domenica 9 aprile 2017

LA SPEZIA (Le mie 7 Città, quasi 11)

LA SPEZIA
Panorama attuale della città.

Arrivai nel Golfo dei Poeti alla fine del 1956, dopo un anno e mezzo trascorsi a Civitavecchia-Santa Marinella, luoghi di cui racconterò nel riepilogo finale delle mie "quasi 11 Città".
Avevo 15 anni e fui abbagliato dalla bellezza complessiva di quella città medio-piccola, Capoluogo di Provincia della Liguria orientale, immediatamente confinante con la Toscana di Forte dei Marmi e Massa Carrara (Pisa poco oltre).
P.za Verdi e, a seguire, via Chiodo

"Speza", con la "Z" sibilante, così definita nel vernacolo locale.
Apprezzai l'importante, ampia Via Chiodo, fiancheggiata da grandi portici, in una sequenza di ricchi palazzi stile '900, la bella simmetria del lungo slargo di piazza Verdi e dall'altra parte l'interminabile via Vittorio Veneto, con Piazza Europa ed il magnifico, ampio lungomare di Viale Italia, ricco di giardini, di palmizi affaciati sulla lunga riva terminale del golfo, tra il grande Arsenale Militare ad Ovest ed i Cantieri Navali ad Est.
Il lungo mare con l'infilata delle palme (producevano datteri, se pur non a maturazione)

A La Spezia arrivai con la famiglia per trascorrervi le vacanze di Natale, in avanscoperta sul nostro imminente trasferimento, che sarebbe poi avvenuto nel giro di un mese o poco più.
Ospiti di un buon albergo vicino alla Stazione, pranzammo quasi sempre in un'ottima trattoria di via Don Minzoni, credo fosse il Ristorante La Posta, allora gestito dai fratelli Pellegrini, noti ex pugili, Aldo il più giovane, già campione dei pesi massimi dilettanti, allora era ancora in attività.
Aldo Pellegrini

La città verso il mare aveva una pianta organica, razionale, sicuramente frutto di un intelligente piano urbanistico: belle strade, ampie, intersecate a 90°, che diventavano curvilinee quando dovevano risalire verso la zona collinare di via XX Sett., via XXVII Marzo, fin su, alla via Dei Colli. All'interno la città vecchia era caratterizzata da strade e case più piccole, più datate, la cui dorsale era la tipica via Del Prione, zona delle botteghe, dei negozi, stretta e lunga strada a transito pressochè pedonale. Dopo 60 anni ancora ricordo la cartoleria Cavalca e la mitica "Pia", pizzeria da asporto di ottima qualità, sosta obbligata per le merende con gli amici al ritorno dal campo sportivo della Marina Militare, dopo gli allenamenti.
Via del Prione
Ma oltre alla piacevolissima città apprezzammo moltissimo gli incantevoli d'intorni, che formano il magnifico ensamble del Golfo dei Poeti: Lerici, Portovenere, Fiascherino, Tellaro. E poi le Cinque Terre e, ad est, il promontorio di Monte Marcello, che segna poco oltre, alla foce di Bocca del Magra, il confine con la Toscana.

La Spezia di non era esattamente una città "ricca", condizionata da un'economia prevalentemente basata sull'Arsenale Militare, che dava lavoro ad un'importante parte della popolazione. L'attività del porto mercantile restava limitata e la cantieristica aveva il suo maggior punto di forza nelle demolizioni navali, forse il settore in cui si realizzava il maggior business.
Lerici, il Castello

Sicuramente il turismo, incerniato sulle svariate, notevoli bellezze del Golfo, dava un buon apporto. Il commercio comunque mi sembra che tirasse abbastanza: erano quelli gli anni fortunati in cui l'Italia iniziava il suo grande boom economico, e lo sviluppo dei consumi trainava la crescita della produzione e del commercio, e viceversa. La tassazione era quasi irrilevante e tuttavia si realizzavano opere, sia pubbliche che private, in quantità ed importanza tali quali che oggi ce le sogniamo, mentre ora ci tocca pagare almeno cinque volte più tasse di allora !
Panoramica del Golfo: a sinistra la città, al centro la diga foranea, subito dopo in basso Porto Venere, la Palmaria ed il Tino. In alto, fuori dalla diga, il piccolo golfo di Lerici ed il promontorio di Monte Marcello, oltre il quale inizia la Versilia toscana. In basso il Promontorio da cui iniziano la cinque Terre.
A La Spezia rimasi cinque anni, quelli della mia adolescenza, forse i più belli nella vita di ognuno. E la mia acerba gioventù rimase ampiamente appagata da quei luoghi, esaltandone la  partecipazione ad apprezzarne il tipo di vita che consentivano, permettendomi di succhiarne ampiamente il midollo del "Carpe Diem", nella magia della prima gioventù !
Vecchia foto di p.za Verdi.

