domenica 17 aprile 2011

PERICLE (seconda parte)




PERICLE. L’uomo che visse più volte
(seconda parte).

Non ricordo esattamente che lavoro allora facesse… di sicuro lui era un “mercante”, nel senso più ampio ed elevato del termine, avendo insite e sviluppate tutte le doti per esserlo ai più alti livelli: intuito e fantasia per vedere l’affare o perfino inventarlo, il coraggio per osarne i rischi, sensibilità e capacità persuasive per coinvolgere ogni possibile partner, massima accortezza nelle trattative e sviluppato acume psicologico per valutarle e condurle al meglio.
Da lui imparai importanza, complessità e nobiltà del lavoro mercantile, tanto denigrato dai marxisti massimalisti, che fece la gloria e la ricchezza nel mondo delle repubbliche marinare, Genova e Venezia in testa e che permise a Lorenzo il Magnifico di organizzare le prime banche e sponsorizzare la maggiore produzione artistica di tutti i tempi.
Pericle mi ricordarono poi svariate letture di personaggi, reali o di fantasia, avventurieri di successo che vissero vicende epiche mossi da opportunità mercantili finalizzate alla ricchezza, al denaro: lo sterco del diavolo…che muove il mondo e può dare, se ben usato, un po’ di paradiso in terra, alla faccia della cruna di un ago per cui non transitano i cammelli !
Mi rammentava anche il Guareschi autobiografico romanzato della sua divertente “Scoperta di Milano”, che si trova a trattare la compravendita di maxi caldaie ed affini, improvvisato affarista in una Milano in rapida industrializzazione negli anni’30.
Certo è che Pericle fù in grado di guadagnare presto e bene.

A ventanni la perdita del primo figlio fù dolore immenso. Morì a 15 giorni dalla nascita di polmonite, nel 1940, come molti altri neonati in quell’Italia prebellica priva di penicillina (che sarebbe arrivata solo alla fine della guerra insieme agli Americani), con una mortalità neonatale di oltre il 4%.
Alessandro era un bellissimo neonato di 4 chili e otto, la cui brevissima ed inconsapevole vita ebbe comunque lunga memoria in famiglia, ed ebbe peso notevole su me stesso, come forse racconterò altrove.
Ma siccome le disgrazie amano avere compagnia, quasi contemporaneamente morì, anche lui di polmonite, un altro bimbo di pochi mesi, nato da Vittoria, unica sorella di Pericle, di lui maggiore.
I due corpicini furono poi tumulati assieme in una tomba che li custodì per oltre mezzo secolo, sicuramente finchè ci fù Vittoria, sopravissuta di circa 40 anni a Lidia.
Nel ’41 arrivai io, a consolare e benedire…si fa per dire…

Nacqui in via Piave, vicino al mare del faro in corso Italia, dove nel frattempo avevano trasferito il loro nido d’amore Lidia e Pericle.
Ma la guerra era in arrivo e lui fù arruolato come sottufficiale in artiglieria, e ne divenne anche campione di tiro, abilissimo in balistica.
Ma la guerra non la fece: mentre era in licenza per sfollare la famiglia via da Genova, colpita dai primi bombardamenti dal cielo e dal mare, ebbe un incidente d’auto con rottura composta del femore: 40 giorni in ospedale con la gamba in trazione per recuperare i 13 cm. persi con la frattura (allora non esistevano gli attuali dispositivi chirurgici tipo alzati e cammina). Tutti scappavano, noi rifugiammo nell’entroterra Ligure, provvisoriamente a Borgofornari e poco dopo a Busalla,
Pericle era uno dei pochissimi ad avere l’automobile ed a saperla guidare: venne così cooptato da tutti, parenti, amici e conoscenti, per trasportarli via dal pericolo incombente. Guidò per due o tre giorni avanti e indietro, senza sosta, praticamente senza dormire e quando credeva di aver finito, mi raccontava mia madre, cedette all’ulteriore richiesta di soccorso di amici, che trasportò da Genova a Varzi (dove ora, dopo70 anni io vivo !). Al ritorno verso Seravalle, superata Tortona, sul lungo rettilineo di Villaverna si addormentò alla guida finendo ribaltato contro un ostacolo, mandando in frantumi l’osso più lungo.
Mi raccontava Lidia che in ospedale, terrorizzato dalla paura di rimanere zoppo, le chiedeva con stoica sopportazione di aggiungere altri pesi ai gravosi già prescritti dall’ortopedico per la trazione destinata ad allungare il femore mentre l’osso ricresceva. Recuperò quasi 12 dei 13 cm. persi e non si notò mai nel suo incedere questa minima differenza, probabilmente anche compensata da un riassetto scheletrico e muscolare. Portò poi le stampelle, i bastoni…ma non ebbe più a che fare con i cannoni…definitivamente congedato e forse salvato da quell’infortunio.

