(Cat Boat identico ad Aglaja)
AGLAJA (5^ parte)
Soria di un cat boat e di altre barche curiose.
Mio fratello, sua moglie a loro tenera cagnolina
proseguirono allora da soli, da Rovigno verso il Sud delle ambite Isole
Kornati, contro il vento teso e le onde contrarie al loro andare, finchè
finalmente giunsero a Lussino.
Quello che nei programmi avrebbe dovuto essere la meta
del primo giorno di viaggio fù raggiunta solo dopo una settimana, o poco meno.
(veduta aerea della baia principale di Lussino)
La baia di Lussino è ampia e relativamente riparata, ma
quando soffiano i forti venti, dal Quarnaro o dai Balcani, non c'è riparo che
tenga.
Il tempo volse al peggio ed in porto non c'era un
attracco libero dove meglio riparare. Finirono così in una cala, dall'apparenza
relativamente sicura, dove eran già ancorate diverse barche di diportisti ed
altre ancora poi vennero a rifugiarsi.
Posizionate ad arte più ancore in sicurezza mio fratello
ritenne di poter stare relativamente tranquillo in quella rada.
(a destra: piccola cala nella baia di Lussino)
Ma durante la notte il vento rinforzò ulteriormente,
accanendosi sopratutto contro un enorme ferro da stiro, un grande Yacht scarso
di chiglia e di ancoraggi, ma altissimo fuori dall'acqua, contro le cui murate
il vento trovò la massima presa, spostandolo verso la vicina scogliera e
facendo "arare" l'unica ancora che improbabilmente avrebbe dovuto
tenerlo fermo all'ormeggio.
Ma mentre l'ancora arava sul fondo, trascinata dal
bestione, raccolse e portò con se anche altre ancore, tra cui quelle del cutter
di mio fratello, che si trovò così trascinato verso gli scogli nel buio della
notte tempestosa.
Quando si accorse dell'accaduto la sua barca era ormai
inclinata, adagiata sugli scogli, quasi schiacciata dal bestione che ce l'aveva
spinta !
Inutilmente cercò di districarsi, anche sbattendo
violentemente i pugni ed urlando contro l'enorme ferro da stiro che aveva
causato quell'arrembaggio.
I suoi occupanti si erano ermeticamente chiusi
all'interno senza reagire.
Dopo una notte terribile, al mattino si accorse che il
bestione se l'era filata all'indiana e lui, liberatosi dagli scogli, verificò
che la sua barca galleggiava ancora...
Ma il motore niente da fare ! Era successo qualcosa sotto
la linea di galleggiamento che non era, in quella situazione, in grado di
verificare.
Decise allora di tentare il ritorno a vela verso il porto
di Lussino, per raggiungere il quale avrebbe dovuto attraversare alcune miglia
di mare aperto. Quando uscì dalla cala si ritrovo in balia di un vento d’
intensità tale da non permettere di esporre neppure la minima vela della
tormentina. Vento che soffiava ad oltre cento chilometri l'ora e che strappò
via da poppa la fune che legava il tender (gommoncino di servizio) nuovo di
zecca: lo videro volare in cielo come fosse stato un palloncino...
In completa balia di una situazione incontrollabile,
trascinati a velocità folle dal vento fortissimo, nonostante la totale assenza
di vele, in un mare frastornato dai marosi che impedivano qualsiasi possibilità
di controllo, chiesero soccorso via radio lanciando il "mayday"(S.O.S.),
ma senza alcun esito: la guardia costiera Croata faceva orecchie da mercante…
Sparò allora alcuni razzi e fù alla infine soccorso da un
cabinato a vela di ragazzi Romani che stavano arrivando da Ancona, che
procedendo a motore lo rimorchiarono sino in a Lussino, in porto, dove rimase
bloccato per circa due settimane.
Prima in attesa di riparazioni e poi che il brutto tempo,
che ancora insisteva, gli consentisse di ripartire finalmente verso casa.
Arrivò ad Aprilia verso fine Agosto, con dieci giorni di ritardo
sui tempi programmati. Ormeggiata finalmente la barca nel suo porto base,
ripartirono alla volta di Padova. Ma in autostrada, a metà percorso, gli si
fuse il motore dell'auto, una Lancia Thema !
Solo dopo svariate altre ore giunsero finalmente a casa,
in taxi, dove li attendeva la coppa dei vincitori: per la sfiga che più nera di
così…!!!
La casa c’era ancora, stranamente non era bruciata…
Dopo quell'episodio mia cognata praticamente cessò di
accompagnare mio fratello
per mare: solo salire sulla barca le creava
un'insopportabile crisi di ansia.
