sabato 14 maggio 2011
PERICLE, l'uomo che visse più volte 5^ Parte
(nella foto Wisky, il cagnolino di Lidia, rimasto "orfano" e adottato da Elisabetta)
Lidia morì alle 22 e30 di Sabato 3 Marzo 1974, non aveva ancora 54 anni.
Da anni ormai accusava malori in zona fegato adome, ma senza una diagnosi certa. Il medico che la seguiva riusciva a riempirla di medicine, assecondando la spiccata tendenza ad abusarne che Lidia aveva sempre avuta.
Io credo che alla fine lei fosse intossicata dai farmaci nel corpo e di ...stress antichi e recenti, accumulati, stratificati nella mente, nell'anima...
Per capire come una donna fondamentalmente forte e sana avesse potuto soccombere al cancro cercai negli anni successivi di documentarmi e trovai sopratutto un autore, un medico di vasta fama e conoscenza, Lorenzo Speciani che indicava l'ipotesi psicosomatica come causa scatenante, portando tutta una serie di documentazioni, anche a livello statistico, nei sui testi divulgativi: "L'uomo senza futuro" e "Di cancro si vive".
L'argomento è stato recentemente ribadito ed ampliato da un altro grande medico, il prof. Soresi, nel suo "Il cervello anarchico": grande divulgatore della "neuropsicoendocrinologia", la medicina del futuro, che fà sopratutto riferimento all'anima ed ai suoi disturbi come fattori scatenanti di ogni malattia, o quasi...
Molto semplicemente la tesi è questa: noi ci ammaliamo sopratutto o solo quando vengono meno le nostre difese immunitarie, ciò che accade quando subiamo forti stress che alterano il funzionamento del nostro sistema endocrino immunitario, la cui gestione ha sede nell'Ipotalamo, ghiandola fondamentale sita alla base del cervello, non a caso nota anche come...
"la sede dell'anima"!
E Lidia di stress aveva sicuramente fatto il pieno...così come di troppe medicine.
Sei mesi prima di morire, con Pericle ci vennero a trovare a Montegrotto, vicino a Padova, dove ancora abitavamo. Erano appena stati a Chianciano per curarle il fegato…Lei sembrava ancora una ragazzina, più che la nonna di ben 5 nipotini !
Poi il rapido sopravvento del male, l'ipotesi di calcoli alla cistifelia da cui l'ittero sopravvenuto, l'intervento...”aperta e richiusa”...senza nulla ormai poter fare !
La notte prima del quale trascorsi senza riuscire a chiudere occhio al Motel Agip di San Donato Milanese, con il presentimento del peggio.
La mattina dopo telefonai e seppi dell'infausto esito. Mi precipitai a Genova, all'ospedale San Martino, dove incontrai Pericle che, tra le lacrime mi aggiornò. Non l'avevo mai visto piangere e mi appartai nel viale adiacente per farlo a mia volta. Stavo singhiozzando disperato quando mi raggiunse lo zio Piero, per consolarmi e sopratutto per suggerirmi di ricompormi, se volevo vedere Lidia senza allarmarla troppo. Piero era sensibile e spesso presente nelle varie incombenze delicate.
Riuscii ad incontrarla più tardi: lei sicuramente sapeva, ma...non doveva sapere...Iniziò così la breve, patetica e dolorosa e tipica sceneggiata del facciamo finta che non sia, ma non facciamoci ancora più male del tantissimo che già ci tocca, ignoriamolo il maledetto, esorcizziamolo e forse riusciremo a superarlo..., in qualche modo.
Pericle arrivò al punto di farsi "prestare" dei grossi calcoli, appena estratti dalla cistifelea di una paziente vicina di letto, per esibirli a Lidia, come prova del buon esito dell'intervento da lei subito.
Ma il cancro al Pancreas allora era morte sicura e rapida, sopratutto se poi degenerato in metastasi ! Nei giorni successivi arrivò anche Mario da Padova ed insieme decidemmo di non arrenderci comunque, di provare il tutto per tutto: a Massa Carra c'era il dott. Azzolina, allora famoso e contestato innovatore di cardiochirurgia, appresa negli Stati Uniti. A Battipaglia c'era un certo dott. Bonifacio, veterinario che aveva escogitato un siero, derivato dalle capre, che in molti casi sembrava aver fatto miracoli..Noi subito partimmo per entrambe le direzioni, sorretti dalla speranza che residua alla disperazione.
Azzolina a Massa non c’era, risultò essere in America: parlammo con il suo assistente primario, che ci aggiornò: negli USA stavano tentando il trapianto di Pancreas, ma la tecnica era ancora tutta da verificare...Lui (eretico!) ci consigliava di tentare il siero Bonifacio...lo avremmo dovuto trovare in Svizzera, in Italia ne avevano…ovviamente proibita la vendita...