Il ricordo del quale ebbe anni dopo seguito in un altro più tragico incidente: Pericle tornava da un lungo viaggio di affari in compagnia del dott. Arduino, suo amico e consulente, ed il giovane figlio di altro suo partner, tale Accame, stimato nel mondo Genovese del business.
Da molte ore guidava la sua auto e, memore di quanto già accadutogli per essersi addormentato al volante, cedette infine alle insistenze del giovane Accame perché lasciasse a lui la guida.
Si risvegliò nell’auto capotata in un campo !
Riuscì a venirne fuori, incolume, attraverso un finestrino, mentre sentiva dei contadini urlare dai margini del campo: fermi, non muovetevi ! Si erano ribaltati in un campo minato (la guerra era finita da poco)!
Ciò nondimeno lui tirò fuori dall’auto gli altri due, mise in piedi il giovane Accame e poi estrasse Arduino, che era svenuto e sembrava il più malconcio.
Tornato a girarsi trovò disteso a terra il giovane Accame… che morì poco dopo, in ospedale, senza riprendere conoscenza. Il piantone di sterzo, in assenza di cinture ed airbag, ancora tutti da inventare, gli aveva spappolato stomaco e intestino.

A Busalla passammo il periodo bellico in modo vergognosamente idilliaco !
Pericle aveva avuto in affido, a titolo quasi gratuito, una grande villa sulla collina, circondata da un parco con grandi pini, proprietà dei Marchesi De Ferrari, dove io sviluppai i miei primissimi ricordi ed infine, nel ’45, nell'Aprile della Liberazione, nacque mio fratello Mario.
Tranne il fragore di lontani bombardamenti, il timore di aerei che arrivarono un paio di volte a bombardare vicine stazioni ferroviarie ed il solito “pippo”, aereo ricognitore che passava quasi ogni sera, non avemmo mai problemi.
Perfino quando i Tedeschi in ritirata ci requisirono ed occuparono il primo piano della villa e scavarono buche sotto gli alberi del parco per nascondervi camion ed autoblindo: per il tempo che rimasero si comportarono sempre più che correttamente. Al punto che Lidia, mia madre, lasciava che io scendessi in paese a cavallo con un giovane attendente (ricordo perfino il nome: Emil), per comprare il gelato! Busalla allora era anche nella zona di frequenti conflitti partigiani, ma
non ricordo situazioni di sofferenza, indigenza o disagio. Era come un isola felice, risparmiata dalla burrasca, dove non mancava nulla o quasi: c’erano negozi di ogni tipo, in qualche modo riforniti, il cinema con spettacoli up to date ( a 3 anni nel '44 ci vidi una primizia dall’America: “Biancaneve e i sette nani”, che fù in prima visione a Genova solo dopo il ’46!). C’era il ballo e tante famiglie della Genova “bene” che là, in campagna, avevano le ville per la villeggiatura ed ora le abitavano stabilmente, giovani famiglie con le quali i miei genitori costituivano una piccola comunità elitaria, con ricorrenti frequentazioni, feste, balli, criket, tennis...
Con noi erano rifugiati anche altri parenti (molti erano invece nelle vicine Casella e Torriglia), ma ricordo sopratutto mio nonno Federico, che mi portava in giro a cavalluccio e che dopo il 25 Aprile finì nascosto a lungo in cantina: era fascista di formazione, essendo stato ardito negli Alpini della "grande guerra", ma non aveva mai fatto alcunchè potesse giustificare rancori o vendette eppure dei sedicenti "partigiani" lo cercavano per farlo fuori.

Pericle credo che in quel periodo, graziato dal congedo illimitato, si ingeniasse per recuperare ogni possibile risorsa economica. Nonostante le progressive difficoltà di circolazione continuò ad andare e venire da Genova.
Quando infine gli sequestrarono anche la Topolino riuscì a procurarsi un motocarro ed il permesso di utilizzarlo. Ricordo quando la sera con Lidia gli andavamo incontro a piedi, su per la statale dei Giovi verso Genova ed infine lui arrivava rombando e ci faceva salire accanto a lui sul motocarro. Sento ancora l’odore forte della benzina mal raffinata, carica di zolfo e povera di ottano e gli scoppi del motore.
Penso anche che in quel periodo lui già verificasse le premesse delle imprese commerciali cui si sarebbe dedicato, con grandi successi, nel dopoguerra.

Alla fine della quale lui aveva 27 anni, tanta energia, entusiasmo ed accresciute esperienze e capacità. Che mise subito a frutto, rilevando ad esempio il Saponificio di ValPolcevera, ad Ovest di Genova, business che durò qualche anno, ma credo gli servisse più che altro come base d’appoggio per il traffico import-export di materie prime soggette a dazi doganali agevolati. Si occupò anche di oli minerali (petrolio) e di tante altre cose, gran parte delle quale andarono a buon fine fruttando importanti ricavi.

