domenica 8 maggio 2016

MEMORIE DI UN FUTURIBILE OTTUAGENARIO



MOMENTI FELICI DELLA MEMORIA 
(ricordi di un futuribile ottuagenario)

Premessa:

Fra un paio di mesi saranno 75 e statisticamente avrò ancora circa 6 anni di vita,

(un battito di ciglia se commisurati agli ultimi 6 trascorsi…), se i dati demografici, da sempre in aumento, non avranno un ulteriore calo, come è stato per la prima volta testè evidenziato (una delle tante conquiste dei governi in corso, quelle di cui Renzi evita accuratamente di vantarsi ?).

A 75 anni entrerò ufficialmente nella “vecchiaia” conclamata, quella che va dai 75 agli 85 anni, con una probabilità del 50% di arrivare anche al successivo traguardo.

Secondo i parametri dell’OMS infatti si è “young old” dai 65 ai 75 anni, “old” dai

75 agli 85 e “old, old” dopo gli 85.

Confermo di non avere alcuna ambizione di longevità, restando mia massima aspirazione quella di ovviare in ogni modo il progressivo decadimento, soprattutto ed assolutamente il dolore e la mancanza di autonomia.

Continuare a vivere, comunque e ad ogni costo non è affatto nelle mie corde.
Mentre per altro faccio ogni sforzo per mantenermi vivo ed attivo.

Poi, si sa, spesso il lento e subdolo decadimento finiscono per “abituare” gli individui ad accettare via, via situazioni e condizioni sempre più carenti, altrimenti considerate

precedentemente come inaccettabili…Ciò che mi auguro vivamente non mi accada !

Ma sentendo comunque sempre più brevi i miei “giorni contati”, mi accingo a rievocare i ricordi più belli, quelli che io credo lo meritino, di una vita ormai lunga e ricca di esperienze.

Un po’ nel piacevole tentativo di riviverli, un po’ nella speranza di tramandare a figli e nipoti ciò che inevitabilmente appartiene anche ad un loro passato, in qualche modo ereditabile. 
Ma anche eventuali terzi, non direttamente coinvolti nelle mie tare, spero possano trovare una condivisione di appartenenza generazionale, culturale, perfino storica. Buona lettura.
 
Io con mio fratello Matrio 1946-47
PARTE PRIMA (i primi dieci anni)

I miei primi, più lontani ricordi, risalgono al ’43-45, quando eravamo sfollati a Busalla, nell’entroterra dell’Appennino Ligure. I miei giovanissimi genitori erano assai fortunatamente riparati nella villa dei marchesi De Ferrari, una grande casa stile ‘900, con ampio parco collinare, ricco di grandi pini ombrosi e di verdi prati degradanti sino all’accesso carrabile, sito giusto all’ingresso del paese.
Villa Marchesi De Ferrari-Busalla

Tutto a nostra disposizione, forse più lasciato in custodia che non locatoci dai nobili proprietari riparati all’estero (Svizzera ?).

A Busalla c’erano poi diverse ville “di campagna”, appartenenti alla “Genova bene”di proprietari colà rifugiati, ad evitare i bombardamenti aerei e navali cui la città era costantemente sottoposta. Si era così formata una comunità di persone, forse previlegiate, che riuscirono a trascorrere quegli anni terribili in una sorta di oasi, che fu solo talora appena sfiorata dagli eventi in corso.
Lidia, mia madre, come era allora.

Ciò almeno è nella mia memoria. Mio padre, allora 25enne, era esentato dal servizio militare a causa di un grave incidente occorsogli all’inizio della guerra, ma io ricordo anche la costante presenza di suoi coetanei, che non saprei come giustificare.

