutare, nell’alto Lario si navigava normalmente bene, in sicurezza, rilassati per la piacevole atmosfera del lago, godendo dei magnifici panorami, fatti di paesaggi tipici, villaggi e ville di rinomanza storica, Chiesupole, Monasteri, e le alte montagne spesso innevate che fiancheggiano il lago e sin’inoltrano nella Valtellina, verso la Svizzera ed il Trentino.
Nei tempi lunghi anche quell’andare poteva finire con il risultare monotono, come girare in continuazione intorno all’isola di Pelestrina…, ma risultava comunque sempre ricreativo, soprattutto se arricchito di escursioni a piedi, passeggiate lungo lago e, soprattutto per quanto mi riguarda, grandi nuotate.
Il vero lato negativo era il viaggio in auto, soprattutto il ritorno la Domenica sera,quando si rischiavano code di decine di chilometri sulla sponda Lecchese, ma anche oltre, sulla superstarda Valassina che riporta a casa le miriadi di Milanesi dal weekend. Un vero strazio, talora in grado di rovinarci tutto il divertimento, facendocelo pagare con gli interessi. E fù soprattutto per questo motivo che sempre più ralentammo negli anni la nostra frequenza a Domaso.
Capitò più di una volta che il sabato mattina, partiti per andarvi tornavamo indietro dopo pochi chilometri, prima ancora di Lecco, trovando la statale già bloccata dal traffico immane, spesso ripiegando verso altre mete, come escursioni ai Corni di Canzo o ad altre montagne del triangolo Lariano.
Da velisti a scarpinatori d’altura, per giocoforza.
Ciònondimeno furono tante le nostre piccole crociere con l’Aglaja, spesso in compagnia di altri amici, grazie ai quali diventavano ai nostri occhi meno ripetitivi i soliti panorami dejavù.

E con uno di questi amici sperimentai la seconda, notevolmente pericolosa avventura di navigazione con Aglaja, dopo quella del passaggio nel canale di Malamocco con mio fratello, precedentemente raccontata.
Credo fosse il suo battesimo della vela e…fù un gran bel battesimo !
Giunti a Domaso nella tarda mattinata ripartimmo subito con l’Aglaja verso Sud,
veleggiando nella calda e bella giornata estiva sulla spinta di un vento da Nord calmo e costante, l’ideale per una tranquilla navigazione in totale relax.
Scendemmo così per circa 30 km., sin quasi a Bellagio, dove s’incrociano i tre rami del Lario: quello Lecchese raccontato dal Manzoni, dove l’Adda fuoriesce avviandosi verso il Po’, quello Comasco, che và a morire nel chiuso ed inerte bacino Ovest del Capoluogo Lariano e quello Nord, da cui noi provenivamo, scendendo dalla Valtellina e dal quale soffiano sempre o quasi i venti più importanti.
Una navigazione piacevolissima, con il vento perlopiù in poppa, con le vele perlopiù organizzate“ad ali di farfalla”, cioè con la randa aperta su di un lato ed il fiocco sull’altro: andatura molto redditizia ed anche spettacolare, perché la barca si presenta in navigazione con le vele maestosamente spalancate per chi la guardi in avanzamento da prua o in allontanamento da poppa.
Non è un assetto facile da tenere, essendo soprattutto nell’abilità del timoniere correggere continuamente la posizione della barra, in modo da conservare l’equilibrio ed evitare che una delle vele possa improvvisamente girare dal lato opposto.
Non ero nuovo a quel virtuosismo, comunque mi divertii molto ad ovviare così alla monotonia dell’andatura al gran lasco, forse una delle più noiose per un velista che non abbia lo Spinnaker da alzare, e sul Cat Boat non l’avevamo.
Ci rilassammo cosi per circa 4 ore, bordeggiando dolcemente, gustando i splendidi panorami del Lago, facendo colazione e chiaccherando..
Poi il ritorno, quando sapevo mi sarei divertito a veleggiare di bolina per risalire il vento e ritornare verso Nord, in alto lago. Ma non immaginavo…”quanto”… mi sarei divertito !

