venerdì 29 giugno 2012

PERLE & PORCI


Foto di classe da Amarcord di Fellini

Perle e porci

Ora non saprei esattamente chi erano le "perle" e chi i "porci"...,
ma allora pensavo che, modestamente, le perle fossimo noi, gli alunni della scuola istituzionale, tali perlomeno nel nostro potenziale di apprendimento e di sviluppo culturale, se ed in quanto adeguatamente edotti ed indirizzati.
I porci erano in gran parte coloro che avrebbero dovuto coltivare al meglio quelle perle, sfruttandone l'elevato potenziale assai più di quanto in realtà non accadesse. Con le dovute eccezioni, sia di perle che di porci.
Con la prof di matematica in Amarcord
Quando ormai più che trentenne vidi per la prima volta il film di Fellini, il mitico "Amarcord", subito mi identificai nel ritratto da lui fatto del vecchio ginnasio Riminese d'epoca fascista, con professori cialtroni e totalmente inadeguati alla loro missione e studenti tra la canaglia e l'imbranato, resi sicuramente tali dalla dissociazione per un sistema assolutamente incapace di coinvolgerli. (v. breve episodico filmato in calce a questo post)

I ginnasiali, "perle" nel film di Fellini.
A ridimensionare almeno in parte questa valutazione debbo aggiungere che probabilmente io fui quasi sempre elemento atipico, avente caratteristiche
particolari, difficile da inquadrare nel sistema in vigore.
Avevo infatti ricevuto dai miei genitori un'educazione molto liberale, più improntata alla logica che non al formalismo gerarchico dell'accdemia, nella quale non mancava la disciplina ed il senso del dovere, ma abbondavano anche il diritto di replica, la possibilità della discussione e della verifica critica delle regole e delle norme di base.
Ero inoltre dotato di fertilissima fantasia, pressochè sfrenata, che mi portava facilmente ad "assentarmi" dalle lezioni in corso..., sopratutto se scarsamente avvincenti, com'erano di fatto la maggior parte di quelle impartite da  insegnanti assai più pedanti, noiosi e ripetitivi che non avvincenti e motivanti.
Come se ciò non bastasse fui sovente e per lunghi periodi travagliato, distratto
e fisicamente assente da scuola per gravi motivi di salute o per continui trasferimenti della mia famiglia in città ed in ambienti diversi, in cui ogni volta occorreva riambientarsi, ritrovare coesione, amicizie, punti di riferimento.

Comunque fosse io infine giunsi alla conclusione, con la maggiore età, che il tempo trascorso sui banchi di scuola era stato per me in gran parte tempo perso: giusto le perle buttate ai porci !
Quello che sapevo, ciò che avevo veramente imparato ed appreso e che sentivo maggiormente valorizzarmi, era in realtà soprattutto conseguente il mio essere fondamentalmente autodidatta.
In effetti le circostanze di vita sudette ed altre ancora mi avevano indotto ad una precoce maturazione: avevo sempre letto moltissimo, di tutto e di più e la mia forte, innata curiosità era stata in gran parte soddisfatta, ma sopratutto in ambiti extrascolastici ed in funzione di amicizie e frequentazioni di giovani
normalmente di età maggiore della mia, nonchè di adulti.
Ciò che mi era  facilitato dal fatto di dimostrare spontaneamente più anni di quelli avessi ( a 15 anni ne dimostravo tranquillamente 18 e a 18 assai più di 20).

Alle scuole elementari avevo avuto un curriculum abbastanza normale, con l'unico problema che frequentando un Istituto religioso con docenti preti, mi trovai a subire un fortissimo condizionamento confessionale: un'ora di catechismo tutte le mattine (se fosse stato dedicato alle "lingue" ne avrei imparate almeno tre, fluentemente), frequenti messe, per cui ero chiamato spesso a fare da chirichetto, confessione, comunione e cresima giocando in casa, all’interno dell’Istituto...
l'Istituto Champagnat di Genova Albaro

A 8 anni ero fermamente deciso che da grande mi sarei fatto prete.
A 9 anni soffrii terribilmente la consapevolezza di essere caduto in un inconfessabile "peccato mortale" (vedi "la mia prima volta" su questo stesso blog).
A 13, 14 anni mi fù chiaro che ormai la mia anima era destinata all'inferno:
A 15 finalmente avevo realizzato che in realtà non esisteva quel dio crudele che tanto
mi angustiava e faceva soffrire, condizionandomi con i suoi dogmi: era la mia conquista di ateismo illuminista volterriano.