Nell’autunno del’45, senza fretta, ritornammo a Genova, in un buon appartamento in via Francesco Pozzo, subito sopra piazza Tommaseo, ma ci restammo poco.
L’iperbolica crescita dei suoi affari, gli importanti conseguenti ricavi, il successo incalzante, omologarono Pericle, neppure trentenne, a farsi una notevole villa nella più bella zona residenziale di Genova, il Lido, a 200 metri dall’idilliaco porticciolo di Boccadasse ! Ci andammo ad abitare nel’48: era una casa fantastica, su 3-4 piani, dotata di tutto e di più ( oggi, ormai da 60 anni, cioè da quando Pericle dovette venderla, c’è un piccolo albergo: l’Hotel “La Capannina”).
Ricordo al primo piano l’enorme doppio salone, la sala da pranzo con tavolo in cristallo per 20 coperti, la sala da gioco…, il larghissimo corridoio, i marmi, gli arredi pregiati, i quadri d’autore, l’atmosfera da set cinematografico ai livelli Hollywoodiani, ed all’ultimo piano la sala biliardo ed una grande terrazza vista mare.
Oltre che il giardino tutt’intorno.
Pericle in quegli anni fù veramente al top ! Salì anche alla ribalta della informazione sul Secolo XIX quando, non so in quale importante riunione di uomini d’affari, a lui brindarono come il futuro “Gaslini” (il più importante businessman Genovese del tempo, che a Genova donò l’ospedale per bambini, a lui intitolato, ora famoso in tutto il mondo).
C'erano quattro persone di servizio (ma mia madre non si risparmiava, con l’aiuto di nonna Gisella, allora detta “Maria”, cuoca ufficiale di casa) e persino l’autista, Giuseppe, per guidare la Dodge, limousine americana, di cui Pericle si era dotato.
Una volta, eravamo sulla grande terrazza, mi indicò i terreni confinanti, appezzamenti liberi verso vicino "Nuovo Lido", dicendomi che acquistandoli vi avrebbe costruito per noi campo da tennis e piscina…!
Ed in questa atmosfera, come a ribadirne la dovizia, nel 1948 nacque Elisabetta, nostra sorellina minore, bionda e con gli occhi azzurri (come Mario, il secondogenito), finalmente dopo tre maschi la femminuccia tanto desiderata, la cocchina di papà Pericle, che nel tempo sbocciò in una meravigliosa fanciulla.

Tutto questo noi godevamo e vivevamo in pieno, ma comportava una visibilità di ricchezza che nella mentalità “Genovese” è imprudente ostentazione…Pericle era, ripeto giovanissimo, quindi in parte giustificato per suo questo apparire alla ribalta, ma affatto…genovese. Infatti la proverbiale tirchieria risparmiosa che viene rimproverata ai Liguri non gli apparteneva minimamente. Anzi di lui si poteva dire altro, ma non questo. Quando nei ‘60 usci la canzone di Endrigo, “mani bucate”, Lidia disse che era stata scritta per lui…
Il ricco genovese tipico tiene assolutamente nascoste le sue ricchezze, non le ostenta minimamente e fa mostra quasi… d’indigenza.
Come un amico di Pericle di quel tempo, Alfredo Vallebuona, ricchissimo da generazioni, proprietario di immobili a non finire, di ville e tenute, di una catena di distribuzione cinematografica e di svariati cinema. Lo ricordo con simpatia perché assomigliava a Bop Hope, allora interprete comico dei miei film preferiti e perché
talora mi regalava i biglietti per entrare gratis nei suoi cinema.
Vallebuona andava in giro con i polsini sdruciti, su una topolino che ci pioveva dentro (aveva anche la Lancia Aurelia, ma la teneva nascosta fuori Genova…) e le lacrime agli occhi quando al ristorante toccava a lui il conto. Sua moglie Emma, bella donna sosia dell’attrice Mirna Loy, molto fine ed amica di Lidia, le confidò una volta che non avevano figli perché lui non si sentiva di doverli mantenere…
Pericle invece viveva al contrario, alla grande, spesso al di sopra delle sue reali possibilità. Nella villa c’erano spesso feste, che spaziavano dal ballo nel doppio salone, al bridge nella sala da gioco, al biliardo al piano attico. E quando “giocava” fuori casa, non raramente, con Lidia o senza perché lontano per affari (e Casinò…), non era certo da meno !

Pericle avveva “u scanniu” (gli uffici) in Genova centro, in via Cesarea, laterale di via XX Settembre. Aveva diversi collaboratori, tra i quali c’era, come poi spesso in altre occasioni, qualcuno dei suoi fratelli. Per qualche tempo ebbe anche come “segretario” tale Santacroce, dottore in Statistica, che già aveva fatto da interprete ai comandi USA d’occupazione (ho un ricordo in cui vedo lui, Pericle e me stesso a bordo di una Jeep americana in giro per Genova…).
Il dott. Santacroce negli anni ’60 diventò direttore generale di IBM Italia!
Nella villa ospitavamo a volte anche persone di particolare riguardo e levatura, con cui Pericle intratteneva rapporti soprattutto finalizzati al suo business.
Ricordo solo un tale Ventola,
Italo Americano Agente generale della Coca Cola in Italia, sbarcato al seguito delle truppe USA per aprire il mercato alla famosa bibita. Me lo ricordo perché ce ne regalò alcune casse ed io fui uno dei primissimi bambini a“contaminarmi” con quella bibita, portandola perfino a scuola, di nascosto, fin che il maestro mi scoprì a berla in classe e mi sequestrò la bottiglietta.