All’inizio fù una bella bolina, divertente, piacevole, gratificante, con la possibilità di fare ampi bordi nella zona più larga del lago, quella centrale.
Ma via via che risalivamo verso Nord il vento si faceva sempre più teso ed incostante,
con rafficche improvvise, impegnative da controllare.
Il mio amico non denunciava ancora preoccupazione, pur essendo alla sua prima esperienza velistica, ma sicuramente cominciava a sentirsi meno tranquillo, anche perché andando di bolina si viaggia normalmente sbandati, con la banca poco o tanto inclinata su di un fianco, dando sempre ai neofiti la sensazione di potersi rovesciare da un momento all’altro…
Io invece avevo cominciato a divertirmi sul serio !
Quello era il vero andare a vela !
E così continuai a divertirmi per più di un’ora. Ma poi la situazione divenne eccessiva, con il vento che turbinava fortissimo contro di noi, spesso incattivito da raffiche improvvise ed il lago che, inizialmente solo increspato dal vento, ora ci muoveva contro onde dirompenti, alte anche più di un metro, che ci facevano beccheggiare fortemente e c’innondavano con spruzzi sempre più frequenti ed abbondanti di acqua decisamente fredda.
In quella situazione io avrei avuto bisogno di collaborazione per regolare meglio le vele, soprattutto per aiutare le scotte in fase di virata (e andando di bolina in un percorso lungo e stretto come quello del lago di Como, le virate si sprecano !).
Ma il mio amico non solo era totalmente profano, ma non poteva ormai intervenire neppure sulle manovre più semplici che io gli chiedevo di eseguire: lui infatti soffre di una noiosa allergia al freddo, soprattutto se bagnato, per cui gli si gonfiano incredibilmente le mani e non riesce più ad usarle !
   (il laghetto di Piona, nell'alto Lario, pochi chilometri prima di Colico)

In questa situazione sempre più precaria e pericolosa, con raffiche tesissime e onde frangenti che ormai raggiungevano i due metri, arrivammo infine all’altezza di Dongo (la località del mitico “oro mussoliniano”), poco prima di Domaso, dove facemmo una virata da regata, a pochi metri da riva, per il notevolissimo impegno che implicavano quelle condizioni. 
Poi procedemmo, velocissimi e sbandati, per la riva opposta del lago, dove avremmo dovuto fare l’utlima virata all’altezza dell’imbocco del laghetto di Piona, una piccola e suggestiva baia dell’alto lago, pochi chilometri prima di Colico, dove il lago termina ed inizia la Valtellina.
Calcolai che, per quanto la prua puntasse decisamente più avanti, causa deriva e scarroccio saremmo infine giunti a virare sull’imbocco di quella baia o poco più
Oltre.
Nel frattempo curavo la massima attenzione a non investire alcuni surfisti alla deriva sulle onde ! Come spesso capita in queste circostanze molti di loro insistono nel veleggiare sulle loro precarie ed instabili tavole nonostante il pericoloso rinforzo del vento, finchè non riescono più a controllare la situazione per gestirsi in equilibrio sino a riva, rimanendo quindi in balia di situazioni normalmente assai scomode, talora anche pericolose.
(ma anche i più "esperti" in quella situazione non riuscivano a navigare)

