mercoledì 26 settembre 2012

EINSTEIN e la formula di dio


 Einstein e la formula di Dio
Albert Einstein
All'inizio degli anni '50 Albert Einstein ebbe un incontro privato con il primo ministro Israeliano Ben Gurion, in visita negli USA, ed in quella occasione il Capo di Stato Ebraico, più o meno scherzosamente sfidò il grande scienziato di orgine ebraica a dimostrare, in maniera scientifica, l'esistenza (oppure la NON esistenza) di Dio.
Einstein raccolse seriamente la sfida, approfondendo temi di ricerca che già erano ampiamente oggetto dei suoi studi, giungendo infine a conclusioni di portata eccezionale, che furono ulteriormante studiate ed elaborate da altri scienziati, determinando scoperte di fondamentale importanza, vere pietre miliari per la Scienza del 20° secolo.
Tali scoperte sono tuttavia rimaste patrimonio pressochè strettamente riservato all'elite del mondo scientifico e non sono state comunque divulgate nel contesto del significato umanistico e filosofico che presupponeva la sfida di Ben Gurion.
Einsten riuscì praticamente a definire la "formula"sull' esistenza di "Dio"
al 99,99999999999999999999999999999999999999999 (ecc...9 per 40 volte,
cioè alla quarantesima potenza), ma da rigoroso scienziato quale egli era, non
la pubblicò mai come tale, a causa di qull'infinitesimale incertezza dello
0,0000000000000000000000000000000000000000(ecc..., per 40 volte)0001% !

Questa storia è stata ripresa e raccontata dal famoso scrittore Portoghese Dos Santos quasi in concomitanza con la sensazionale, recente scoperta del "Bosone", la così detta "particella di Dio" (ed in effetti il Bosone può essere ben considerato come elemento accessorio della formula Einsteniana), nel suo libro "Einstein e la formula di Dio".

Libro che ho ricevuto in dono nel Luglio scorso.
Ideogramma del "Bosone"

E' un romanzo di 500 pagine, che cerca di condire al meglio un'avventurosa spie story a livello di intrigo internazionale, in fondo piùttosto banale, scontata e djavue, con implicazioni sentimentali ugualmente banali e scontate, e l’esposizione divulgativa di teorie scientifiche abbastanza complesse e spesso anche sin'ora ignorate dal grande pubblico, ancorchè quello più attento e versato per simili argomenti.
Il tutto è sviluppato in maniera troppo spesso ripetitiva, continuamente rimandando con pretestuosi colpi di scena la conclusione delle spiegazioni, quasi seguendo il filone dei telefilm che continuamente si interrompono per dar spazio alla pubblicità..., come se l'autore fosse stato pagato "un tanto a cartella"...In effetti 300 pagine (e non 500) sarebbero state già troppe per raccontare il tutto, inclusa la parte di gran lunga più interessante, cioè quella scientifica divulgativa.

La trama si basa sull'equivoco, accreditato dalla CIA, dal Mossad e dai Servizi Segreti Iraniani, per cui Ben Gurion avrebbe chiesto ed ottenuto da Einstein una formula segreta per poter realizzare l'atomica facilmente ed a basso costo.
Ciò scatena la caccia al manoscritto originale di Einstein, che quella formula conterrebbe. Gli Iraniani ne entrano in possesso ma non sono tuttavia in grado di decifrarla e drammaticamente coinvolto si ritrova, protagonista al centro della vicenda, un professore Portoghese esperto criptologo, in grado teoricamente di decifrare qualsiasi documento secretato.

L'unica vera chicca del libro sono una cinquntina di pagine, quasi tutte esposte alla fine del romanzo, dove...finalmente...viene faticosamente rivelata la Formula di Dio. Faticosamente non perchè manchi la chiarezza, anzi, l’esposizione è chiara e ben comprensibile, se pure nei limiti spesso molto complessi degli ardui argomenti trattati. Ma purtroppo anche in questa fase l'autore si lascia prendere eccessivamente dal vezzo di tenere ad oltranza i suoi lettori in sospeso, talora sino all'esasperazione, nuocendo infine al pathos della rivelazione finale, che appare quasi sminuita d'importanza a confronto con tutta l'attesa di cui era stata caricata.
Ma, anche ad evitare d'imitarlo, vengo dunque senzaltro alla definizione della "Formula di Dio”, che richiede tuttavia spiegazioni, anche in via preliminare.

Einstein si diverte
Il problema di “Dio”è sostanzialmente quello delle “origini della vita”.
Ogni Religione, ogni credo fideistico è sorto tra i popoli del mondo antico innanzitutto e soprattutto per giustificare le origini dell’Universo e della Vita.
Dio”era per loro la spiegazione più spontanea alle domande: “chi ci ha creato?”, “che cosa c’era prima?”, “chi governa l’armonia delle cose che circondano la vita?”.
Fù così che gli uomini inventarono via, via, Giove, Manitù, Tao, Jeova, Allah, ecc…, attribuendo loro la divinità creatrice di ogni cosa.
Poi arrivò la Filosofia, forma più evoluta di pensiero, che portò alcuni membri delle popolazioni più evolute, a partire dagli antichi Greci, a speculare in maniera più avanzata, profonda ed articolata, sulle origini della vita e sul significato dell’esistenza.
Così, per rimanere nel nostro tema, uno dei filosofi più recenti, Emanuele Kant, ebbe ad affermare che tre problemi non verranno mai risolti: quello dell’esistenza di Dio, l’immortalità ed il libero arbitrio.
In altri termini Kant si pone banalmente i quesiti irrisolvibili: Dio esiste davvero o è stato creato dagli uomini per giustificare le origini dell’Universo ?
C’è un’altra vita oltre la morte ? L’uomo è davvero in grado di determinare il suo destino od è altrimenti la sua volontà del tutto condizionata dai molteplici fattori esterni ?
Fù infine la volta della Scienza (chi disse che la Filosofia è l’anello di congiunzione tra Religione e Scienza ?). La quale affrontò l’argomento in maniera asettica e razionale, analizzando tutte le implicazioni in gioco, giungendo infine alla conclusione di fatto che “Dio non esiste”, perlomeno in quanto essere antropomorfico superiore, creatore e signore dell’Universo, da lui realizzato a normalizzare il Nulla e/o il Caos preesistenti.