Passato brevemente alla scuola pubblica, in seconda media (Istituto Pascoli di Genova) ebbi giusto il tempo di attirare su di me le filippiche di una tremenda virago, professoressa di lettere, che mi insultò pesantemente davanti a tutta la classe per il mio essere costantemente distratto, definendomi alla stregua di"un lavativo, mangia pane a tradimento, che andassi a lavorare, che sicuramente non ero fatto per studiare !"
Era solo l’inizio dell’anno scolastico, non volli più tornare in quella scuola.
Nè potei tornare in alcun'altra, per più di un anno, dovendo di li a poco affrontare la peggiore e più significativa (ma fortunatamente infine risolutiva) delle mie esperienze di ammalato grave.

In terza media arrivai a 14 anni, avendo quindi perso un anno per malattia.
Dimostravo 16-17 anni, essendo un giuggiolone di un metro e ottanta per ottanta chili (giusto allora iniziai a far pugilato nei mediomassimi, di nascosto dalla mia famiglia).
Davanti all'ingresso della scuola media c'era anche il liceo, dove si presupponeva io andassi e mi vergognavo come un ladro a varcare invece il portone delle medie, in mezzo a ragazzini più piccoli di me mediamente almeno una spanna.
In classe era perlopiù la noia totale. Per fortuna fuori trovavo l'evasione dello sport, prima il pugilato, poi il basket ed infine il nuoto ed il rugby, dove mi accompagnavo a ragazzi della mia età apparente, cioè tra i 17 ed i 20 e passa anni.
I quali poi esclusivamente frequentavo nel tempo libero.
Tanto tempo, che facevo in modo di trovare in abbondanza assentandomi in ogni possibile circostanza da scuola. Già all’inizio dell'anno l’edificio scolastico fù dichiarata inagibile per via dei muri pericolanti (evviva!)…e quando poi trovarono ambiti alternativi in cui proseguire le lezioni io riuscii a beccarmi una pesante intossicazione avendo assorbito nel sangue, col sudore, i coloranti della tuta da ginnastica..., ciò che mi costrinese ad assentarmi pressochè sino al termine dell'anno scolastico. Non essendo quindi in grado di partecipare agli esami di terza media venni automaticamente rimandato a Settembre in tutte le materie.
Onestamente non feci poi gran che per riparare: passai l’estate a nuotare in quel di Santa Marinella, ad allenarmi per le gare di nuoto a Civitavecchia (una volta mi capitò di gareggiare anche, io ultimo dei pivelli, contro Giancarlo Pedersoli, al secolo Bud Spencer, allora fenomeno del nuoto Italiano) e spesso la sera lavoravo nella bella, moderna ed accattivante Sala Attrazioni che mio padre aveva aperto con successo accanto al cinema principale di Santa Marinella, sull’Aurelia.
Giancarlo Pederzoli poi Bud Spencer

Ero addetto al tirasegno, ma qualche volta anche alla cassa (mio padre in quella lunga estate dovette forzatamente assentarsi per circa un mese ed anche il mio aiuto ebbe la sua importanza).
Studiavo svogliatamente a casa, nei pomeriggi assolati, sotto l’occhio indulgente di mia nonna Gisella, spesso distratto da mille visioni, come quella di Scilla, procace ragazzina quindicenne che spopolava al Lido di Santa Marinella, ma soprattutto popolava le fantasie concupiscenti mie ed altrui… L’amavo alla follia !
Anch’io come molti altri…, ma non avevo neppure il coraggio di parlarle, imbranato com’ero.
Non bastassero le mille altre fantasie, a distrarre la mia mente, fervida di sogni ed avida di avventure, ci mancavano le visioni di lei a distrarmi, sculettante in bichini tra le onde, mentre correva nella spuma del mare, sulla riva del Lido !
Scilla, così come la vidi la prima volta