Pericle aveva comunque lati del carattere insospettabili. Poteva essere ad esempio molto tenero oppure estremamente duro.
Visto che era un ottimo tiratore amici e conoscenti dediti alla caccia lo convinsero a praticarla. Si attrezzò al meglio e alla prima uscita colse una lepre. Quando la raggiunse la bestiola era agonizzante e lui la finì con grande sofferenza, sua di lui, che avrebbe voluto ora farla rivivere: fù la prima e l’ultima volta di Pericle cacciatore.
Quando invece ci fù l’attentato a Togliatti, ricordo benissimo, ci barricammo in casa: a Genova ci furono i tumulti più gravi (tipo quelli del G8, ma con assai meno danni!) e si temeva un’aggressione dei comunisti più facinorosi verso le case dei ricchi.
In giardino faceva la guardia Gilda, la nostra magnifica Alano Arlecchino, mentre Pericle ed il nonno Federico, armati uno di doppietta a canne sovrapposte, l’altro di rivoltella a tamburo, erano appostati di guardia sul terrazzo panoramico. Quel giorno nessuno uscì di casa.
Poi arrivò la notizia che Bartali aveva vinto una tappa storica del giro d’Italia in corso, il popolo scalmanato ebbe occasione di distrarsi e l’Italia fù salva dalla rivoluzione. E noi con lei.
Ma io ricordai a lungo di Pericle in terrazza, con il fucile in mano, lo sguardo freddo,compreso, determinato…Assomigliava tanto ad uno dei miei eroi preferiti del cinema western: l’Errol Flynn di “Il Generale Custer !

Il dott. Santacroce, futuro G.M. della IBM Italia gli era allora servito come introduzione ed interprete presso gli alti Comandi dell’Esercito USA in Italia per combinare quello che avrebbe dovuto (e potuto) essere l’affare record di Pericle e diventò invece la sua rovina.
Lui aveva avuto un’idea delle sue: finita la guerra c’erano in Italia tanti camion militari made in USA che gli americani non avevano interesse a riportarsi indietro e si potevano comprare per poche lire, ma da noi non c’erano rimaste neppure quelle. Ma c’erano altri paesi dove collocarli, ad esempio l’Argentina, paese ricco, allora emergente verso la motorizzazione dei trasporti…
Pericle si informò, cercò, quantificò, contattò sia il potenziale venditore (l’esercito USA) che i possibili acquirenti, imbastì una trattativa ed ebbe infine caparra di conferma per un ordine di 300 camion revisionati.
Che quindi comprò e fece sistemare.
Ricordo che lo accompagnai all’officina, a Genova, in un garage seminterrato dei nuovi palazzi che ancora costeggiano via Tolemaide, di fronte alla ferrovia. Un garage enorme, lungo centinaia di metri: camminammo per un tempo che mi sembrò non finire mai in mezzo ad una doppia fila di enormi autocarri smaglianti di vernice…troppo grandi, troppo belli, troppo tanti per l’Italia di allora!
Ma arrivati alla consegna merce accadde l’inevitabile.
Esistono diverse versioni, un paio delle quali addizionate potrebbero corrispondere alla realtà. La nave per trasportarli era arrivata a Genova dall’Argentina insieme al figlio del facoltoso acquirente dei camion, incaricato del pagamento della merce e del suo ritiro, ma il governo di Peron stava vivendo problemi che si riflettevano sull’economia del paese, ciò che avrebbe determinato una situazione di ripensamenti da parte del compratore…insomma, la versione ufficiale fù che l’affare saltò per inadempienza del compratore. Ma molti anni dopo qualcuno mi raccontò la storia vera:
Pericle andò incontro al giovane suo coetaneo Argentino, portatore del denaro e
…si piacquero a prima vista! Intesa totale: belli e ricchi entrambi, dotati viveur, potenziali tombeur de femmes, ma sopratutto con un’identica grande passione: il gioco d’azzardo…Sembra lo capissero entrambi senza neppure parlarne, solo guardandosi negli occhi. E subito furono complici.
Così partirono per la tangente, sparendo verso San Remo e Montecarlo, dove nel giro di qualche giorno “sbancarono” entrambi i Casinò, lasciandovi l’intero importo destinato all’acquisto dei 300 autocarri, almeno 10 milioni di euro attuali, insieme alla camicia !
Chi dei due aveva perso ? Entrambi, perché l’Argentino se ne ripartì senza più denaro e senza merce, Pericle rimase con i suoi autocarri, su cui tutto aveva investito e forse anche di più, ma che in Italia valevano poco o niente, mancando i potenziali acquirenti. Probabilmente si erano giocati anche la caparra e Dio sa cos’altro ! Quel po’ che si riuscì a ricavare dalla svendita frazionata non servì neppure a pagare i debiti con l’officina ed il garage.
Ed altra acqua arrivò a piovere sul bagnato: il fisco, che divenne il suo principale nemico da allora in poi, per 40anni, sin dopo il suo decesso !
Non so quali fossero le sue inadempienze, ma sicuramente erano legate all’attività del saponificio, ormai ceduta ed enfatizzate dal dovizioso, eclatante stile di vita poi esibito…Fatto sta che gli arrivarono cartelle esattoriali per oltre 40 milioni di lire, un’enormità per quel tempo (l’esatta equivalenza ad oggi è di 700mila euro) !

E così, assai presto, iniziò la parabola discendente di Pericle, già stella nascente nel mondo degli affari genovese.

(fine seconda parte, continua)














martedì 12 aprile 2011

PERICLE (prima parte)


Pericle, l’uomo che visse più volte.