Alcuni, pochissimi scienziati, è vero, si sono dichiarati “credenti”, non atei, ma unicamente in funzione di un atto di fede e nessuno di loro ha mai preteso di dimostrare scientificamente l’esistenza di Dio.
Michelangelo: la creazione

Ma allora quali sono per la Scienza le origine dell’Universo e della 
Vita ?
Le risposte date sono univoche: la materia che costituisce l’universo (o gli universi) è sempre esistita, seppure in forme diverse, via via cangianti nei miliardi di anni dell’eternità senza fine; la vita è il frutto del “caso”, evolutosi in funzione della “necessità”(v. C.Darwin, J.Monod e molti altri).
Nell’indefinito ribollire del “brodo primordiale”, verificatosi sulla terra alcuni miliardi di anni dopo il Big Bang iniziale dell’attuale era universale, si sarebbe casualmente formata la vita, favorita dalla presenza di fortunatissime condizioni di temperatura, pressione, magnetismo e dalla presenza di elementi più indispensabili che necessari, quali il Carbonio, l’Elio, l’Idrogeno e l’Ossigeno.

In pratica il “Dio” identificato dalla Scienza avrebbe giocato a dadi con tutti i componenti di cui sopra, per qualche miliardo di anni, ottenendo infine il “13” !
Il “13”, non il 12(=6+6), badate bene, perché, come vedremo più oltre, le probabilità contrarie erano tali che per riuscire nell’intento di determinare la vita occorreva un Jack Pot di tale  impossibile portata
(appunto il 13)!
Ed in effetti Einstein ed altri scienziati, nell’evoluzione dei loro studi matematici, applicati alla Fisica, alla Chimica, all’Astronomia ed alla Biologia, hanno infine, nel corso dell’ultimo secolo, verificato elementi, situazioni e condizioni che li hanno portati a pensare…come fosse estremamente improbabile che la vita si fosse mai determinata solo “per caso”sul nostro pianeta, così come sicuramente è accaduto in molti altri pianeti dell’Universo infinito (o finito che sia), comunque enorme perché formato da milardi di Galassie, ciascuna formata da miliardi di stelle….


Essi, gli scienziati, si sono infatti ricorrentemente imbattuti in uno strano numero, composto da 40 zeri dopo la decina, cioè 10 elevato alla quarantesima potenza, che per esteso si scrive così:
10.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000

e che si legge…in modo impronunciabile, cioè miliardi di miliardi di miliardi…
Che cos’è questo numero ?
E’ la probabilità matematica che si verifichino contemporaneamente più eventi e situazioni scientificamente verificati indispensabili alla nascita della Vita.
Ciò che costituirebbe un’incredibile casualità, conseguenza di uno straordinario gioco fortuito di coincidenze spaventosamente improbabili da verificarsi in qualsiasi realtà !

Alla base di questa constatazione, meramente matematica, ci sono tutta una serie di eventi di enorme, verificata e conclamata, rilevanza Fisica, Chimica, Organica, Biologica, che riguardano le “costanti della natura”, le variabili della forza di gravità interplanetaria, i tempi d’inverosimile velocità nella dilatazione iniziale (il primo secondo) del Big Bang, la nascita del Carbonio, elemento assolutamente indispensabile alla formazione ed evoluzione della vita, possibile unicamente e solo in condizioni estremamente particolari ed improbabili di temperatura, pressione ecc…
Variazioni minime, di ordine assolutamente meno che infinitesimali ( tipo dello
0,00000000000000000000000000000000000000001%) avrebbero impedito la complessa coincidenza di tutti questi elementi, ed altri ancora, inibendo quindi la nascita della Vita.

Per cui fù indispensabile molto altro ancora, come la conversione dll’Idrogeno in Elio, la durata reale del Berillio Radioattivo in quanto tale (un’insignificante frazione di secondo!), gli effetti gravitazionali della Luna, l’inclinazione dell’asse terrestre, il campo magnetico dell’atmosfera determinato dalla massiccia presenza di ferro e nichel nel suo nucleo centrale, ecc…ecc…
Per cui la nostra mera esistenza sembra dipendere da una straordinaria e misteriosa catena di eventi assolutamente improbabili da verificare in accadimento “casuale”.

Il loro contemporaneo capitare, in favorevole coincidenza, non adeguatamente programmato equivale alla probabilità di 10 elevato alla 40^ potenza.
Vincere ad una tale lotteria sarebbe come riuscire a colpire il bersaglio di un millimetro di diametro posto all’estremità opposta dell’universo, scagliando una freccia alla cieca, senza mirare, con gli occhi bendati !