Ciònondimeno misi a punto la mia bella strategia per gli esami di riparazione: sapevo che le prof mi aspettavano al varco, soprattutto quella di lettere e di matematica e mi avrebbero chiesto di certo le cose più difficili.
Nel programma di esame d’Italiano c’erano una decina di poesie da mandare a memoria, ma l’osso di gran lungo più duro era Manzoni, il 5 Maggio, lunghissima ode a Napoleone, difficile da ricordare e da recitare.
In matematica l’osso era la formula algebrica del quadrato di un binomio…, non avevo mai capito a che cavolo servisse !
Pazienza, preparai al meglio quelle e poche altre cose.
In sede di esame l’arpia di lettere mi sparò subito a zero: “Il 5 Maggio” !
Ed io la sbalordii, partendo senza battere ciglio, sicuro ed inesorabile, non solo, ma con dizione quasi perfetta, enfasi giusta, da consumato attore, rispettando tempi e pause: “Ei fù, si come immobile, dato il mortal sospiro, stette…la spoglia immemore, orba di tanto…”, fino alla fine, senza perdere una virgola !
Ma per l’Arpia fù facile “vedere” se quello fosse il mio unico asso…
Bene, ora recitami “L'infinito”. Con Leopardi ero più scarso, ma se pure con qualche incertezza arrivai in fondo “Sempre caro mi fù quell’ermo colle, ove lo sgardo…”. Ma la vigliacca porca mi chiese ancora altre poesie a memoria, non ricordo quali, che io proprio non avevo mai studiate.
E così fù, più o meno, anche nelle altre materie.
Esito agli scrutini: “bocciato”.
Il prof di greco in Amarcord
Del resto tutto congiurava in quella direzione, compreso mio padre, che chiamato a colloquio dalla professoressa di lettere già durante l’anno scolastico, alle di lei rimostranze circa il mio palese assenteismo, tale anche quando non “bruciavo”ed ero formalmente presente in classe, ma quasi totalmente assente con la mente, lui, mio padre, riuscì a dirle, con disarmante senso di complicità nei miei confronti:”si signora, me lo immagino bene, anch’io a scuola ero proprio così, come mio figlio”…
Episodio che mi fù raccontato dal prof. Tinari, mio ripetitore, ottima persona, molto intelligente, che dichiaratamente mi considerava assai più maturo dei miei anni e dei miei scadenti esiti scolastici, il quale ebbe a riferirmi l’episodio, essendone venuto a conoscenza tramite una prof sua collega, già suplente di francese nella mia classe.
Una confidenza del genere tra professore ed allievo, sopratutto a quei tempi costituiva fatto assolutamente atipico ed io la considerai con senso di orgoglio rispettoso.
Non ne parlai mai a mio padre, sarebbe stato imbarazzante per entrambi…


Io comunque a quella scuola non ci torno più ! 
Ebbi di nuovo a ribadire.
La mia presa di posizione era ovvia ed ineluttabile e molto probabilmente condivisa dai miei genitori. Così mi accinsi a fare il biennio di recupero, per presentarmi poi all’esame di ammissione al secondo anno superiore.
Fui indirizzato verso il maestro Setaccioli, preside delle elementari, figura storica dell’educazione scolastica nell’ambito Civitavecchiese.
Profondo conoscitore di molte materie, dotato di grande carisma e strabordante personalità, nonché forte verve umoristica, che con l’aiuto di sua moglie, professoressa di matematica, si dedicava con impegno al recupero delle "perle", cioè dei più“somari”infortunati della scuola.
Con lui riuscii ad applicarmi, a concentrami sugli studi, anche perché era in grado di catturarmi quando tendevo ad evadere: riusciva a trovare argomenti ed esortazioni adatte ad intressarmi e coinvolgermi. Assai meno la moglie, la cui materia, matematica restava per me aridamente ostica.

