giovedì 26 maggio 2011

PERICLE, sesta ed ultima parte

PERICLE, l'uomo che visse più volte


PERICLE sesta ed ultima parte.

(nella foto Lidia e Pericle con l'autore del racconto, Genova 1942)


Come al solito Pericle a Padova partì alla grande, familiarizzò velocemente con il nuovo tipo di lavoro, prese in mano molte iniziative conducendole al meglio, si accattivò molti clienti vecchi e nuovi…Presto in diversi pensarono che fosse lui il vero titolare della Ditta “Vassallo Arredamenti”…
Arrivò a pensarlo anche il Fisco, da sempre sulle sue tracce e per Mario fù dura e costosa (leggi: avvocati…) la dimostrazione che così non era.
Assai più costosi furono gli ammanchi che di lì ad un paio d’anni Mario assai dolorosamente, in tutti i sensi, ebbe a rilevare, causati da…indebiti Prelievi di Pericle.
Ammanchi nell’ordine di molti milioni di lire !
All’inguaribile, inalienabile propensione al gioco d’azzardo si era allora aggiunta una grossa motivazione scatenante: Pericle si era risposato !
Aveva quasi vent’anni meno di lui e sembra l’avesse conosciuta in quanto già cliente...morosa del negozio di mobili: andò a casa di lei per sollecitarne i pagamenti e…finì con allargarne a dismisura la posizione debitoria…Galeotto fù il credito e chi ne tentò l’incasso invano…
Io resto convinto che però lui già la conoscesse e l’avesse…frequentata dieci anni prima, quando vivevamo a Padova, a nemmeno cento metri da dove lei abitava…
Resto convinto che fù un “revival”, probabilmente occasionale, ma sicuramente scatenante: Pericle aveva 56 anni, nonostante tutto ben portati e sicuramente molte “cartucce” in canna ancora da sparare…Era e si sentiva solo, libero e bisognoso di consolazione. Lei non era certamente al suo livello di educazione ed intelletto, ma sicuramente gli rendeva molto bene in quanto a glamour e tenerezza.
Fummo tutti contenti della novità !
Almeno finchè non saltarono fuori le magagne finanziarie.
Mario mi chiamò per aggiornarmi della disastrosa situazione e non potei che essere solidale con lui sulla tristissima opportunità di allontanare definitivamente Pericle da ogni attività collaborativa. Non ricordo una decisione tanto sofferta, pietosa ma d’inesorabile determinazione !
Ci fù poi un incontro a quattro a Genova, in casa di Edilio, con Mario ed io stesso (non ricordo se ci fosse anche Elisabetta), in occasione del quale ci sprecammo in patetici ed assurdi quanto inutili predicozzi al suo indirizzo…Di quello che io dissi nell’occasione ebbi poi a rammaricarmi: per quanto dovuto era semplicemente inutile ed impietoso, un mero sfogo che avrei fatto meglio a trattenere.