Anche la Scienza, sempre rigorosamente e doverosamente attenta ad ogni se pur minima variabile, finisce con il considerare = 0 (uguale a zero) una probabilità di tale infinitesimale entità.
Ed è stato perciò che Einstein (inizialmente provocato da Ben Gurion), così come tutto il mondo scientifico poi, hanno dovuto prendere coscienza di un problema: il “caso” non poteva essere indicato come fautore della “vita”.
Considerando quindi tutte le incredibili, assolutamente enormi variabili contrarie, pressochè totali avversità al verificarsi dell’evento (la nascita della vita nell’universo), poteva esserci solo un’altra spiegazione:
“qualcuno o qualcosa aveva proditoriamente e coscientemente voluto che la vita fosse e divenisse quella che noi siamo e conosciamo”.
Qualcuno estremamente evoluto, tecnicamente preparato ed attrezzato per inseminarla, avviandola al successo nonostante tutti gli enormi ostacoli e l’infinità di fattori contrari al suo determinarsi !
Era costui “Dio”, o qualcosa che gli possa assomigliare ?
Cioè un entente “superiore”, in grado di esercitare l’enorme potere, volontà e cultura necessari per adempiere ad un siffatto compito ?

O era semplicemente un consesso di scienziati appartenenti ad una civiltà tecnicamente evolutasi ai massimi livelli, in vena di effettuare esperimenti, seminando nuove forme di vita in giro per l’Universo, esperimento di cui noi ora saremmo il prodotto risultante ?
la scala dell'evoluzione

Oppure, ancora più semplicemente, la forma di vita cui noi apparteniamo è il prodotto di una evolutissima civiltà, giunta in qualche modo al termine della sua lunga esistenza in seguito ad un qualche drastico evento, naturale o da essa stessa provocato, che ha in estremis avviato una propria discendenza vitale, lanciandone nello spazio infinito la semenza trascendente, contenente i propri caratteri genetici, basilari alla sua sopravivenza ed evoluzione.

Ciò che è quanto probabilmente noi stessi faremo entro un miliardo di anni, quando l’entropia del Sole, o più probabilmente la sua espansione abnorme determineranno la fine del nostro sistema planetario e quindi della vita, costringendo così i nostri lontanissimi discendenti a trasferire altrove la “vita”, perpetuandola ancora, in una sorta di staffetta senza fine attraverso l’eternità dello spazio-tempo senza limiti.



Questa non è banale fantascienza, ma è invece esattamente quanto gli scenziati prevedono accadrà a partire da un futuro neppure troppo lontano, al massimo solo qualche centinaio di anni, quando la robotica avrà raggiunto livelli tali da permettere
ai nostri eredi l’immortalità.
Che non consisterà nel prolungare all’infinito la vita delle proprie cellule mortali,
ma bensì nel trasferire la propria coscienza, la propria memoria, financo la 
propria “anima” immortale…in un nuovo corpo androide, realizzato al meglio per funzionare e durare assai più a lungo ed essere infine nuovamente cambiato in un altro, nuovo e migliore, e così via, per sempre !

Perché la “vita” deve continuare: non è il frutto del “caso”, ma il messaggio vagante tra gli universi dello spazio infinito, il messaggio fondamentale di qualcosa che probabilmente è sempre stato e per sempre sarà.
La caducità di tutto quanto ci circonda, a partire dalla nostra stessa brevissima, irrilevante esistenza, ci impedisce d’immaginare che possa non esserci stato un “inizio”, ma che tutto sia sempre stato, se pure in forme anche inimagilmente diverse.
E da ciò nasce l’istanza di inventarsi un “Dio” il quale tutto abbia ad un certo punto creato. Cosa facesse prima, come impiegasse il suo tempo nel vuoto totale ed assoluto non arriviamo normalmente a domandarci.
Perfino il Big Bang, origine del nostro universo conosciuto, sembra proprio che non rappresenti un punto fisso di partenza: le più recenti teorie scientifiche portano infatti a credere che esso non rappresenti altro che il punto iniziale di un battito, un pulsare

Big Bang pulsante
fatto di continue dilatazioni e contrazioni, ciascuna della durata di svariati miliardi di anni.
Ma comunque sia, la “vita” non è dovuta al “caso”, ma ad un preciso e determinato disegno di continuità in divenire.
L’effimera probabilità che così non sia appartiene a valori di un’esiguita talmente irrilevante da non poter essere benchè minimamente presa in considerazione.

Ed è questa, banalmente “la formula di Dio” messa a punto da Einstein:

“la vita dipende da una straordinaria e misteriosa catena di incredibili coincidenze di eventi, talmente improbabili che è impossibile siano dovuti al caso. Tutto ciò che è accaduto, accade ed accadrà è previsto sin dall’inizio dei giorni”.

Perciò Dio, ma soprattutto Chi per Lui, è l’unica alternativa al Caso.
Quindi, per così dire, “la formula di Dio”.

Non so se con tale etichetta conclusiva la Scienza vuole concedere una qualche forma di rivincita alla Religione, ma penso che ciò sia irrilevante.
Sicuramente lo è per me, di fronte alla constatazione, scientificamente conclamata, di un divenire di fatto programmato ed impossibilmente casuale, al servizio di un “Principio Antropico Finale”, cioè la definitiva affermazione dell’intelligenza umana a livello universale.