Ma pochi mesi dopo, dalle parti di Natale 1956,con la famiglia lasciammo Civitavecchia per tornare in Liguria, a La Spezia, dove mio padre aveva altre, sempre nuove…prospettive di lavoro.
Ed a La Spezia continuai gli studi all’IPAS, scuola specializzata nel recupero degli anni scolastici. Li trovai anche un prof. Napoletano, tale Jaccarino, dall’aria squisitamente arguta e disincantata, che stranamente riuscì a farmi finalmente imparare anche la matematica !
Ma soprattutto avevo infine maturato una capacità di concentrazione ed una determinazione per lo studio come non avrei mai creduto possibile.
Giunsi così all’esame di privatista preparatissimo e fui promosso a Giugno con la media del sette e mezzo !
E fù un vero peccato che io non continuassi a studiare così, come privatista, un biennio via l’altro, come per altro avevo proposto ai miei genitori di sponsorizzarmi a fare. Sono convinto che in quel modo a 22 anni mi sarei brillantemente laureato !
Io amavo lo studio, il sapere, la conoscenza, l’apprendere continuamente nuove nozioni e concetti, maturare sempre nuove esperienze didattiche…Lo studio non mi pesava affatto.
Ciò che invece non sopportavo era la “scuola”!
Non tolleravo l’incedere perolpiù noioso, farraginoso, talora spocchioso della maggior parte dei docenti, i loro pedanti e lenti ritmi, infarciti di saccente burocratese, il nozionismo ad oltranza, per cui erano le formule e le date da ricordare gli elementi di principale rilevanza, non il loro significato, né le motivazioni inerenti.
Per carità, ogni tanto ma raramente capitava che in cattedra arrivasse anche un autentico missionario del vero sapere, una fonte illuminante capace persino di tentare di far funzionare le nostre povere menti allo sbaraglio.
Ma in assenza di rari, fortunati accadimenti del genere, io preferivo fare da solo…Autodidatta ! 
Datemi un buon libro di testo e quello sarà il mio miglior docente !
 
Così, tornato ai banchi di scuola delle superiori, divenni presto di nuovo preda delle mie fughe di fantasia, delle mie evasioni forzate, via dalla noia che emanava dalle cattedre professorali. In talune circostanze divenni anche un “contestatore” ante litteram. Tra gli altri mi capitò infatti un insegnante di Matematica e Fisica che non conosceva affatto le materie che avrebbe dovuto insegnare. Era un maestro Calabrese che aveva, poi seppi, in qualche modo…conseguito una laurea. Insegnava unicamente con l’ausilio totale dei libri di testo e dei temi svolti. Ad un compito in classe di geometria mi dette l’insufficienza perché io avevo risolto il problema in un modo corretto, ma diverso da quello previsto dal suo “breviario”.
Non accettando le mie proteste mi costrinse ad andare dal Preside che si trovò nella incresciosa situazione di dovergli dare torto.
Allora, per vendicarsi, non trovò di meglio che interrogarmi in Fisica durante una sua ora di supplenza ! Io ovviamente rifiutai l’interrogazione, per la quale non potevo essere preparato in una data che non prevedeva tale materia. Lui mi assegnò linsufficienza ed io tornai dal Preside che questa volta, obtorto collo, la convalidò !
Così fui rimandato in Fisica, materia che io amavo particolarmente ed in cui ero sempre preparatissimo.
A Settembre giunsi all’esame senza aver aperto il libro ed ebbi la sosrpresa di essere interrogato da altri docenti (sicuramente c’era lo zampiono del Preside), al cui interrogatorio risposi esaurientemente e senza indecisioni, così che mi assegnarono un meritato sette e mezzo.
Sopra: domenicano. Sotto: Bertrand Russel

Ma alla lunga dovetti soccombere alla noia ed alla burocrazia scolastica.
Riuscii a durare tre anni grazie ad alcuni estimatori che avevo tra i prof: quello di Religione, un Domenicano appassionato che mi aveva convinto a frequentare le sue lezioni, io, ateo dichiarato ed unico esonerato di tutto l’Istituto (con l’eccezione di un mio amico ebreo, insieme al quale inizialmente uscivo dall’aula quando entrava il prete). Ma padre Masnovo non era un prete comune, era un vero filosofo con il quale io potevo animare la lezione di religione dibattendo i temi più scabrosi ed inusitati,
delle fede, della morale, dei costumi culturali.
Quella di religione divenne per me l’unica ora interessante, alla quale mi preparavo
sui testi di Bertrand Russel, con divagazioni che toccavano quasi ogni tema, dalla “rescerche” di Proust alla “Pelle” di Malaparte, dalla chiusura delle case di tolleranza (era giusto il peiodo della famigerata Legge Merin), a “La dolce vita” di Fellini, il film epocale del 1959, uscito in Italia tra mille polemiche e contestazioni.