La sua vita fù in gran parte un’avventura e merita perciò di essere raccontata più di altre cose, ma non è facile per me, in quanto figlio.
Temo di non essere adeguato, obbiettivo, sereno nelle inevitabili valutazioni, sia pure indirette, positive o negative. Inoltre i miei ricordi sono in parte filtrati dal lungo tempo passato, quando non altrimenti relativi alla lontana memoria di racconti che mi furono fatti da mia madre o da altri parenti, amici, conoscenti. Ci provo e spero di farlo al meglio delle mie modeste capacità.

Per cominciare ecco le inevitabili valutazioni, necessarie per definirlo.
Pericle era innanzitutto un vero “signore”, un gentleman ed un “vero” uomo. Preciso: non era raffinato, affetato, manieroso…, non esibiva modi “signorili” con distacco ed alterigia, né si atteggiava…Lui era !
Era una persona molto educata, di gran classe e disinvolto portamento, dotata di carisma, intelligenza oltre la media, arguzia, fantasia, creatività ed incredibile intuito.
Ma all’occorrenza poteva confrontarsi anche rudemente e virilmente con chi lo provocasse o meritasse, senza tuttavia compromettere la sua signorilità. Così come sapeva all’occorrenza disinvoltamente adeguarsi, senza eccessivi problemi, ad ogni ambiente o situazione, spaziando in ogni ambito, pur preferendo decisamente quelli che più gli erano congeniali.
Coraggio, disinvoltura, savoir faire, senso dell’opportunità… li aveva tutti, così come spiccato senso dell'ironia. Lo caratterizzava inoltre, in generale, uno spiccato senso critico, che anch'io da lui credo aver molto assimilato.

Volendone paragonare l’immagine a quella di attori noti del suo tempo, ad alcuni dei quali fisicamente somigliava non poco, lo si potrebbe accostare nei modi ed in alcuni tratti a David Niven, come sempre lo ha visto mia moglie. Io invece, soprattutto da bambino, l’ho sempre identificato con Errol Flynn, mio eroe preferito di tanti film d’avventura, da Robin Hood al Generale Custer.
Ma generalmente allora veniva “riconosciuto” come sosia di Amedeo Nazzari, che sapeva benissimo imitare (“…e chi non è con me peste lo colga !”) ed a cui fù una volta presentato a Roma come tale.
Alto esattamente 6 piedi (182,5), molto per la sua generazione, 80-85 chili, spalle larghe, volto assai piacente (forse anche più di Niven e di Nazzari), aveva voce ben modulata, senza inflessioni, da attore, che giovanissimo era anche stato, interprete di non ricordo quale nota romantica commedia, assai di moda negli anni’30.
Non so quali scuole avesse frequentato, ne fino a quale livello, ma sicuramente aveva ottima cultura generale, da accorto, curioso, ambizioso ed intelligente autodidatta, quale soleva definirsi, perfino vantandosi di esserlo.
Di mentalità molto aperta, laico moderato, era soprattutto “liberale”, in ogni senso: in politica, in economia e nell’etica dei costumi, fatti salvi la decenza ed i canoni basilari della morale comunemente intesa, ma con ampi spazi per la tolleranza, ma senza nulla concedere ad un basilare rigore morale.

Difetti ne aveva, anche se i più gravi io li imparai mio malgrado quando avevo già 23 anni. Prima di allora consideravo negativamente che fosse gran fumatore, il disinteresse per l’esercizio fisico, la schiena progressivamente curva che lo aveva un po’ ingobbito negli anni. Volendo cercare il pelo nell’uovo direi anche che era esageratamente sensibile in quanto a pulizia ed igiene, se pur non proprio a livello maniacale. Tutto qui, non ricordo altro sino ad allora: un padre praticamente perfetto!
A parte la “sfortuna” che lo perseguitava, diceva mia madre, ma quella non è normalmente classificabile come “difetto”.
Poi imparai che la sua sfortuna… se l’andava regolarmente a cercare, non solo nel gioco d’azzardo, ma anche spesso rischiando eccessivamente negli affari.
Soprattutto era un “giocatore” incallito, nato praticamente tale, che passò metà della sua vita rovinandosi col gioco d’azzardo.
L’altra metà la spendeva al meglio, con genialità, grandi capacità, tanto lavoro, inventiva, sacrifici, ma anche tanto spirito d’avventura, a procacciare guadagni spesso notevoli, talora veramente importanti, in affari, settori e situazioni continuamente mutevoli, sempre in fuga dai “problemi” che si era lasciato alle spalle, alcuni dei quali lo inseguirono per tutta la vita e perfino oltre…!