Ogni tanto passava “Pippo”, il caccia da ricognizione, ma solo un paio di volte bombardò postazioni nascoste sull’alta collina, rifugi di cui aveva evidentemente avuto segnalazione. 
Diverse volte assistemmo al lontano fragore ed ai bagliori dei bombardamenti su Genova, al di la del passo dei Giovi, comunque protetti dalla lontananza, se pur compresi ed assai preoccupati.
Ed arrivarono anche i tedeschi in fuga, a requisire il primo piano della villa De Ferrari, nascondendo carri armati ed autoblindo sotto i grandi pini del parco ! Ma nei lunghi giorni della loro permanenza si comportarono sempre più che civilmente e la nostra grande preoccupazione fu quella che gli alleati ne avvertissero la presenza e ci venissero a bombardare, noi con loro…Io, che avevo non più di 3 anni, divenni anche amico di un giovanissimo soldato tedesco, che a cavallo del suo mulo mi portava in paese ad acquistare il gelato, su incarico e a spese di mia mamma.
Ed in questa cornice si collocano i miei più lontani momenti di memoria.
Un grande prato verde sottostante la villa, fiorito di tanti colori e profumi, resi più intensi dal tepore primaverile e dall’aria incontaminata, ed io che correvo, in gara con altri bambini, a cogliere quei fiori per poi portarli alla mamma, che affacciata dal balcone ci premiava con il lancio di caramelle.
L’odore dell’erba, l’intenso profumo dei fiori, lo spiccato sapore dei dolciumi, il senso di beata pienezza vitale che mi pervadeva nella traboccante consapevolezza del mio iniziale esistere, ancora appartenente alla prima infanzia !

Lo stesso prato durante l’inverno, coperto di neve, su cui correva un’assai breve, ma per me allora lunghissima, ondeggiante pista da sci, sulla quale venivo precipitato a bordo di una slitta, condotta dallo stesso giovane falegname che l’aveva costruita, figlio dei contadini a mezzadria facenti capo alla villa. Il mio primo ottovolante, bianco, freddo, ma caldissimo di emozioni, ricco del penetrante odore d’ozono che sempre emana dalla neve fresca caduta sulla natura incontaminata. 
Le grida felici dei bimbi eccitati, le mie tra quelle, ed il rifiuto di smettere al cadere del buio, così come la mia strenua resistenza a che mi venissero tolti gli scarponi, miei subconsci stivali delle sette leghe, come quelli del gatto della favola che mi raccontava la mamma. E per sfilarmeli dovevano aspettare che mi fossi addormentato.

Le feste dei miei giovanissimi genitori, belli come i divi del cinema dei telefoni bianchi, allora ancora attuali, con amici anch’essi giovani e belli, cui io assistevo da semiclandestino, assorbendo tuttavia ampiamente la magia dell’atmosfera, romantica e rilassata nonostante la guerra in corso. Soprattutto la musica, la canzoni di Bonino, del Trio Lescano, di Rabagliati, Natalino Otto  i Cetra quando ancora erano solo un trio. Ma più ancora i primi dischi, probabilmente contrabbandati, della musica americana: Glenn Miller, Cole Porter, lo Swing, il Jazz…
Del resto al cinema di Busalla vidi perfino il mio primo film, incredibilmente “Biancaneve e i sette nani” della Disney ! Ed era ancora il 1945, sicuramente prima del 25 Aprile ! Forse lo avevano paracadutato gli americani, con i rifornimenti alla resistenza partigiana...Il "profumo" di benzina e di "metallo" che emanava dal motocarro di mio padre di ritorno da Genova. Mezzo che utilizzava dopo che gli avevano requisito la balilla e su cui salivamo anche la mamma ed io, quando la sera gli andavamo incontro, risalendo la statale...Per me l'emozione del caldo rombo del motore e l'ebrezza della velocità, che forse sfiorava perfino i 40 all'ora !


Poi la grande, magica atmosfera di festa, che io totalmente recepivo pur non cogliendone che assai vagamente i significati: la guerra era finita ! Tutti erano contenti, euforicamente rilassati, sprecavano sorrisi e grida di gioia. Evviva, finalmente è finita, anche se noi, almeno a me così pare, eravamo tra i fortunati che l’avevano appena sfiorata. Di nuovo il prato fiorito intorno alla villa, la grande altalena su cui il mio giovanissimo zio Piero, si esibiva in pericolose esibizioni da trapezio. E su quel prato odoroso di fiori, erba fresca, aromi collinari della Primavera avanzata, un cesta di vimini in cui giaceva e vagiva il mio neonato fratellino, Mario, venuto alla luce il 15 Aprile, giusto dieci giorni prima della “Liberazione”.
25 Aprile 1945
Ed accanto alla cesta, suoi custodi ineffabili ed assai guardinghi, una grande oca bianca ed una ancor più grande e bianca, meravigliosa cagnona di alano danese,
il cui nome Frau, regina delle nevi, rievocava il candore del suo pelo, la glacialità dei suoi occhi azzurri, il freddo dell’inverno in cui era da noi giunta.