Ma c’è dell’altro, a tale proposito: analizzando le indicazioni che le principali Religioni danno circa le Origini della Vita si verifica non solo la pressochè totale somiglianza dei fatti narrati, ma bensì anche stranissime, incredibili coincidenze con le teorie scientifiche più attuali ed accreditate.
Ciò accade innanzitutto nella Genesi della Bibbia, che racconta come Dio Padre creò in soli sei giorni l’Universo.
Ma come possono sei giorni equivalere a 15 miliardi di anni ?
Questo problema assilò per qualche tempo lo stesso Einstein, ritornato alla lettura della Bibbia (il Vecchio Testamento) in funzione dello scrupolo intellettuale derivatogli dalla sfida di Ben Gurion.
Riflettendo su tale paradossale difformità cronologica, 6 giorni e 15 miliardi di anni,
Einstein realizzò l’incredibile coincidenza, forse solo cabalistica, tra i due valori così immnesamente distanti.
In realtà i valori che misurano il “Tempo” a partire dal Big Bang sono drasticamente
e progressivamente cambiati, in maniera esponenziale.
In base infatti alla sua Teoria della Relatività il tempo all’inizio era estremamente più lento, un miliardo di volte più lento (dato confermato dalla misurazione delle onde di luce primordiali), essendo allora la materia estremamente concentrata e la forza di gravità incredibilmente enorme.
Ma dal momento in cui il nucleo superconcentrato esplose, determinando il Big Bang, il tempo ha sempre più accelerato in maniera proporzionale all’espansione della materia: raddoppiando le dimensioni della materia si dimezzava la forza di gravità e raddoppiava la velocità del tempo.
In tale divenire, assolutamente straordinario, il primo giorno della Bibbia durava otto miliardi di anni, il secondo giorno quattro miliardi di anni, il terzo due, il quarto uno, il quinto 500mila anni, il sesto 250mila !
Il totale equivalente dei sei giorni è di 15 miliardi di anni, cioè esattamente il tempo trascorso dal Big Bang sino ad ora, in base ai più recenti dati scientifici disponibili, ciò che costituisce un’altra coincidenza spaventosa !
Non solo, ma i “tempi” della “Creazione”Biblica coincidono esattamente con gli avvenimenti simultaneamente accaduti nella formazione dell’Universo.
Einstein colse ovviamente tale stranissima curiosità e si dedicò a calcolarne il divenire: il 1° giorno fù la “Luce” (= 8 miliardi di anni), il 2° giorno fù il firmamento (= 4 miliardi di anni), il 3° giorno furono la terra, il mare, le piante (= 2 miliardi di anni, il 4° giorno furono il Sole, la Luna e le Stelle (= 1 miliardo di anni. In realtà esistevano già dal 2° giorno, ma non erano ancora visibili dalla Terra, avvolta in una nebulosa promordiale sino al 4° giorno). Il 5° giorno furono le forme di vita più evolute, pesci e uccelli in particolare (=500 milioni di anni fa). Il sesto giorno iniziarono le forme di vita più intelligenti (250 milioni di anni fa) , che culminarono nel divenire dell’uomo.

E’ questa sicuramente una stranissima coincidenza, forse cabalisticamente casuale, ma Einstein, Scienziato rigoroso ed ineluttabile, non mancò dall’esserne profondamente colpito, seppure non ne avvallò l’autenticità, in mancanza di quelle prove assolutamente certe che sarebbero state necessarie.
Ciò mentre invece sottoscrisse la così detta “Formula di Dio”, che ribadisce la NON casualità del divenire della vita nel caos universale.
Formula per così dire, che rimase tuttavia sempre emarginata, in ambito strettamente scientifico dei pochi addetti alla materia.
Solo recentemente, con la riscoperta, o meglio la verifica sperimentale del “Bosone”, e la pubblicazione del libro in premessa a questo Post, si è aperto uno spiraglio di notorietà per l’argomento, la cui notevole complessità conserva tuttavia assai marginale rispetto al potenziale interesse generale, che privilegia in assoluto il gossip, il calcio, le frustrazioni della speculazione politica, le telenovele in TV…
Tant’è che mi domando in conclusione quanti dei miei quattro più o meno assidui lettori abbiano affrontato la lettura di questo resoconto e quanti di loro abbiano avuto la costanza di arrivare a leggerlo sin qui, cioè sino alla fine.
Li ringrazio comunque, se esistono veramente, per l’ostinata partecipazione,

the lonely dolphin

p.s.: L’argomento inerente il Bosone, la così detta “Particella di Dio”, è specificamente trattato su altro mio Blog: "asino chi legge" nel Post del

6 Luglio scorso, con il titolo
Bosoni &…Busoni”, in cui fra la’altro si evince il curioso motivo della definizione”…di Dio”, motivo assolutamente antitetico ad ogni possibile intenzione ieratica degli scienziati che così l’avevano definito.
 

Blog "asino chi legge"= http://thebrayingdonkey.blogspot.it/




























































































































mercoledì 19 settembre 2012

DECATHLON (non solo... calcio)

DECATLHON

Eaton, recordman mondiale e campione olimpico a Londra 2012
E'gara regina dell'Atletica leggera, che è regina dell'Olimpiade !
Comprende da 10 gare diverse, etereogenee, complessivamente molto impegnative, tecnicamente anche assai difficili (basti pensare alla corsa ad ostacoli ed al salto con l'asta...), che impegna completamente, per ben due giorni, i migliori atleti in assoluto !
 