Così Pericle, al giro di boa dei sessant’anni, si trovò di nuovo in braghe di tela, e con una moglie appena quarant’enne a carico.
Cercammo comunque di aiutarlo (spiccioli), ma alla fine riuscì nel breve, come al solito ad aiutarsi da solo !
Aveva ormai raggiunto il gradino più basso della sua discesa agli inferi, e l’ennesimo lavoro che trovò, per quanto decisamente umile per lui, fù di nuovo tanta manna dal cielo, data la sua situazione.
Questa volta fù un altro vecchio amico ad offrirgli una possibilità di sopravivenza, il itolare della Letterfix, primaria azienda nel settore dei sistemi autoadesivi di scrittura e segnalazione, al condurre la quale era ormai il figlio. Pericle entrò nell’organizzazione commerciale come ispettore venditore e come al solito ottenne presto dei buoni risultati. Il lavoro non era un gran che, ma gli offriva discreti ricavi e libertà di movimenti, in ogni caso riuscì a farselo bastare, sembra questa volta senza combinare altri pasticci. Sicuramente ogni tanto andava a giocare al casinò, da qualche parte, ma ormai aveva scarsa disponibilità da rischiare…
Si muoveva più o meno in tutto il nord Italia ed ogni tanto era Genova, dove vedeva Elisabetta, nel frattempo divenuta affermata giornalista, felicemente coniugata e nell’83 mamma di Enrico, per il quale Pericle ovviamente sbavava…
Ogni tanto passava da noi, nel Comasco, dove gioiva dei nipoti Valentina e Gioel, ormai grandicelli, come a Padova, dove c’erano Federico, Alessandro ed Isabella, i figli di Mario. E la moglie, della quale, lo confesso non ricordo più nemmeno il nome.
Poi, nonostante ormai da diversi anni avesse smesso di fumare, nel 1985 il solito maledetto cancro si manifestò anche nei suoi polmoni, e fù subito evidente che c’era ben poco da sperare…
Ciò nondimeno si tentò comunque di tutto, inclusa l’arrampicata sugli specchi delle pratiche alternative: fui io a condurlo a Milano da un medico naturopata che usava la cura del “vischio”, circa i cui effetti c’era tutta una letteratura in ambito erboristico ed omeopatico e che in alcuni casi sembrava aver fatto miracoli…
Ma non li fece nel suo caso…
Lui, scettico come sempre, accettò di fare anche quel tentativo ( ma forse sarebbe venuto anche a Lourdes se avessimo insistito per condurvelo…).
Poi si giocò l’ultima carta all’Ospedale di Trento, dove era di attualità un tipo d’intervento mirato, mininvasivo, che consisteva nell’entrare con una sonda nel torace, raggiungere il male e cauterizzarlo in tanto fumo…
Intervento che si rivelò poi doloroso quanto inutile: quando andai a riprenderlo dopo qualche giorno era fortemente provato ed ancora dolorante ed il chirurgo che lo aveva trattato mi disse che la diffusione del male era ormai tale che non c’era più nulla da fare ! Non restava che la morfina per lenire il dolore.
Morfina che assumeva già da tempo, anche mentre era con noi in Brianza, e ricordo con rabbia quanta fatica dovevo fare per procuragliela: c’era solo una farmacia a Milano dove da Como dovevo ogni volta andare, sempre avendo dei problemi perché finalmente me la consegnassero, nonostante la regolare ricetta medica e gli altri documenti di prassi allegati. Sarebbe stato assai più semplice ed immediato acquistarla dagli spacciatori, ai tanti angoli delle strade dove erano notoriamente piazzati, in chiara evidenza…
Da Trento lo portai a Padova, a casa di Mario, dove preferì finire i suoi giorni e dove poteva raggiungerlo facilmente anche la moglie per accudirlo.

Un primo pomeriggio di Settembre del 1986 ero a Brescia da un cliente che stavo trattando una vendita. Avevo appena iniziato quando suonò il telefono:” E’ sua moglie che la cerca” mi dissero cortesemente. Stupito che fosse riuscita a trovarmi lì risposi a Wanda che mi informò della morte di Pericle appena avvenuta.
Feci finta di nulla, continua il mio lavoro concludendolo al meglio, esattamente come da lui avevo imparato a comportarmi, senza cedere inutilmente all’emozione e dedicando alla sua memoria quel mio comportamento.
Arrivai a Padova dopo neppure due ore ed ebbi la piacevole sorpresa di ammirare il suo volto, così come, Mario mi assicurò, era rimasto al momento del decesso: sereno e sorridente, più che sollevato dal male e dal dolore, come se avesse infine varcato un ambito oltre il quale potesse aver trovato non solo la pace, ma forse anche ogni altro bene perduto, Lidia compresa !
Questa sua immagine restò per noi di gran consolazione e mi sollevò dal ricordo amaro che mi aveva lasciato la sua risposta negativa alla mia domanda, fattagli poco tempo prima: se avesse desiderato nonostante tutto rivivere la sua vita…
Cosa che io sarei immediatamente pronto a fare per la mia, con entusiasmo, magari saltando qualche passaggio e correggendo qualche particolare…, ma non necessariamente.