In lui c’erano almeno due anime, coabitanti senza apparente conflittualità, senza schizofrenia: quella dell’avventuriero ad oltranza, probabilmente con vocazione di viveur, votato alla notte, al bel mondo dei Casinò di una volta, Hotel lussuosi e signore sensibili alla galanteria raffinata…
E l’altra, quella del buon “pater familias”, sempre di esempio per i figli, educatore intelligente, moderato ed esemplare, spesso ironico, arguto, divertente, spiritoso, di mentalità aperta, con svariate concessioni all’anticonformismo intelligente.
Assiduamente presente, anche quando non c’era…non l’ho mai percepito “assente”, anche quando fisicamente lontano e così credo anche i miei fratelli.
Circa l’anima avventuriera debbo precisare che fù sempre persona assolutamente discreta ! Le sue “avventure”, di ogni genere, in famiglia le abbiamo più che altro immaginate, al massimo intuite. Ma sicuramente ci furono. Mia madre credo arrivasse a saperne qualcosa, ovviamente soffrendone, giustamente gelosa.
La ricordo frequentemente alla ricerca d’indizi, di “tracce” di rossetto, di capelli non suoi, di lettere o telefonate che potessero tradire…i tradimenti.
Ma come due e due fanno quattro, lui corse certamente la cavallina, non poteva essere altrimenti in certi periodi, quelli d’oro, in cui era giovane, bello, aitante, fascinoso e ricco…o quasi. Periodi nei quali era spesso via per affari, negli ambienti giusti, Roma, Milano, Bruxelles, Buenos Aires, ma anche Sanremo, Montecarlo, Venezia Lido ed anche San Marino, per un breve periodo particolarmente …rovinoso..
L’unica indiscrezione di una sua conquista femminile, che avrebbe per qualche tempo frequentata, corrisponde al nome dell’attrice Valentina Cortese.
Non so come giungesse alla notorietà anche di mia madre, che a distanza di molti anni, ormai sopita la tempesta di gelosia ed ingoiato il rospo, ancora ne faceva racconto alle nuore ignare.

Nato a Genova nel 1918 da Mario ed Edilia, giovane vedova con già due figli, Serafino e Vittoria. Pericle fù il terzo per lei, ma il primo di altri quattro figli avuti poi con Mario: dopo di lui arrivarono infatti Silvio, Edilio e Piero. In totale sei, una bella tribù che i genitori inquadrarono, come si soleva, con amore e disciplina. Papà Mario era uomo comprensivo ma di polso, rigoroso: una volta lasciò Pericle, già quasi ventenne, fuori dalla porta di casa tutta la notte perché rientrato dopo il coprifuoco della regola da lui imposta.
Ciò nondimeno mia madre conservò sempre del suocero un bellissimo ricordo, di vero signore, garbato e virile, intelligente e comprensivo.
Aveva solo un difetto, grave per quei tempi, era un po’ antifascista, ciò che creò anche a lui non pochi problemi, specie con il lavoro di amministratore delle Farmacie Burlando di Genova.
Di lui ricordo soprattutto quello che mi raccontava mia madre, tanti anni fa, essendo entrambi morti giovani: il nonno Mario a 52 anni, nel 1942, di ictus forse dovuto anche ai problemi per le gravi conseguenze della sua dissidenza politica. Aneddoto notevole il fatto che a pranzo, ascoltando inevitabilmente Mussolini che imperversava con le sue demagogiche, gli gridasse contro mentre lanciava pezzi di pane all’apparecchio radio: “magia e stanni sittu” (mangia e taci).
Lidia, mia madre morì anche lei poco più che cinquantenne, nel 1974, portando con sé i suoi ricordi che non avrebbe più potuto trasferirmi.
Alla morte prematura del padre Pericle aveva solo 24 anni e si fece in gran parte carico della madre e dei fratelli minori: Piero sui dieci anni, Edilio sui quindici, Silvio di poco maggiore.
Pericle allora era già sposato da 3-4 anni ed aveva già avuto due figli: Alessandro nel ’39, morto di polmonite a sole due settimane di vita, poi io, nel’41.

Pericle e…Lidia.
I nomi potrebbero indicare i protagonisti di una romantica fiaba ellenica, ambientata nell’antica Grecia…
Si conobbero giovanissimi frequentando rinomata scuola da ballo genovese Righetti, luogo istituzionale per la bella e morigerata gioventù del tempo, forse più frequentato per opportunità d’incontri che non per l’apprendimento della danza.
Immediata fù l’attrazione e fatale, tra il giovanissimo, alto, slanciato ed elegante men che ventenne e l’ancor più giovane (neppure diciottenne) “vamp”, mora, deliziosamente formosa e fascinosa, ma tenerissima “Signorina Grandi Firme” (così allora venivano definite le fanciulle degne di apparire in copertina dell’omonima Rivista mensile di glamour e gossip, quando queste parole non solo erano inusuali, ma anche “proibite” dall’autarchia sciovinista del Fascismo imperante).
Entrambi dotati di fattezze tali da poter competere con i bei divi del Cinema anni ’30, ’40 e ’50 senza minimamente sfigurare.
Lidia era figlia unica, nata…per un errore di natura alla rovescia, come forse racconterò in un’altra assai più breve storia.
Di umili origini, suo papà Federico ai tempi era tramviere, poi controllore ed infine capo del deposito dei tram di Boccadasse. La mamma Gisella (da tutti chi sa perché chiamata“ Maria” per oltre trent’anni) veniva dall'Emilia Parmense, cuoca eccezionale e donna di forte temperamento, fisicamente prorompente, fù per noi “la nonna” di casa, contribuendo assiduamente con la sua presenza all’andamento del menage familiare, talora mettendo anche a prova la pazienza del genero, che pure ne aveva tanta.