Per fare il Decatlhon a discreti livelli (oltre i 5 - 6.000 punti) occorre avere
un fisico atleticamente ideale ed una mente adeguata all'impegno estremo.
Il decatlheta deve essere forte ma agile, potente ma resistente, scattante ma capace di mantenere a lungo il ritmo dell'impegno agonistico e deve possedere grandi doti agonistiche, che gli consentano di ripetere , continuamente, per ben dieci gare e per ben 22 prove (3 per ognuno dei sei concorsi, cioè salti e lanci più le 4 della corsa) in 36 ore, cioè dalla mattina del primo giorno alla sera del secondo, il massimo sforzo per la massima prestazione applicando la massima concentrazione !
 

Il Decatkhon è il massimo e quindi il Decatlheta Olimpico è la quintessenza del Campionissimo, in assoluto e senza paragoni, il più dotato fisicamente e mentalmente, il più completo in ogni senso !
Negli altri sport ci sono sempre stati grandissimi campioni, fenomeni incredibili sia per il livello delle prestazioni raggiunte che per la frequenza e durata della loro leadership tecnico agonistica (basti pensare a Jessi Owens, a Carl Lewis, a
Michael Phelps, Jan Thorpe, a Sergej Bubka, a Fausto Coppi, Francesco Moser, e molti, molti altri ancora).
Ma a livello di comune conoscenza, di pubblica fama, nessun Decatlheta ha mai raggiunto la rinomanza di un Bolth, piùttosto che uno dei tanti assi del Calcio.
Ciò accade perchè il Decatlhon è disciplina tecnicamente non facile da seguire, comprendere ed apprezzare.
Per poterla cogliere occorre una cultura specifica, una conoscenza adeguata delle varie specialità previste, ciò che presuppone perlopiù una passione dedita o perfino l’aver praticato almeno marginalmente alcune di quelle.
Di fatto chiunque è in grado di cogliere il prorompente esito prestazionale di un supervelocista che sbaraglia o quasi ogni avversario nello scatto dei 100 metri piani, tagliando il traguardo in soli 9 secondi e mezzo, come fa il fenomeno naturale iperdotato, il Giamaicano Bolth !
Così come è in grado di recepire il drammatico sforzo di un maratoneta che lotta allo strenuo delle sue ed altrui forze per vincere una corsa di oltre 42 chilometri.
Per non parlare di certe azioni spettacolari che determinano un gol rocambolesco, fondamentale per l'esito di una partita di calcio, football, baseball, basket… !
Tutto ciò è facile ed immediato da capire, apprezzare, seguire..
 

Eaton, 184 cm. per 84 kg. nel lancio del peso

Il Decatlhon è un'altra cosa, purtroppo per pochi intenditori iniziati.
Il gesto atletico cambia anche radicalmente quando si passa da una gara all’altra, una dopo l’altra, per dieci volte, spaziando dallo scatto esplosivo dei 100 metri piani e del lancio del peso sino alla corsa relativamente lunga dei 1.500 mt., che implica una capacità alla resistenza assai impegnativa per atleti il cui peso è mediamente oltre gli 80 kg., talora anche oltre i 90 !
Tra i 100 ed i 1.500 ci sono altre prove di forza esplosiva, come il salto in lungo, i lanci del disco e del giavellotto (tecnicamente però più complessi da eseguire efficacemente), prove in cui la forza dirompente si unisce all’estrema agilità ed alla grande difficoltà tecnica di una buona esecuzione, come il salto in alto.
Tutto ciò, ma altro ancora richiede la prova più difficile, il salto con l’asta: per effettuarlo adeguatamente occorre avere l’agile coordinazione di un acrobata, le forti gambe di un velocista, gli addominali di un gran nuotatore, spalle e braccia da lanciatore ! Aggiungete la coordinazione mentale di un violinista e… scusatemi se è poco.

In effetti il Decatlheta ideale è un saltatore con l’asta, ma di taglia leggermente superiore alla media, diciamo di statura oltre i 180-190 cm e di peso tra gli 80 ed i 90kg.
Eaton nel salto con l'asta
Normalmente chi riesce meglio di tutti ad improvvisare un Decatlhon è proprio il saltatore con l’asta, così come un buon Decatlheta riesce perlopiù ad ottenere il massimo punteggio proprio nel salto con l’asta. Come il Formosano Yang Chan Kwang, che stabilì nel 1963 un record mondiale dell’asta proprio nel corso di un decathlon, per il quale ugualmente stabilì il nuovo record mondiale !
Non dimentichiamo però altre due gare assai importanti ed impegnative: i 110 ad ostacoli ed 400 mt. piani.
 


Gli ostacoli dei 110, così detti “alti”( ciascuno supera ampiamente il metro) sono prova anch’essa estremamente impegnativa, per riuscire nella quale occorre grande velocità di base, estrema scioltezza ed agilità, grandissima coordinazione, senso quasi “musicale” del ritmo. Si tratta di…”attraversare” 9 ostacoli alti 107 cm. caduno, correndo alla massima velocità possibile. Attraversarli e non saltarli: un salto vero e proprio comporterebbe perdita di velocità, di continuità e probabile sbilanciamento.
“Attraversarli invece significa mantener il baricentro del corpo il più basso possibile durante il superamento dell’ostacolo, che viene “attraversato” allungando la falcata della corsa in una sorta di spaccata che vede quasi
Sebrle, pluricampione Olimpico e Mondiale
disarticolate le anche dell’atleta, che deve quindi possedere un’estrema scioltezza ed incredibile agilità unite a grande potenza e velocità di base.
I 400 piani non sono tecnicamente difficili, ma sono una prova estremamente impegnativa per il grande sforzo che richiedono. 