Mi voleva bene anche il prof di Chimica, Paganini, non perché io brillassi particolarmente nella sua materia, ma perché lui era appassionatissimo di sport.
Ed io ero allora divenuto fulgido campioncino di Atletica Leggera, vincendo per due anni consecutivi i campionati studenteschi provinciali nei lanci e classificandomi al secondo posto ai campionati Italiani. In Atletica ero fondamentale elemento portante dell’Istituto, ciò che coinvolgeva anche la partecipazione del
Preside ad essere dalla mia parte.
Non parliamo poi di Bianchedi, il mio prof. di educazione fisica ed allenatore, dirigente della squadra federata in cui regolarmente gareggiavo e della quale ero ugualmente elemento di primaria importanza, unico ripetutamente convocato agli allenamenti collegiali nazionali della FIDAL !
Ma la prof. di Inglese, la perfida ed acida Moi, me l’aveva giurata contro ed aveva così minacciato il consiglio dei professori: “quest’anno mi prendete per fame (data l’ora avanzata degli scrutini), ma l’anno prossimo mi porto i viveri”…
Io nutrivo per lei la stessa forte, innata antipatia che lei aveva per me ed ebbi il torto di sottovalutarla. Così alla fine del quarto anno, dopo avermi rimandato riuscì infine a farmi bocciare !
Probabilmente io lo meritavo anche, ma non perché fossi alieno all’apprendimento della lingua o comunque estraneo alla sua conoscenza: io semplicemente non accettavo lei come docente, non la sopportavo e ciò sicuramente trapelava anche dal mio spavaldo modo di fare…Non accettavo il suo modo di insegnare, di proporsi, di “educare”…
Ma la Prof in cattedra, che mi piacesse o meno era lei !

Io a quella scuola non ci torno !
Di nuovo la storia si ripeteva…era il mio destino di essere ricorrentemente alle prese con i bienni di recupero…
 
Ma alla fine, in qualche modo, ebbi un diploma superiore, se pure dovetti promettere al prof di Ragioneria che mai avrei fatto il Ragioniere…
Ed in effetto ho sempre mantenuto quella promessa, essendo fondamentalmente con lui d’accordo di non essere assolutamente portato alla materia.
Feci sempre tutt’altro, tranne che per brevissimi peiodi, costretto più dalla fame che dall’opportunità di avere un lavoro qualunque !
Mi iscrissi invece a Statistica, all’Università di Padova, dove ebbi le mie piccole soddisfazioni, superando sempre o quasi con facilità gli esami del primo biennio.
Ovviamente in quanto autodidatta, senza mai o quasi partecipare alle lezioni.
A Padova allora c’era solo quello, per continuare avrei dovuto andare a Roma, ciò che non potevo assolutemente permettermi di fare essendo io necessariamente nella condizione di dover lavorare per potermi mantenere. 

Uno dei lavori che feci in quel periodo fù anche quello di insegnante, docente con incarichi e supplenze di educazuine fisica e di matematica, nonchè ripetitore privato di materie varie. Attività nella quale fui perfino apprezzato.

Ma il coronamento della mia corriera di studente allievo refrattario e contestatore della scuola lo ebbi poi come capo ufficio addestramento della multinazionale petrolifera in cui poi mi trovai a lavorare, incarico al quale fui promosso in seguito a precisi risultati ottenuti sul campo, grazie alla mia capacità di insegnare agli altri, coinvolgendoli ed entusiasmandoli, organizzando corsi ricchi di motivi d’interesse, inventandomi strumenti audiovisivi e scrivendo manuali d’addestramento per quanto possibile accattivanti, ameni e non noiosi.
Per gli aspetti commerciali facevo riferimento ai metodi già felicemente sperimentati dagli americani USA, per quelli tecnici mi sobbarcavo le pesanti lezioni dei nostri  pedanti ingegnieri, che poi facevo il massimo sforzo per rendere comprensibili e perfino divertenti ai miei allievi.

In altri termini cercai sempre di coltivare “perle”, nel senso di nozioni ed allievi, più che non allevare“porci”. E se almeno in parte ci riuscii fù soprattutto in funzione della mia precedente, assai sofferta  e diatribata esperienza scolastica e studentesca.

L’asino che scrive.