Pericle e Lidia, come si può dedurre dai fatti poi velocemente accaduti, passarono presto dalla danza della scuola a maggiore intimità, progressivamente sempre più coinvolti dall’inevitabile, irresistibile passione, da un grande, trascendente amore che poi durò, nonostante “tutto”, sino alla precoce morte di lei. E per Pericle anche dopo, con il rimpianto inevitabile che si ha sempre per tutto quanto ci viene poi in mente che di più avremmo potuto fare e dare...
Fù così che, dalle parti del 1938, necessariamente muniti dei rispettivi consensi paterni in quanto minorenni, i due giovanissimi, bellissimi, innamoratissimi (ed… inseguitissimi da una cicogna…quasi una tradizione di famiglia), convolarono a giuste nozze !

(fine prima parte. Continua.)



sabato 9 aprile 2011


LA MIA PRIMA VOLTA...

Avevo sei anni... Ma cosa state pensando ? Beh si, grossomodo si trattava di quello, ma ovviamente a livelli assolutamente parapreliminari...d'innocenza totale. O quasi... Ma in seguito a quell'episodio il dogma del peccato mortale (il "sesto comandamento: non commettere atti impuri") crebbe con me, si sviluppò e rimase assai invadente, sino all' adolescenza e non osai mai confessarlo... Come accade al bimbo del breve primo video qui sotto proposto. Nel successivo, diventato grande, interpretato da Nino Manfredi, non ha più problemi di confessione anzi, ma conserva il terrore di commettere atti impuri. Entrambi i flash sono tratti da"Per grazia ricevuta", 1971.
Buona visione e buona lettura del racconto correlato, qui sotto pubblicato.

Me strozza !


Saltacavalla

venerdì 8 aprile 2011

La prima volta, sesso e tabù.

D'estate, la vacanza, tra un mare e l'altro, vacanza era in "campagna", nell'entroterra Ligure, sugli 800 metri.
Affittavamo una casa, oppure si andava tutti a pensione in albergo.
Nel 1947 trovammo una bella casa ai limiti del paese, con una grande terrazza, tranquilla, nel verde e fù li che a metà Luglio compii 6 anni,
"l'età della ragione". Per l'importante occasione fecero una gran festa, con tanto di orchestrina...ricordo benissimo alla chitarra il barbiere del paese, detto "malinconia" perchè amava le canzoni più tristi e romantiche e quando le suonava gli veniva da piangere...
Lo ricordo bene perchè era giovane, completamente pelato e, sopratutto, mentre mi tagliava i cappelli, acchiappava le mosche al volo, zac...con la bocca, fulmineo e le mandava giù...
Io ero incerto se mi impressionasse di più per l'abilità o per lo schifo di mangiare le mosche.

Compiuti che ebbi sei anni mi capitò di esercitare subito le prerogative della maggiore età, quella appunto della ragione.
Tra i piccoli vicini di casa con cui talora giocavo, una bimba indigena mia coetanea mi invitò una volta a giocare "al dottore" ...
Ignaro della novità le chiesi "come si fà"e le mi fece vedere: mi condusse ad un vicino pollaio, ci entrò invitandomi a guardarla dalla porticina mentre alzava il grembiulino e mi faceva vedere culetto e d'intorni...Mentre ero ancora a bocca aperta si "ricompose" ed uscì dicendomi: ora tocca a te ! Così entrai e mi calai a mia volta...
Mentre ero così posizionato, sentii gridare ripetutamente dalla finestra di una casa adiacente: "vergogna!" ed altre parole di riprovazione ! Subito uscii rivestendomi, preso dal panico e dalla paura di chi è colto a fare cose molto proibite, mentre alla prima voce si aggiungeva quella di un'altra comare, uscita dalla porta di altra casa vicina.
Cercai di dire, ormai piangendo e soprafatto dalle urla chiaramente a me rivolte, che non ero stato io a incominciare...e intanto mi avviavo verso casa da dove si era già affacciata mia nonna, allarmata da quelle voci. Le corsi incontro e le raccontai, piangendo disperato l'accaduto. Lei mi credette subito, senza riserve, mi consolò e poi uscì a dire il fatto loro a quelle comari ! La mia nonna era un baldo donnone di 47 anni di carattere indomito ed aggressivo e presto ebbe la meglio nello scontro verbale con le comari.
Per quanto consolato ed omolagato come "suo bravo ed innocente bambino" dalla nonna prima, dalla mamma più tardi, rimasero in me sensazioni che poi risultarono inalienabili: il senso ed il...gusto del peccato...

Alcuni giorni dopo, mentre soli giocavamo nel soggiorno di casa mia, con Luisa, altra mia coetanea particolarmente carina, figlia del postino del paese, le proposi di giocare..."al dottore". Nella versione da me estemporaneamente escogitata, lei si sdraiava a terra bocconi, io le alzavo il grembiulino e le calavo le mutandine scomprendole il culetto per simularle "la puntura" con un dito.
Lei era riluttante ma riuscii a convincerla.
Ma mentre stavo così simulando mi colse ciò che molti anni dopo realizzai fosse una sorta di "raptus" e mi chinai a baciarle ripetutamente il culino, avvertendo una sorta di "orgasmo",
sicuramente di natura solo emotiva, ma già sessualmente orientato...Luisa imbarazzata se ne andò e dopo quel fattaccio non volle più giocare con me !
Anche perchè sicuramente lo raccontò a casa e le proibirono di frequentarmi ancora.