Assai noiosa fù la prassi burocratica per il trasferimento e la cremazione del corpo, per cui finimmo anche in tribunale per gli atti formali necessari.
Era dura allora sottrarre alla Chiesa ed al ricco sistema delle pompe funebri parte del business di loro competenza! Ora la Chiesa arriva perfino a consigliare la cremazione, almeno nei luoghi dove gli spazi non consentono ulteriori inumazioni…
Ma nel 1986 era pratica quanto mai rara ed inusuale.
Infine procedemmo al cimitero di Staglieno, in assenza di una cerimonia formale, semplicemente accompagnando il feretro al forno ed assistendo alla sua cremazione.
Prima però io, con voce rotta dall’emozione, lessi la breve introduzione di Bertrand Russel al suo libro “Perché non sono Cristiano: eppure amo la vita, ma mi rifiuto di tremare al pensiero del nulla…”

E qui potrebbe concludersi il racconto di Pericle, l’uomo che visse più volte…

Ma c’è un epilogo notevole e particolarmente significativo…
Circa il cui probabile verificarsi il buon Roberto, marito di Elisabetta, dottore commercialista, ci aveva comunque avvertiti: sugli eredi naturali, cioè su noi tutti, figli e nipoti, nonché coniuge Padovana, sarebbe infine piombato quel fisco che mai non perdona e che sempre, ma invano, a Pericle aveva dato la caccia !
Per cui avremmo dovuto correre in massa, tutti, anche i minori, al Tribunale più vicino per dare formale rinuncia ad una eredità…che di fatto non esisteva, se non nelle cospicue tasse che avremmo dovuto accettandola, pagare in luogo di Pericle.

Fù così che una sera tardi, erano quasi le otto, rientrando insieme a casa, io Wanda e Gioel, trovammo il vigile nonché messo comunale fermo al freddo davanti al cancello in nostra attesa. Uso a recapitarci ogni tanto qualche multa ci guardò quasi piangendo e tutto compreso ci disse “questa volta si che l’avete fatta grossa !”.
Io immaginai: lo facemmo accomodare e sedere in cucina, dove lui, pallido ci consegnò un verbale dell’Intendenza di Finanza di Genova per cui eravamo tutti, noi eredi figli, nipoti e coniuge, chiamati in solido a pagare “l’eredità” di Pericle, ammontante ad un debito di circa 360 milioni (dell’86!) verso l’Erario.
Debito che originava da tasse inevase, penali ecc… pari a circa 40 milioni del 1948.
Davanti al messo tapino, spaventato e costernato per tutta la iattura che ci stava cascando addosso, di cui lui ci era latore…ci mettemmo a ridere allegramente…!
Gli stappammo una bottiglia di ottimo merlot, che lui gradì visibilmente e gli raccontai di come la cosa non ci fosse affatto nuova, anzi era attesa e che bastava rinunciare all’eredità per venirne allegramente fuori !
Gli accennai anche del come e perché di Pericle, precisandogli che se avessimo potuto disporre di tutto il denaro da lui lasciato nei vari Casinò d’Europa, diversi di noi avremmo potuto campare di rendita !
L’unica difficoltà poi fù la rinuncia all’eredità per nostra figlia Valentina, non ancora maggiorenne, allora exchange student nell’Ohio (USA), per cui dovemmo seguire un noioso iter burocratico, fra cancellerie di Tribunale ed Ambasciate…

Ma alla fine nessuno di noi….“ereditò” !

A “corollario” del racconto sono doverose alcune precisazioni.
Innanzitutto il personaggio di Piero, più volte nominato ma mai approfondito.

PIERO e gli altri.