Nei 400, più ancora che negli 800,
occorre spendere tutte le riserve di ossigeno disponibili, sino allo spasimo.
Sono la tipica gara “da stress”, dove gli atleti raggiungono il massimo della sofferenza fisica ed agonistica. Ciò è tanto più vero per atleti di taglia relativamente pesante.
In effetti le prove atletiche, dal punto di vista dello sforzo fisico che richiedono, si dividono in tre categorie: quelle brevi, di scatto, forza e/o istantanea agilità, come tutti i salti, i lanci e le corse brevi, fino ai 200 mt., in cui durata dell’impegno fisico non supera i 25 secondi, che sono un tempo insufficiente a bruciare tutto l’ossigeno contenuto nelle riserve di sangue e polmoni di un atleta in forma, ben allenato.
Quelle lunghe, in atletica leggera dai 1.500 mt. in poi, per cui gli atleti sono necessariamente indotti a comportarsi in maniera “aerobica”, cioè ad impegnarsi costantemente entro e non oltre il limite massimo delle proprie riserve di ossigeno.
Se superano tale limite finiscono per il perdere “fiato”, la loro resistenza allo sforzo vien meno e sono costretti a rallentare o perfino a fermarsi !

I 400 mt. (ma anche gli 800) sono invece nella “death zone”, la zona della morte…, dove gli atleti sono indotti, proprio dalla durata breve ma già lunga della gara, a spendere tutte le loro energie, dando fondo ad ogni possibile riserva.
Eaton all'arrivo dei 400
Chi arriva in fondo alla gara dei 400 ed ha ancora del fiato vuol dire che non ha fatto una buona gara: avrebbe potuto fare di meglio.
Ed in effetti spesso succede che ai 350, a 50 mt. dal traguardo, si arrivi senza più ossigeno nei polmoni e quello che si riesce ad incamerare con la respirazione è ormai insufficiente per sostenere il massimo sforzo. L’acido lattico nei muscoli ha una concentrazione tale da intasarne le funzionalità ed ogni ulteriore falcata rappresenta un eroico tentativo per la vittoria od un buon piazzamento.

Ed è allora che si deve “morire”! Stringendo i denti e continuando a spingere sino in fondo, spesso rischiando di finire “imballati”.
Le tattiche indicate e suggerite per questo tipo di prova sono diverse e cambiano anche in funzione delle caratteristiche dell’atleta e della strategia che richiede il confronto con i suoi avversari.


Una volta gli allenatori consigliavano perlopiù di spingere al 90% dell’impegno sino ai 200 mt., risparmiarsi poi un poco sino ai 300 e quindi dare il massimo nei 100 mt. finali. Tattica decisamente prudenziale, che trova oggi un deciso contrasto nell’indicazione: spingere al massimo o quasi nei primi 200, attaccare poi aumentando fino ai 300 ed infine darci dentro alla morte negli ultimi 100 !
Personalmente mi comportavo così nei 100 mt. stile libero, gara di nuoto equivalente come sforzo alla corsa dei 400 piani: controllavo gli avversari nelle prime 2 vasche (2 per 25 = 50 mt., allora era raro poter gareggiare in vasche da 50), cercando di restare tra i primi, poi attaccavo al massimo nella terza vasca (cioè sino all’ultima virata dei 75) ed infine spingevo alla morte negli ultimi 25, arrivando alla fine in totale debito di ossigeno.
I 400 piani li ho corsi solo pochissime volte ed unicamente in funzione del Decatlhon,ed ogni volta è stata una prova terribile ( ma anche i 1.500 erano un bel calvario).

Jin Thorpe, Olimpionico del 1912

La storia del Decathlon è stata scritta da una lunga serie di grandissimi campioni,
dallo statunitense sangue misto Jim Thorpe, mezzo pellerossa e mezzo irlandese, olimpionico nel 1912, poi a lungo acclamato e consacrato come il più grande atleta di tutti i tempi, sino al vincitore di Londra 2012: l’afroamericano Ashton Eaton, primatista mondiale con 9.039 punti.
Tra di loro spiccano numerosi nomi di rilievo, di cui ricordo solo i più recenti:
Rafer Johnson, olimpionico a Roma nel 1960 per una manciata di punti sul Formosano Yang Chan Kuang, altro formidabile deathleta che nel 1963 fù il primo a superare i 9.000 punti con le tabelle allora in vigore, mandando in crisi il comitato
Internazionale che definiva il valore dei punteggi: infatti Chan Kuang  stabilì, nel corso di quel decathlon, il nuovo primato mondiale assoluto di salto con l’asta, superando così i limiti massimi della tabella, che dovette per l’occasione essere riaggiornata…Memorabile comunque resta il suo testa a testa con Rafer Johnson nell’olimpiade romana, durato fino all’ultimo metro dell’ultima gara, i massacranti 1.500 piani. Chan, agile e leggero (180 cm per 80 kg.) vinse tutte  le gare tranne i lanci, dove fù surclassato dal possente Johnson (191 per 90 kg.), che alla fine ebbe il punteggio dalla sua, ma solo per pochissimi punti.