Poi un salto, un volo oltre il buio di un trasloco di cui non rammento assolutamente nulla, il ritorno a Genova, dove 4 - 5 anni prima io ero nato, ma subito fuggito immemore, oltre il primo Apennino, per scampare ai bombardamenti.

Un volo verso il mare, il cui salso sapore, quasi dolorosamente penetrante per l’intensità con cui lo recepivo, probabilmente si ricollegava ai miei primi giorni di vita, e forse a prima ancora, quando mia mamma mi portava, ancora ben custodito nel suo ventre, a passeggiare lungo il mare di Corso Italia, a Punta Vagno, cento metri da cui ero nato, in via Piave, nei nuovissimi palazzi, vagamente stile novecento, appena eretti nel verde allora quasi totale tra la Foce, Albaro, il Lido e Boccadasse.
Genova, Corso Italia, Punta Vagno.
Palazzi ancora oggi esistenti ed in ottime condizioni di manutenzione, come mi ha appena riferito mia sorella, che cercando la sua nuova casa è capitata in uno di quelli, totalmente ignara del fatto che io vi avessi avuto i natali (forse perché manca la lapide, almeno per ora…). Ricordo sprazzi esaltanti della Genova dell’immediato dopo guerra. Il mare della foce dove mio nonno mi condusse a vedere i mezzi da sbarco alleati affondati a pochi metri da riva, un incrociatore inglese appena un po’ più al largo, e le mine che saltavano, che tante ancora ne arrivavano verso riva, portate dal mare.

Gli alleati, soprattutto gli americani, con le loro Jeep, su una delle quali provai l’ebbrezza di un lungo giro per la città, in compagnia di un ufficiale yankee, di mio padre e di un suo amico, il dottor Santacroce, poi divenuto direttore generale della IBM Italia, allora interprete ufficiale dell’esercito USA.
Il sapore incredibilmente accattivante delle mie prime CocaCola, di cui arrivavano cassette gratis a casa mia, stante un'altra amicizia di mio padre, quella con tale Ventola, italo americano,
neodirettore della CocaCola Italia, giunto al seguito dell’esercito USA per invadere anche con quella i nostri usi e consumi.
Le dolci, calde serate di quella prima postbellica estate del 1945, quando dopo cena
scendevamo da via Francesco Pozzo in piazza Tomaseo, Corso Buenos Aires, via Casaregis e Corso Torino, tutte addobbate a festa, con lampioni colorati, piazzole danzanti, giostre ed autoscontri…Il tutto pervaso dalla nuova musica “americana”, il frenetico boggiewoggie alternato alle struggenti ma sincopate melodie di Glenn Miller…Ed era tale la mia struggente partecipazione, che ancora vent’anni più tardi, ormai adulto e vaccinato, ancora ricordavo quell’esperienza infantile come l’avessi
allora vissuta in prima persona,“da
grande”…commuovendomi alla sua rievocazione radiofonica, per la bellissima voce narrante di Riccardo Cucciolla: “Gennaio del ’46, avevo i tuoi occhi nei miei…mentre Glenn Miller suonava...”, rievocando un amore perduto, che io percepivo nel ricordo esattamente tale…Ed in effetti così era stato, come poi mi chiarì l’estenuante, faticosissima ma infine esaltante esperienza della psicanalisi.
Alassio, estate del 1946, la grande spiaggia assolata, il salmastro sapore del mare, il suo pungente, quasi doloroso sentore di iodio, l'isola Galinara la fondo, quasi all'orizzonte...Mia mamma che, noleggiato un moscone, con inesperta ingenuità mi chiedeva se io volessi che raggiungessimo quell'isoletta ! E rema che ti rema verso il largo, dopo circa un'ora quasi non si vedeva più la spiaggia di Alassio, ma l'Isola Gallinara era sempra distante uguale, la in fondo all'orizzonte ! "E se tornassimo indietro" (vesciche alle mani non use alla voga)...e così fu che tornammo.
Quella stessa estate, partendo da Albenga e trasnsitando davanti ad Alassio, morirono più di 40 bambini di una colonia marina, diretti alla Gallinara a bordo di una motobarca finita contro un relitto sommerso.
Alassio, Isola Gallinara.