La sera stessa eravamo a Locarno, dove ci era stata segnalata la farmacia più probabile, ma dove imparammo che non lo ricevevano più e ci consigliarono di contattare direttamente il dott. Bonifacio, fornendoci il suo numero di telefono.
Era l'ora di cena: chiamammo subito Battipaglia e ci rispose lui, Bonifacio, cui spiegammo sommariamente il nostro problema: vi aspetto domattina, ci disse semplicamente.
Alternandoci alla guida della Mercedes di Mario guidammo tutta la notte, arrivando verso le sei a Battipaglia, a Sud di Napoli e Salerno, subito prima di Eboli, dove anche il Cristo di Levi si era fermato…
Alle sei e trenta fummo i primi a presentarci al portiere del palazzo dove alloggiava Bonifacio. Intuimmo che era lui a "gestire" gli incontri e gli sganciammo mancia più che cospiqua, divenendo automaticamente i primi della lista d’attesa, che poi verificammo assai lunga (c'era gente arrivata appositamente perfino dal Sud America!).
Verso le otto il portiere compiacente, ci avvertì che potevamo salire, ma fummo subito scortati da due guardie municipali (!?) che Bonifacio fece entrare insieme a noi.
Lui era l'omino datato ed emaciato che avevamo tante volte già visto in televisione e sulle pagine dei giornali, osannato dai pazienti in qualche modo miracolati, contestato dalla scienza ufficiale, a partire dal grande barone della farmacologia Italica, Silvio Garattini: come può un pedestre veterinario pretendere di aver sconfitto il male del secolo, contro cui tutte le più grandi e patentate menti della Scienza ufficiale si stanno invano prodigando da decenni !?!
Ci fece accomodare al tavolo di un’ ampia sala, i due pizzardoni in pedi accanto a noi, zitti a controllare che non avvenissero "movimenti di denaro" (questa ipotizzammo era sicuramente la loro funzione), anche perché a Bonifacio era stata inibita la vendita del siero, ma lui restava libero di donarla a chi gliela richiedesse.
Volle sapere di Lidia, del suo male e di come fosse stato trattato: ci diede poche speranze e con quelle una boccetta di siero, con le istruzioni per l'uso. Ci disse infine che ci avrebbe raggiunto al bar sottostante per prendere un caffè, dopo aver liquidato i due testimoni silenziosi.
Arrivò subito dopo, offrì lui il caffè e noi ci domandammo se non era quella l'occasione per passargli del denaro, ma data la presenza di tanta gente e la mancanza di segnali, ancorchè sottintesi, da parte sua, ci astenemmo imbarazzati.
Ci salutò infine, con la richiesta: fatemi sapere.
La sera stessa arrivammo a Genova, alla clinica Montallegro dove nel frattempo Lidia era stata trasferita e fù Pericle ad iniettarle il siero, il personale della clinica avendo rifiutando con dignitoso rispetto l'uso dell'eretico pseudofarmaco...Ma era anche giustamente un problema di responsabilità.
L'unico esito, se fù tale, è che Lidia non ebbe più bisogno di morfina.
Forse perchè nel frattempo era entrata in coma (ma io ebbi sempre il dubbio che lei volesse ormai negarsi all'imbarazzante nostra presenza e desiderasse ormai solo morire in pace, così, discretamente).
Ciò che avvenne qualche giorno dopo.
Sabato sera arrivai a Genova, Wanda ed i bambini erano già lì, a casa di Pericle.
Che io rilevai all'ora di cena dal capezzale di Lidia, accanto alla quale rimasi, stringendole la mano, intuendo l’imminente epilogo…
Verso le dieci il medico di turno la vide e mi confermò che eravamo alla fine...
Chiamai subito Pericle, che stava già partendo per raggiungerci insieme ad Elisabetta e Mario, nel frattempo arrivato da Padova.
Eravamo tutti intorno al suo letto, io le stringevo ancora la mano quando avvertii una scossa, con un breve tremito di tutto il suo corpo, sembrava che Lidia stesse risvegliandosi, invece stava solo addormentandosi definitivamente…per sempre.
Prove scientifiche avrebbero dimostrato il peso dell'anima pari a 30 grammi...e sembra sia quello il peso che improvvisamente esala dal corpo al momento del decesso: io credo che avvertii fisicamente quel minimo, ma...enorme calo ponderale...
Ma le illusioni, sopratutto in certi casi, sono sempre in agguato.
"Se nè andata" dissi semplicemente agli altri presenti.
Pericle pianse e Mario scoppiò letteralmente in lacrime, anche lui per la prima volta che ricordavo da quando eravamo bambini (e lui non era mai stato un piagnucolone)
Elisabetta singhiozzava disperata. Io avevo già versato tutte le mie lacrime alla notizia dell'esito infausto dell'intervento, del resto per me Lidia era già mancata in quel momento, dopo era stata pura formalità.