Yang Chan Kwan,mondiale 1963
Memorabile resta anche il video (che ripropongo in chiusura di questo post) che racconta il duello tra i due, magistralmente narrato nell’ambito del film
“La grande olimpiade”, di gran lunga il migliore mai realizzato sull’argomento.

Thorpe, grande nella storia

Altro gran fenomeno fù il già citato Jim Thorpe (183 cm. per 86 kg.), cresciuto in una tribù indiana, precocissimo atleta, grande giocatore di fottball americano, fù improvvisato decathleta in occasione delle Olimpiadi del 1912, dove sbaragliò ogni avversario, stabilendo poi ripetuti records mondiali ed anche  premiato come il più grande atleta del mondo. Thorpe fu poi validissimo ed acclamato campione anche nel baseball, ma la sua carriera s’incrinò quando il rigidissimo puritanesimo allora incombente lo tacciò di professionismo, per compensi avuti giocando a baseball.
Fù costretto a restituire tutte le medaglie avute e fù depennato da ogni classifica sportiva ! Il povero Thorpe finì alcolizzato, a vivere come un barbone in una misera roulotte.
Notevolissimi anche gli ultimi campioni olimpici prima di Eaton: il Ceco Sebrle (186 cm. per 88 kg.) ed altri ancora, trutti over 9.000 !

Ma cosa significano 9.039 punti ?
Sono la somma dei punti che l’atleta ha conseguito in ognuna delle 10 gare effettuate.
Per convenzione internazionale, cui concorre un qualificato comitato di esperti, esistono infatti delle Tabelle che prevedono un punteggio, che va da zero ad oltre 1.200 punti per ogni gara, in funzione del risultato.

Queste tabelle fanno riferimento per il punteggio massimo a quello che è il record mondiale della specialità, prevedendo altrimenti come minimo il risultato ciò che può ottenere un mero principiante, mediocremente dotato e preparato.
Eaton nell'alto
Mediamente ogni 5 – 10 anni le tabelle vengono aggiornate in funzione degli incrementi verificati per i record mondiali di ogni specialità.
Per fare un esempio banale, il 9”58 di Bolt nei 100 mt. possono valere il massimo, cioè 1.200 punti, mentre 1 solo punto và a chi corre la stessa distanza in 18”00.
In tale contesto Ashton Eaton, correndo in 10”21 in occasione del suo record
Mondiale di Decathlon, prese 1.044 punti.
Il massimo punteggio l’ ottenne con 1.120, saltando un formidabile 8,23 mt. lungo! 

Superò i 1.000 punti anche nei 110 ostacoli (1.014 punti) ed ovviamente nel salto con l’asta (1.004 punti). I punteggi più bassi li ebbe nel getto del peso (741 punti), del disco (722) e del giavellotto (721).
In effetti Eaton non ha propriamente un fisico da lanciatore: è alto “solo” 184 cm. e pesa “solo” 84 kg. ( alle olimpiadi di Londra la media dei Decathleti era oltre i 190cm. di statura e sui 90 kg. di peso !).
Sarà un caso, ma quando ottenni il mio modesto record personale in un decathlon totalmente improvvisato, nell’Ottobre del 1965 al campo dell’Arcella, a Padova, avevo esattamente gli stessi età, statura e peso di eaton: 24 anni, 1 metro e 84 per 84 kg..
Ero in una forma strepitosa, ma sopratutto grazie al nuoto (avevo appena vinto il Campionato Italiano di nuoto salvamento, con la Rarinantes Patavium) e lasciate le fredde acque della piscina (allora non esisteva la vasca coperta e riscaldata) ero da solo qualche settimana ritornato all’atletica leggera.

I 5.500 punti circa che ottenni (allora il record mondiale superava appena gli 8.000 punti) furono per me un esito notevole e sorprendente, anche in quanto ero assolutamente privo di preparazione specifica ed improvvisavo, forte per altro di un eclatante forma fisica, per cui avevo in abbaondanza fiato, resistenza, elasticità  e grande rapidità di esecuzione muscolare. La conoscenza tecnica per l’esecuzione di ciascuna gara era comuque abbondantemente parte della mia cultura, avendo per anni già praticata l’atletica leggera.
Ciò che mi porta a sbilanciarmi nell’affermazione per cui, se mi fossi specificamente allenato e preparato, non avrei probabilmente mancato di reggiungere in un paio d’anni i 7.000 punti che costituivano allora l’eccellenza della specialità.
Ma a quei tempi io ero un più o meno disperato studente fuori corso e lavoratore precario, che faticava non poco a mettere insieme il pranzo con la cena e l’affitto della camera ammobiliata in cui abitava.
Bei tempi, nonostante tutto !
Ed in effetti, nonostante i disagi della totale carenza economica, la fame e talora anche la solitudine, grazie allo sport praticato, Decathlon incluso, io mi sentivo fisicamente invincibile, una sorta di semidio, ed il mio look era a quei livelli, quando salivo sul blocco di partenza in piscina, così come quando scendevo in pedana per il lancio del disco o in corsia per il salto con l’asta.

C’erano perfino delle ragazzine che che venivano a vedere le gare di nuoto appositamente per guardare me, incitandomi alla vittoria: “forza Nembo Kid”,  (allora quello era il nome del Superman dei fumetti), perché così mi avevano battezzato.
Nembo Kid
Bei tempi e bei ricordi, rivangare i quali mi è nostalgico vanto e debolezza, che spero verranno perdonate ad un vecchio blogger.