Io, tuttavia risparmianto dall'imprudente tentativo di crociera materna, festeggiavo i miei 5 anni con l'ebrezza di una prima esaltante conquista: andare in bici a 2 ruote, senza l'ausilio delle rotelline laterali. Ciò che mi fece sentire "grande".
E tutti gli anni successivi, nonostante i lunghi sprazzi rovinati dalla malattia, ai bagni del sempre "Nuovo" Lido d'Albaro. Nel '47 festeggiavo i miei 6 anni con altra eclatante conquista, avendo imparato a nuotare, da solo, per imitazione, spingendomi poi subito alla conquista di zattere e boe ed oltre, sempre più al largo, sfidando le bande di piccoli amici a chi riusciva a scendere più in fondo al mare, a raccogliere sassi colorati, divertendoci a prendere le onde, alte anche 3 o 4 metri per farsi precipitare con quelle sino alla spiaggia sassosa, a nuoto libero, o con le pinne ed appoggiando le braccia su di una tavoletta di legno. Spesso finendo arrotolati nel vortice dell'onda contro i sassi della riva. Così che la sera a casa i lividi conseguenti venivano curati con unguenti e bendaggi.
Ma d'estate, dal'47 al 51 c'era anche la villeggiatura in

"campagna", regolarmente a Torriglia (7-800 mt. s.l.m.), in casa in affitto oppure all'Albergo Castello. Con le gite nei boschi, la ricerca dei funghi, le escursioni più lunghe ed impegnative, sino alla pineta, ricca di odori balsamici, di felci e di ombra. Oppure oltre il Castello diroccato, o fino alla galleria del passo, che attraversa lo spartiacque ligure-emiliano, oltre il quale inizia la Val Trebbia. E fra il mare e l'alta collina montana io vivevo la mia dorata infanzia, ricca di stimoli, archi e freccie, revolver e fucili, soldatini di piombo, film di avventura, ma anche il meccano, il gioco della dama, il monopoli, le carte della canasta e la lettura dei principali capolavori di Stevenson, Verne, Salgari ecc...Che per fortuna allora la TV non c'era ancora.
            Torriglia, il Castello e a destra l'Albergo omonimo

1948, la grande villa di mio padre, appena 30enne e già ricco !
Ubicata al meglio del Lido d’Albaro, in una traversa tra via De Gasperi e Corso Italia, poi trasformata in Hotel (ed ancora è tale, dopo oltre 60 anni). Ricordo ancora i piacevoli odori dei plastici usati per ristrutturarla, la calce, gli intonaci, i parati…
Negli occhi gli enormi spazi dei suoi 4 piani, nel seminterrato la grande “lavanderia”, dove con il brutto tempo giocavamo a pallone. Al piano rialzato l’enorme corridoio che dava addito sulla vasta sala da pranzo ed il doppio salone. All’ultimo piano, sopra quello delle camere da letto, c’era l’attico con sala biliardo ed ampio terrazzo da cui si vedeva il vicino mare di Boccadasse ! Nell’ampio giardino gli aranci, i cachi, due grandi pini, una palma e sul retro l’orto terrazzato, dove talora andavo a far man bassa di piselli, teneri, freschissimi ed assai saporiti, e di pomodori, rapanelli, cipolline…un’esplosione di fragranza che invadeva le mie narici prima ancora che le papille gustative.
Hotel La Capannina
Ed il giardino era il regno della nostra carissima amica, Gilda, figlia di Frau, un grande, bellissimo esemplare di Alano arlecchino, così chiamata perché nata in concomitanza con l’uscita del famoso film interpretato da Rita Hayworth.
A scuola, dai Fratelli Maristi, prima in via Casaregis poi in Albaro, mi accompagnava spesso Giuseppe, l’autista, a bordo di una mitica quasi limousine americana, una Dodge acquistata da mio padre presso il suo amico Novelli, concessionario Mercedes.
La cara vecchia Gilda.
Questo e molto altro avrei rammentato, senza particolare nostalgia, ma con spiccato senso per l’ironia del fato, una quindicina di anni dopo, quando per mettere insieme il pranzo con la cena, mi alzavo alle 4 del mattino per andare a scaricare le cassette di frutta e verdura al mercato d’ingrosso ortofrutticolo a Padova.

Fine della prima parte.

   the lonely dolphin









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