Non lo fù invece informare i vecchi bisnonni, Federico e Gisella, del decesso della loro giovane, unica, bella e carissima figlia...
Ma dopo tre giorni , a funerale avvenuto, fummo tutti insieme, capaci ancora di consolarci festeggiando il quinto compleanno di mia figlia Valentina: è proprio vero che figli e nipoti sono la grande consolazione per coloro che "rimangono"...
Pericle era dunque inaspettatamente vedovo, esacerbato nel dolore più grande possibile per la perdita della cara, amatissima, insostituibile compagna di una vita, madre dei suoi quattro figli, compagna di tante avventure e di troppe ...disavventure.
Per la sofferenza che a Lidia procurarono lui ebbe sicuramente infinite occasioni di pentirsi ed amaramente rammaricarsi...
Ma il racconto di Pericle non finisce qui: lui sopravisse a Lidia per altri dodici anni, durante i quali riuscì, nonostante tutto, a dimostrare ancora una volta che…
il lupo perde il pelo, ma non il vizio...!
A Genova rimase solo, troppo solo. C’era è vero Elisabetta, molto presa a consolare i vecchi nonni ed assai già coinvolta nelle curve di un matrimonio che datava da neppure un anno, ma già si palesava assai arduo da gestire, con una suocera regina madre invadente e supponente, uno suocero che non le era da meno ed un marito principe consorte, tanto succubo dei genitori e bamboccio nelle loro mani quanto carino, di nobile aspetto, elegante, formalmente ineccepibile, nonché assai dotato economicamente.
Al matrimonio, celebrato con il dovuto sfarzo nella millenaria chiesetta della Ruta, sopra Camogli, da dove poi i novelli sposi partirono in crociera sul bellissimo sloop, vela di dodici metri proprietà dello sposo, tra i parenti “poveri” ci fù chi azzardò un pronostico terribile, ma solo sussurandolo a sua moglie che poi potè sempre testimoniarne
l’originalità: io, che dissi: questo matrimonio non duerà più di due anni.
Motivando: io conosco troppo bene mia sorella, lei è in realtà uno spirito troppo orgoglioso e forte, un carattere troppo indipendente per sopportare un marito ancora avviluppato nella placenta materna, pedissequamente manipolato da un padre padrone che usa ad oltranza guanto di velluto, imbottito dell’ovatta più morbida, ma al cui interno c’è un rigido pugno d’acciaio dotato di artigli di tungsteno…e tanta acidità in esalazione…
Mi era poi chiaro che Elisabetta l’avesse scelto, fra i tanti non meno dotati perché era stato il solo a non sbavarle dietro. Non per astuto calcolo (in amor vince chi fugge), bensì per banale incapacità di misurarsi con gli altri, cioè di mettersi in gioco.
Ed infatti, come nelle previsioni, il primo matrimonio di Elisabetta si concluse, assai movimentatamente, un anno dopo, o poco più.
Lei orgogliosamente rese alla famiglia del marito ciò cui più di ogni altra cosa ambivano: l’esonero da qualsiasi dazione economica: per grandissima fortuna non c’erano figli e l’increscioso episodio cadde presto nell’oblio. Dopo qualche anno fù come non fosse mai accaduto !
Ma Pericle a quei fatti non fù fisicamente presente.
Mario nel frattempo realizzva exploit notevolissimi nel suo lavoro: a Padova aveva trasferito il suo negozio di mobili “Vassallo Arredamenti” in un ambito assai più ampio e prestigioso, in centro di Padova, dove presto fù il più grande e di maggior prestigio e quello che infine durò più a lungo.
Stava inoltre programmando l’apertura di altri negozi a Bolzano e, mi sembra, a Trieste, dove già aveva diversi clienti. Naturalmente il tutto corredato da ampio magazzino e adeguato laboratorio.
Così ebbe l’idea di coinvolgere Pericle nelle sue attività, chiamandolo ad aiutarlo ed all’occorrenza sostituirlo durante le sue numerose assenze.
Pericle era ancora giovane ed assai valido. Era suo padre e perciò il massimo in quanto ad affidabilità nel ruolo di fiducia. C’era inoltre l’opportunità di allontanarlo da Genova dove ormai faceva più che altro la spola tra il Salone Alfa Romeo dove era un mero venditore ed il cimitero di Staglieno…
Fù così che Pericle, dopo dieci anni tornò a Padova. Là c’ero anch’io, con famiglia, ma ci sarei rimasto ancora solo per qualche mese, poi definitivamente trasferito per lavoro nella lontana Brianza Comasca.
E per l’ultima volta, incredibilmente la storia si replicò.
Come avrò modo di raccontare nella prossima, ultima parte.
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