Giunti all’altezza dell’imbocco della baia di Piona ne incontrammo alcuni alla deriva, sbattuti tra le onde, che ci chiedevano soccorso, ma dovetti purtroppo ignorarli, anche perché sapevo che non correvano pericolo di vita. 
Per poterli aiutare avrei dovuto come minimo ammainare le vele e manovrare a motore, ciò che già avevo provato a fare, ma senza esito, avendo una scotta incattivita a prua. Avevo poi alle spalle altra analoga esperienza che mi demotivava dall’intervenire. Avvertii comunque con il cellulare il circolo velico di Domaso che provvedesse ad attivare i soccorsi del caso. Quei surfisti sarebbero comunque giunti a riva entro massimo mezz’ora, spinti dal vento e dalle onde, per quanto bagnati ed infreddoliti.
Facemmo l’ultima virata alla disperazione, con le scotte incastrate nelle strozze
dalla forza del vento, senza che io potessi azzardarmi ad abbandonare il timone
per intervenire a prua, là dove occorreva e dove il mio amico non era in grado.
Così, senza poter regolare le vele, procedemmo nell’ultimo bordo verso il nostro ricovero di Domaso, con l’aiuto della spinta del motore fuoribordo, che subito
dopo la virata ero riuscito a calare in acqua ed avviare.
Nonostante avessimo tutte le vele spiegate ed il motore al massimo ci mettemmo più di un’ora per percorrere quei due chilometri restanti !
Fù quasi come rivivere l’ingresso in laguna Veneta a Malamocco, con mio fratello anni prima, sbattuti tra le onde di poppa e la corrente dell’acqua alta in uscita !
Giunti poi a Nord del porticciolo, relativamente riparati dall’ansa del lago, riuscii orzando ad allentare la tensione di vele e scotte, così da poter ammainare in qualche modo il tutto e rientrare in porto, con una manovra resa comunque impegnativa e delicata dalla forza del vento e della corrente.
Sistemate le cose a bordo scendemmo sulla banchina, stanchi, provati ma ormai tranquilli. Il mio amico conservava ancora sulle mani i suoi guantoni da boxe naturali, da allergia di probabile origine psicosomatica.
Quella fù, per ciò che ricordo, la mia ultima impegnativa avventura di velista da diporto. Dopodichè, lentamente nel tempo, rallentammo sempre più le nostre escursioni con Aglaja in alto Lario. Un po’ per la ripetitività della cosa, sopratutto per il fastidio che implicava quasi sempre lo stress del viaggio, in coda per decine di chilometri fra andare tornare.
Buon ultimo io mi trovai ad una importante svolta delle mie abitudini, alle prese con il gravoso impegno della costruzione di una grande ed esagerata casa in campagna, sulla collina dell’oltrepò Pavese, in direzione totalmente contraria al lago di Como, impegnato per diversi anni in ogni weekend e per tutte le vacanze.
Negli ultimi 15 anni, a parte brevi periodi di qualche giorno alle terme di Abano Montegrotto (dove abbinavo perlopiù occasioni di lavoro in zona), la mia unica vacanza è stata una settimana in Sardegna…
Alla fine mettemmo in vendita Aglaja.
Arrivò un Bolognese, amatore del genere (vecchie barche classiche in legno dal gusto molto particolare), che se la portò a casa, le costruì intorno un capannoncino e ci lavorò per due anni a restaurarla, portandola infine di nuovo in Adriatico, ad Albarella, un isolotto lagunoso non lontano dal delta del Po’, dove si trova un importante residenziale turistico attrezzato nato almeno 40 anni fa.
Le ultime notizie, fresche di poche settimane, indicano Aglaja essere ancora attiva in navigazione dalle parti di Venezia.

Per una barca in legno di circa mezzo secolo, che tante ne ha viste e provate, non è cosa da poco !

E con la sua vendita è purtroppo finita la mia carriera di velista !
Mi sono infatti ritirato in campagna a tribolare nella costruzione di una nuova, esagerata casa in collina nell’oltrepò Pavese, dive vivo “all’asciutto” da 9 anni,
prigioniero di tante incombenze e problemi che implica la gestione e manutenzione
di una grande villa, con grandi giardino, orto e frutteto e piscina.
Per non parlare di tutti quelli affrontati per costruirla la meglio, incluso il “software”burocratico…
Ma quel che più mi duole e mi disturba ogni volta che ci penso, è la mia ultima barca, acquistata dopo la vendita di Aglaja, che è parcheggiata immobile e disarmata da 10 anni in cortile, inutilizzata !
E’ un piccolo (4,10 mt.) Vaurien, glorioso tipo di deriva utilizzata da tante scuole di vela e per tante regate. 
  
 (a destra: Vaurien, deriva classica francese)

Dopo averla comprata l’ho usata due volte, sul lago di Como e mai più, non avendo tempo ed opportunità ed essendo sempre troppo altrimenti impegnato. Il mare (Ligure) dista solo 45 km. in linea d’aria da casa mia, ma dovendo attraversare tutto l’appennino ci vogliono almeno un ora e mezza, due, per raggiungerlo…



Per anni mi sono illuso di riuscire ad utilizzarla, negli ultimi due ho anche pagato in posto barca a Chiavari, senza riuscire a portarvela.
Mi sono coì rassegnato a metterla in vendita.
Amen e così sia. Ma lo giuro, la mia prossima vita, se c’è, voglio viverla al mare, nuotando ed andando a vela !
Promessa di

The lonely dolphin