Abitammo in un nuovo, bel palazzo all'inizio di via Corsica, tra piazza Verdi e via Vittorio Veneto, praticamente sopra Piazza Europa (che allora mi sembra si chiamasse ancora, più modestamente, piazza Italia). Dal settimo piano godevamo di un panorama magnifico: oltre la bella piazza sottostante vedevamo il mare, la riva est del Golfo, il porto mercantile e la lunga linea lontana della diga foranea, che chiude e protegge tutto il mare interno della città. Ma anche la Alpi Appuane della vicina Toscana, perennemente "innevate" dal biancore dei famosi marmi di Massa e Carrara. E giusto sotto di noi la collina del "montetto", dove ancora dovevano iniziare i lavori di costruzione per la nuova Cattedrale. Allora c'era solo una brulla spianata ed alcuni bunker, residuati bellici della recente seconda guerra mondiale, con le feritoie puntate verso il mare. Sopra il montetto saliva la via dei colli, in asenza o quasi di qialsiasi altra costruzione, meta di gite pedonali con gli amici.
P.za Europa (già p.za Italia). In alto il "cilindro" della nuova Cattedrale. Io abitavo al settimo piano del palazzo in alto a sinistra.

La mia dolce vita di allora si svolgeva, in evasione dalla scuola, d'estate al mare del Lido di Lerici, con puntate a Fiascherino e Tellaro. Dal Lido attraversavo a nuoto il piccolo golfo, circa 600 metri, anche due volte al giorno, per giungere al vecchio molo sotto il castello lericino, che domina l'insenatura. 
Il piccolo Eden di Fiascherino, tra Lerici e Tellaro, sul promontorio di Monte Marcello.


Talora con gli amici si andava anche alla Baia Blu, detta anche baia dei morti a causa delle correnti che a volte vi trascinavo i corpi di qualche annegato. Oppure si partiva in vaporetto per Portovenere, per raggiungere poi l'isola Palmaria, ed attraversarla scavalcandone l'altura, attraversando le suggestive cave di marmo rosa, sino alla spiaggia del Pozzale, di fronte alla successiva isoletta del Tino.
Tellaro, gioellino molto apprezzato da turisti d.o.c.

Salivamo anche, pedibus calcantibus, sino a 400 e passa metri di Campiglia, praticamente all'inizio delle cinque Terre, sovrastante lo Scoglio del Ferale, tra Portovenere e Rio Maggiore. E da lassù potevamo godere di un panorama a sbalzo d'incredibile bellezza, fatto di mare, di terre lontane (isole toscane e Corsica comprese, nelle giornate più limpide). E di ripidissime terrazzate, verticalmente degradanti verso il mare, eroicamente coltivate con la vite dei famosi, rarissimi vini bianche delle 5 terre. Che qualche volta ci capitava anche di bere, ad ulteriore esaltazione della nostra beata condizione di giovani fortunati, in grado di godere ed apprezzare tutta quella naturale bellezza.
La costa scioscesa sotto Campiglia, all'inizio delle 5 Terre. Verso l'alto lo scoglio del Ferale, più sopra spuntano la Palmaria ed il Tino.
Ma per gran parte dell'anno ero preso dagli allenamenti al campo di atletica, essendo divenuto ben presto promettente giovane lanciatore. Divenni così abbastanza noto in ambito studentesco, per le svariate vittorie che riportai, sia in ambito provinciale, che regionale e perfino nazionale, a livello juniores.

E feci tante altre cose, anche se episodicamente: il corso di immersione subacquea con bombole ad A.C. con la Galeazzi (piccola industria spezzina specializzata nella fabbricazione di erogatori ed attrezzature varie per i sub, innanzitutto a livello professionale), con esercitazioni pratiche in zona Palmaria e
Il molo Italia, sulla destra era la canottieri.

Tino. Un pò di cannotaggio, trascinato dall'amico Marco Arcinotti, futuro comandante di marina, che non riusciva a trovare un suo pari peso per armare il "due con", su cui ambiva esercitarsi. Il nostro massacrante allenamento tipo era di partire dalla sede della Cannottieri, ingaggiando il vaporetto della Fitram in partenza per Lerici, che salpava dal molo li accanto, e "tenerlo" sino alla diga foranea, 4 km di vogate alla morte ! Quando alla fine arrivavamo esausti alla Baia Blu io pretendevo l'approdo, per potermi ristorare (e lavare l'abbondante sudore) con una nuotata.