Piero era il più giovane dei fratelli, nei confronti del quale Pericle aveva di fatto esercitato la patria potestà dopo la prematura morte di papà Mario.
Piero era cresciuto come il classico “Pierino”, il piccolo di casa cui tutto o quasi si perdona, una ne pensa e cento ne combina, perlopiù coperto dalla mamma Edilia ed invano rimproverato dai fratelli maggiori.
Trascorsa l’adolescenza senza arte ne parte, molto dedito a festeggiare ad oltranza, tra boogy boogy e bagordi, la fine di una guerra che l’aveva visto fanciullo, alla visita di leva gli riscontrarono la TBC, malattia ai quei tempi gravissima, ad alto rischi di mortalità ! Finì in sanatorio a Sondalo, in Valtellina, dove per circa tre anni ebbe modo di calmarsi e di riflettere.
Quando tornò fù poi assiduamente seguito a Genova dal dott. Ferraris, il medico cui io personalmente debbo la vita (v.in questo blog il post del mio racconto “Morfinomane a dodici anni”) e ne venne infine fuori praticamente guarito.
Dopodichè fù sempre, più o meno, l’ombra di Pericle, nel bene e nel male, vivendo anche lui, perlopiù di riflesso ma anche per intima vocazione, le molte vite che di Pericle ho raccontate.
Lo seguì nella fortuna, ma soprattutto nella sfortuna…, a lungo lavorò per lui o con lui, talora lo sostituì in alcuni lavori, più spesso lo affiancò, seguendone grosso modo la parabola discendente.
Non so se Piero, come Pericle, fosse “giocatore”…, ma sicuramente come lui aveva “le mani bucate”. In ogni caso si dedicò anche ai lavori più “strani” ed improbabili, probabilmente anche stimolato dall’opportunità di mantenere moglie e due figli.
Fù infatti venditore di visoni e cincillà per allevamento, imitato con successo dal giovanissimo Mario, mio fratello, che a lui si collegò anche per l’apertura del suo primo negozio di mobili.
Piero infatti ebbe la felice intuizione, credo questa volta del tutto autonoma, di dedicarsi nel momento giusto all’importazione di Mobili Spagnoli, iniziativa che ebbe notevole successo e che gli rese una volta tanto reddito e benessere in abbondanza.
Così come accadde a Mario, in quel di Padova, che però riuscì a svilupparla, conservarla, ampliarla e trasformarla nel tempo, per circa 40 anni, finchè anche per lui arrivò purtroppo il pesante declino.

In occasione della peggiore delle sue defaillance economiche, credo proprio conseguente la cessazione del negozio di mobili, Piero ebbe il suo matrimonio in grave crisi e ci rimase per diverso tempo.
Lui era comunque e ciò nonostante sempre stato molto legato alla famiglia.
Rammento la sua assidua e sinceramente compresa partecipazione ad ogni evento, nascite, matrimoni o funerali. Così come le sue frequenti visite al mio capezzale, quando giovanissimo ero spesso costretto a letto da una lunga malattia e lui passava delle ore a raccontarmi fiabe, la trama dei nuovi più divertenti film appena usciti, che lui aveva visto e che io avrei potuto vedere solo più tardi, una volta che fossi finalmente guarito. Era molto bravo anche a raccontare aneddoti e barzellette, mi aiutò a migliorare nel gioco della dama (era bravissimo) e nel risolvere rebus e parole crociate sulla Settimana Enigmistica.
Un paio di volte, quando ero in salute, venne lui a recuperarmi: in montagna, dove ero andato a sciare con i Fratelli Maristi ma alla sera smaniavo di nostalgia per la mamma…Ed anni dopo, quando più grandicello ero scappato di casa, vagando sui crinali del Monte Fasce ero sceso fino a Nervi, dove mi ero arreso telefonando a casa.
E fù ancora lui, come ho già ricordato all’inizio di questo racconto, ad affiancarmi cercando di consolarmi quando giunto all’Ospedale San Martino di Genova seppi chiaramente che Lidia era condannata, senza speranza.
Ed ancora lui ad avere la forza di sospendere il suo lavoro per affiancare, notte e giorno, senza mai perderlo di vista, il figlio maggiore in comunità, per condurlo con successo fuori dal brutto, ambiguo tunnel della droga, nel quale era immeritatamente finito, giovanissimo ed aitante sportivo, mentre navigava come steward su di una nave da crociera.