Dopo alcuni anni, ne avevo ormai una decina, sempre frequentando quel paese nelle vacanze estive, ebbi la riprova di come la mia brutta fama di seduttore mi accompagnasse tuttavia nel tempo.
In compagnie di due ragazzine coetanee eravamo infatti andati a fare una gita, classica escursione alla bella pineta soprastante il paese.
Colà giunti le bimbe manifestarono la necessità di fare pipì, ma vollero
la sicurezza della mia lontananza e la promessa che non le avrei guardate...Perchè era risaputo, precisarono con aria di pesante riprovazione, che bel tipo ero io...che cosa avevo fatto anni prima alla povera Luisa ed all'altra bimba nel pollaio...

Ma io allora ero già consapevole di vivere nel peccato mortale, per gli atti impuri commessi !
Nel frattempo infatti avevo quasi terminato le scuole elementari a scuola dai preti, dove tutte le mattine, sei giorni la settimana, la prima ora era dedicata alla "Dottrina" Cattolica, per cui avevo imparato tutto e di più sui comandamenti ed i peccati, sui dogmi ed i Sacramenti.
Ogni anno dovevo mandare a memoria le risposte a circa 3-400 domande di Dottrina, c'erano specifiche gare di apprendimento ed io ero normalmente classificato tra i primissimi della classe.
Così fui scrupolosamente preparato al Sacramento della Comunione e della Cresima, ricevendo entrambe dal Cardinale Siri nella chiesa di Boccadasse a Genova, dove mi capitò poi anche di fare episodicamente il chirichetto per servire la messa.
Tutto ciò sempre conservando in me il gravoso segreto del peccato mortale contro il sesto comandamento.
Non ebbi infatti mai il coraggio di confessare tanto peccato commesso all'età di sei anni, neppure in occasione della prima comunione !
Solo più tardi, ormai dodicenne, riuscii ad accennarne di aver trasgredito il più scabroso dei comandamenti. Lo feci con un frate, particolarmente paterno, che non cercò d'indagare più di tanto su cosa esattamente io avessi commesso, accontentandosi della mia generica denuncia.
Ma intanto affrontai la prima comunione con il peso del peccato, fortemente aggravato per non essere riuscito a confessarlo.
Ricordo perfettamente quel giorno ed il momento in cui ricevetti l'Ostia consacrata, indegno e colpevole profanatore della presenza del Cristo !
Così mi rassegnai ad essere "un'anima persa", irrimediabilmente destinata all'inferno, perchè mai avrei avuto il coraggio di confessare quel peccato, ora esasperato da un'Eucarestia sacrilega !
Alla Prima Comunione seguì grande festa nella villa di mio padre con tanto di pranzo. Dopo noi ragazzini andammo a giocare in giardino ed io, confermandomi nel ruolo di dannato, escogitai di replicare la storia di Biancaneve, che volli interpretata da una mia graziosa cugina, attribuendomi il ruolo di principe azzurro: lo scopo essenziale per me essendo quello di dare il bacio che risveglia la bella dall'incantesimo !
Ma ebbi poì anche la mia prima "delusione d'amore", senza cogliere per altro la consolazione di non essere il solo a propendere verso il "peccato": la mia cuginetta Biancaneve volle poi che replicassimo di nuovo la favola, ma con il principe azzurro intepretato da un altro ragazzino, un mio amico e compagno di classe, assai carino oltre che biondo e con gli occhi azzurri...

Continuai a portare con me per molti anni il peso del doppio peccato, per atti impuri e per sacrilegio di aver indegnamente ricevuto la prima comunione, così come molte altre successive.
Anche quando superai i tabù della religione mi rimase
in fondo alla coscenza un vago senso di tara recondita e mai risolta.
A 15 anni cessai definitivamente di comunicarmi avendo più o meno deciso di essere "ateo", decisione che maturò lentamente in seguito a tutta una serie di letture, considerazioni, ragionamenti, molti dei quali fatti con alcuni amici, tutti più vecchi di me.
A 15 anni infatti ne dimostravo tranquillamente 18, superavo il metro e ottanta e facevo pugilato nei mediomassimi di nascosto, avendo falsificato la firma di mio padre nella necessaria dichiarazione di consenso.
E non vedevo l'ora, con l'ardore delle potenti pulsioni ormonali tipiche dell'adolescenza, di poter commettere al più presto tanti atti impuri, completi e regolari, senza più alcuna remora d'infrangere il sesto comandamento, che io fossi infine meritatamente dannato !

The lonely dolphin




domenica 3 aprile 2011

I grandi classici in Bianco e Nero

Operazione Cicero

Quando dico...la bellezza di alcuni vecchi film in bianco e nero...
Un breve esempio, 6 minuti, brani significativi tratti da un bellissimo Spy del 1952, diretto dal bravissimo J.Mankievicz ed interpretato dai notevoli James Mason e (deliziosa) Danielle Darrieux, oltre cha da uno straordinario cast di caratteristi.
Da notare il meraviglioso doppiaggio (la grande scuola Italiana di allora!), il ritmo, l'accattivante ironia ed eleganza dei dialoghi e, nei limiti assai angusti di questa riproduzione, la qualità del "Bianco e Nero"...

Un'avvincente spy story di 60 anni fà che racconta fatti realmente accaduti ad Istanbul durante la seconda guerra mondiale.