Porto Lotti, sul lato est del Golfo interno

Oggi, da svariati decenni, su quella tratta c'è Porto Lotti, un moderno porto turistico per yacth di ogni tipo e misura, dove una ventina di anni fa, l'ultima volta che andai a La Spezia, fui ospite di amici, su di un bel 12 metri a vela, uno sloop, con il quale per alcuni giorni ci divertimmo ad incrociare le acque tra Bocca di Magra e le Cinque Terre. Occasione in cui ebbi l'esperienza marinara forse più notevole della mia (purtroppo) assai modesta vita nautica. Nel giro di un paio d'ore: 1) passando l'angusto stretto tra Portovenere e Palmaria fummo affiancati da una copia di delfini che ci scortò al largo per almento 2 miglia ! 2) A nemmeno cento metri assistemmo alle evoluzioni di un paio di grossi pesci spada, che saltavano ripetutamente fuori dall'acqua per l'altezza di svariati metri ! 3) Immediatamente alle nostre spalle, neppure 200 metri, udimmo un rumoroso, potente gorgoglio d'acque, seguito dall'emersione di un sottomarino della marina militare !
Il mitico promontorio di Portovenere, con la tipica chiesetta. A sinistra l'esiguo stretto che la separa dall'isola Palmaria. Nella parte bassa della foto, al di sotto di chi l'ha fatta, si trova la famosa "Grotta di Byron", il poeta inglese che con Shelley nell'ottocento fu tra i primi grandi estimatori del Golfo, che giusto in loro onore fu definito "dei poeti".

Un altro amico, un compagno di scuola, tale Arpe, mi convinse a partecipare alla locale scuola di recitazione della Filodrammatica del Dopolovaro dipendenti Marina. Mi piaceva e mi sentivo portato, ma ero troppo altrimenti già impegnato, per cui vi durai pochi mesi. Giusto il tempo di conoscere un giovane promettente attore, Giancarlo Giannini, tra l'altro primo cugino di Claudio
Il giovanissimo Giannini
Sottocorona, mio amico e compagno di allenamenti ed escursioni in atletica leggera. L'allora ventenne Giannini era già l'istrione del gran spettacolo di fine anno scolastico, che si teneva nella sala strapiena del maggiore teatro cittadino (mi sembra fosse il Monteverdi), la dove le ragazzine mugulavano osannanti alle sue performances d'imberbe (o quasi) giovanissimo mattatore.

Pur non essendo ricca La Spezia era ben dotata di numerosi teatri e notevoli sale cinematografiche, la dove ebbi modo di godere numerosi bei film di ogni genere, ma anche frequentare episodicamente l'Opera Lirica e la Rivista.
Notevole il museo navale della marina militare, non mancavano scuole superiori di ogni tipo, per l'università ci si recava a Genova oppure alla Normale di Pisa, ma molti invece optavano, come da tradizione locale, per l'Accademia Navale di Livorno.
La nave scuola Amerigo Vespucci, che ebbi più volte occasione di ammirare, ed una volta anche visitare, ancorata al molo Italia.
Le ragazze certamente non mancavano, e di ottima leva, ma purtroppo a quei tempi non c'erano molte occasioni di frequentazione. C'era anzi una vera e propria aprtheid sessuale, per cui al liceo non solo non esistevano classi "miste", ma addirittura le sezioni Femminile e Maschile erano materialmente divise, in ale diverse del  fabbricato, con ingressi separati.
Allora non c'era ancora l'uso delle festicciole in casa, tra giovani, per ascoltare la musica e ballare, iniziarono poco dopo. Le uniche occasioni che io ricordo, puramente fortuite, erano le gite in campagna, perlopiù a fine anno: se e quando capitava di incrociare una comitiva di studentesse si faceva comunella con loro, ballando al suono delle radioline a transistor.
L'inizio dell'alta costa delle Cinque Terre visto dalla loggia della chiesetta di Portovenere.

Nell'Autunno del 1961 l'ennesimo cambiamento di lavoro di mio padre ci allontanò definitivamente anche da questa bella città, trasferendoci nel mondo per noi completamente nuovo ed assai diverso del Veneto Euganeo, a Padova, città di "gran dottori", come recita un divertente adagio.
A La Spezia lasciai non poco di me stesso, molti amici e tanti luoghi bellissimi in cui avevo vissuto 5 anni favolosi della mia giovinezza. Venni via in uno stato vagamente confusionale, anche a causa di un esaurimento nervoso concomitante...
Per riprendermi completamente dal quale mi occorsero almeno otto mesi, riuscendovi nella nuova realtà di Padova e dintorni, in cui mi ritrovai poi totalmente immerso.
Padova  sarà la città del mio prossimo racconto.
Nella quale ritrovai episodicamente qualcuno dei vecchi amici spezzini, in particolare Fulvio Rossi, poi divenuto a sua volta "straveneto", causa nozze con leggiadra fanciulla locale, che nel Veneto si fermò definitivamente e ci vive da oltre mezzo secolo.
Panoramica della città, vista dall'aresenale militare.

Fine della seconda parte.

The lonely dolphin

p.s.: in particolare mi piace ricordare, oltre a quelli già nominati nel testo, i vecchi amici e compagni mai più rivisti da circa 50-60 anni, in ordine sparso: Carlo Sassi, Enrico Stellini, Tullio Torri, Osvaldo Rossi (poi ritrovato a Mestre negli anni'70), nonchè i miei allenatori, Bianchedi e Paganini, ed il domenicano Padre Masnovo, professore di religione con cui ebbi tanti apassionati scontri, io ateo dichiarato, in ambito teologico.