Ho voluto citare Piero soprattutto come maggior testimone della romanzesca ed altalenante vita di Pericle, a lui accomunato da assidua frequentazione e spesso dalla condivisione dell’alterno destino.

Silvio morì giovanissimo, lo vidi poche volte, sempre con simpatia, soprattutto dopo quella volta che, avrò avuto sette anni, lo accompagnai al campo della “Nafta” dove faceva un allenamento di calcio indossando la per me allora gloriosa maglia del Genoa.

Edilio, fù da noi sempre considerato tra i Vassallo la... "pecora bianca",
per il suo continuo e costante apparire...normale, non coinvolto nelle "avventure" degli altri fratelli, se non suo malgrado. Come ho avuto modo di specificare in episodi dedicati, sia per evitare a Pericle il peggio, sia da lui trascinato in speculazioni od investimenti ad alto rischio (v. episodi "Ormig Autogrù" e "Casinò di SanMarino).
Purtroppo ha poi finito per avere anche lui uno sfortunato esito economico ed esistenziale, in parte collegato ai danni dell'ultima grave alluvione Genovese, che gli ha disastrato la Tipografia, in parte in conseguenza di un'inevitabile e pesante crisi di quel settore con l'avvento dell'informatizzazione di moduli, documenti, corrispondenza, oltre che a gran parte degli strumenti della pubblicità.

Serafino non era un “Vassallo”, era fratello per linea materna e lo seppi sempre diverso dagli altri, tranquillo e metodico, impiegato di concetto …Ebbi comunque con lui pochissime occasioni di frequentazione.

Vittoria, la sorella maggiore, anche lei di primo letto, la vidi spesso, ma sempre defilata dalle vicende dei fratelli. Con lei visse infine per molti anni la nonna Edilia, la madre di tutti i fratelli. Mi sembrarono sempre donne di altri tempi, quali si vedono nei vecchi film muti, con gli occhi carichi di ombretto, le vesti datate, lunghe, e le pettinature stile “belle epoque”. Il loro manifestarsi era poi stereotipatamente femmineo, delle donne di casa dedite unicamente ai figli ed ad un marito “padrone”.
Ciò che nel caso di Vittoria era assolutamente più che vero !

Poi riuscirei a perdermi nel tentativo di citare altre persone: la bellissima Lucetta, carinissima moglie di Edilio; la buona e spiritosa Liliana, tanto cara a Lidia, come lei molto “naif”; la fascinosa ed intrigante Anita, anche lei una vita a tribolare con Piero, suo marito.
E tanti cugini, nipoti e pronipoti…

Mi scuso con tutti coloro che sto dimenticando o tralasciando (Enrico e Filippo, i superfusti ancor giovani figli di Elisabetta, Clara ed Italo immaturamente scomparso, Anna Pegghi ed Antonio, Cinzia, Gian Luca e Nicoletta, Bruno, ecc…)

Ma voglio infine citare i giovanissimi, perché sono loro ora a rappresentare la continuità e la nostra consolazione per gli acciacchi che, hainoi incombono ed incalzano.

In ordine di età i pronipoti di Pericle:

Edoardo, figlio di Federico e nipote di Mario.
Carolina, figlia di Valentina e mia nipotissima.
Riccardo, figlio di Isabella e nipote di Mario.
Sergio, figlio di Alessandro e nipote di Mario.
Greta, figlia (più esattamente “clone”…) di Gioel, cui assomiglia come una goccia d’acqua, altra mia supernipotissima.
Più altri due in gestazione, pronti/e? nel giro di qualche mese, a Padova per Isabella ed a San Paolo del Brasile per Alessandro.

Fine del racconto.

Con l’auspicio che qualcuno un giorno prosegua il filone di una storia di famiglia, che presenta molti aspetti affatto banali.
(Sicuramente più che “originali” per quanto riguarda Pericle…)


Lidia e Pericle al mare negli anni '50 (forse a Lerici)

Nessun commento:

Posta un commento