Tornando al Decathlon voglio ricordare che esistono anche altre prove “multiple” di notevolissimo valore ed impegno: l’Eptathlon femminile (sette gare di atletica), il Pentathlon moderno ed il triathlon, tutte competizioni che prevedono
grandissimi impegno, doti e capacità ecletiche per gli atleti di valore che in esse emergono.
In atletica femminile l’Eptathlon ha da alcuni anni sostituito il Pentathlon ed è probabile che in futuro anche le donne arriveranno a fare tutte le dieci gare !
In effetti ora esse praticano regolarmente specialità che non molti anni fa erano riservate ai soli uomini: salto con l’asta, lancio del martello, salto triplo…
Il Pentathlon si rifà invece alla vecchia tradizione militare del percorso di guerra, prevedendo la corsa a piedi, a cavallo, il nuoto, il tiro con la pistola e la scherma.
Il triathlon è la più recente delle prove multiple, cui sono dediti atleti di grandissime capacità, in grado di nuotare e correre, sia a piedi che in bicicletta ai massimi livelli.

Ma il triathlon è anche una delle massime espressioni dello sport di resistenza, in quanto le 3 prove, nell’ordine nuoto, bici e corsa a piedi, avvengono senza interruzione, una di seguito all’altra.
E l’ “Iron Man”(Uomo di ferro) ne è la massima espressione, trattandosi di una gara di gran fondo, in cui gli atleti prima nuotano 6 km, poi di seguito corrono in bicicletta per 180 km. ed infine, sempre di seguito, corrono la…Maratona, cioè 42 km. e rotti !
Triatleta al termine della 1^ prova
Ciò che significa, per i più bravi, circa 9 ore di durissima, impegnativa competizione !
Per valuterne meglio la portata basti considerare che il vincitore dell’Iron Man ha poi bisogno di circa sei mesi per smaltire tutta la fatica di quella gara e recuperare di nuovo la piena forma fisica.

Vorrei vedere i grandi eroi del calcio, i tanto osannati e strapagati campioni del pallone, idoli delle folle supertifose ed ipercampaniliste, vorrei vederli alla riprova
di sifatte competizioni !

Un’ultima, più pacata considerazione: il Decathlon è anche cultura, non solo dello sport, ma anche di vita. Esso infatti presuppone un approfondita conoscenza di svariate tecniche di difficile esecuzione (l’acrobatico salto con l’asta, la corsa veloce “attraverso” gli ostacoli, il complicato avvitamento dorsale del salto in alto, la sapiente rincorsa con stacco di battuta millimetrica nel salto in lungo, il gesto ben modulato e calibrato dei lanci, disco e giavellotto in particolare, il buon dosaggio delle forze nelle corse di resistenza, i 400 ed i 1.500 piani). Non solo, ma richiede anche e soprattutto un atteggiamento mentale di tipo catartico, votato a lunghi ed impegnativi allenamenti, che durano anni, spesso nell’oscurità dell’anonimato che accompagna la scarsa popolarità di questa specialità presso il crasso pubblico, buon fruitore solo di gesta di facile lettura sin dai tempi dei gladiatori e delle belve nell’arena del Colosseo,
i “circensem”, che con il “panem” solevano chetare i possibili fermenti populorum…
Così come oggi il calcio, che spesso anzi li aizza, ma reindirizzandoli (in altri termini:
è meglio che le teste calde, v. soprattutto gli “ultras” si scannino tra di loro, che non se la prendano con chi gestisce il potere, che sempre più spesso meriterebbe un tale accanimento avverso !).
E il Decathlon si trova esattamente agli antipodi di tutto questo.
Ed è forse anche perciò argomento per pochi iniziati intenditori.
Un aspetto notevole di questo sport è il grande cameratismo e spesso l’amicizia che unisce gli atleti praticanti in competizione tra di loro, che vivono frequentemente insieme, a stretto contatto, le due lunghe giornate di gare, finendo talora per darsi consigli reciproci su come effettuare un determinato gesto atletico, disenteressatamente, anzi in palese contraddizione sul proprio interesse !

Yang Chan Kwang nell'alto
Così come a me è capitato più volte di fare, dando e ricevendo utili consigli durante le gare. Ricordo ad asempio, ai campionati Italiani Juniores tale Cleante Zat, Friulano giovane atleta di valore (negli successivi preparatore atletico del Milan), che nel getto del peso “spezzava” la linea di spinta tra gambe e spalle piegando lateralmente la vita. Lo notai e glielo dissi, lui si corresse ed aumentò subito di ben un metro il suo record, vincendo la gara. Io arrivai così secondo, ma migliorando anch’io il mio record di quasi un metro, grazie al suo consiglio, di chiudere meglio la spallata, che altrimenti non completavo mai a dovere.

E su quest’ultimo ricordo chiudo la mia lunga disamina di un magnifico sport, la gara Regina dell’Atletica Leggerea, a sua volta Regina dell’Olimpiade !

The lonely dolphin

p.s. : dopo le brevi tabelle, relative agli esiti mondiali dell’Olimpionico Eaton
ed alla classifica dei grandi della specialità, consiglio la visione del magnifico duello dell’Olimpiade Romana, Jhonson versus Chang, 1960.

(Il video non è ancora disponibile, provvederò ad avvertire non appena lo sarà)