Mio fratello trovò altra episodica compagnia , ma
sopratutto conclamò la sua vocazione di "navigatore solitario". Con
figli ed amici partecipò ad alcune edizioni della"Barcolana",
regata storica che parte da Trieste, ed in solitario finalmente raggiunse, qualche estate dopo, le ambite Kornati, le isole della costa Dalmata nel Sud della Croazia.Viaggio che presuppone, con un due alberi non specificamente attrezzato per l'andare "in solitario", abilità, coraggio e determinazione da vero skipper !
regata storica che parte da Trieste, ed in solitario finalmente raggiunse, qualche estate dopo, le ambite Kornati, le isole della costa Dalmata nel Sud della Croazia.Viaggio che presuppone, con un due alberi non specificamente attrezzato per l'andare "in solitario", abilità, coraggio e determinazione da vero skipper !
Del resto non era la
prima volta che quel mitico Cat Boat restasse fermo in banchina o addirittura
in un capannone polveroso, lontano dal mare.
Non ricordo come
accadde, ma fù probabilmente il solito amico, già secondo originario armatore
di Aglaja, cui avevo segnalato la situazione della sua ex barca, che in un
impeto di nostalgico romanticismo mi propose di riacquistarla, in società con
lui e portarla sul lago di Como, al circolo velico di Domaso, dove io allora già
tenevo e talora perfino usavo le mie derive, prima la Fusilla e poi il Ponent.
“La portiamo lassù e
poi ce ne andiamo in giro per il lago, magari con le mogli e gli amici, comodi
e rilassati…, volendo ci possiamo anche dormire dentro…” .
Da solo non l’ avrei
mai fatto, ma in società…mi feci convinto.
Trattammo il prezzo
d’acquisto con mio fratello ed acquistammo il diritto per un posto barca all’ormeggio
per sei anni nel porticciolo turistico di Domaso.
Il recupero della
barca implicò un lungo viaggio di 800 km., tra andare e tornare.
Soprattutto tornare,
con un carrello non specificamente attrezzato, su cui svettava altissimo e
pesantissimo il Cat Boat, trainato dal mio Pik up Mitsubishi L200,
in quell’occasione
messo alla prova da tanto traino. In autostrada, dalle parti del lago di Garda
trovammo anche un forte vento che, nonostante la nostra velocità fosse ridotta
al minimo consentito (80 kmh), ci fece a lungo “beccheggiare”, uno scuotimento
preoccupante che faceva sobbalzare auto e carrello, insieme a tutta la barca.
(il Ponte
di Paderno, eretto sull'Adda a fine '800 per consentire il transito
della ferrovia
Seregno-Bergamo. Sotto scorre l'Adda, già via d'acqua tra
Venezia ed il lago di Como)
Ci vollero ben 7 ore
per percorrere quei 400 km
fino a casa, e mentre guidavo considerai che una
navigazione “fluviale” sarebbe stata ancor meno veloce, ma assai più comoda ed
amena. E sino a tutto il 1.800 era ancora possibile, navigando lungo l’Adriatico
sino alla foce del Po’, per poi risalirlo sino all’Adda, che allora era ancora
navigabile grazie anche ad appositi canali dotati di vasche e chiuse, tipo
Panama, per superare i 100 e passa metri di dislivello tra il Po’ ed il lago di
Como…
Chiuse progettate
svariati secoli prima da quel geniaccio di Leonardo da Vinci nel suo periodo Milanese,
quando stava dipingendo l’Ultima Cena e spesso se ne scappava sull’Adda, con la
scusa di trovare ispirazione per forme e colori, in realtà per giocare ad uno dei suoi
tanti divertimenti: fare l’ingegniere idraulico !
E ad Imbersago,
lungo l’Adda non lontano da Lecco, c’è ancora in funzione un traghetto
progettato da Leonardo, spinto unicamente dalla corrente del fiume, che collega
le sponde Comasca e Bergamasca, caricando anche qualche auto.
(Il traghetto sull'Adda ad Imbersago, che collega le sponde Comasca e Bergamasca sfruttando come forza motrice la sola spinta della corerente, secondo quanto progettato da Leonardo da Vinci)
L’Aglaja aveva sicuramente necessità di una revisione importante prima di tornare a navigare in sicurezza e noi avevamo ipotizzato di provvedere con il “fai da te”, utilizzando lo spazio coperto della ex stalla di un amico compiacente.
L’Aglaja aveva sicuramente necessità di una revisione importante prima di tornare a navigare in sicurezza e noi avevamo ipotizzato di provvedere con il “fai da te”, utilizzando lo spazio coperto della ex stalla di un amico compiacente.
Il giorno dopo,
mentre cercavamo con mezzi di…”sfortuna”di scaricare dal carrello quella
tonnellata e passa di barcone poco ci mancò che il tutto crollasse addosso a
mio figlio, arruolato per aiutarci nell’impresa.
Io, che ero già poco
convinto di quella soluzione, a quel punto sbottai, innanzitutto con me stesso:
“ma che cavolo stiamo facendo, ultracinquantenni rincoglioniti alle prese con l’utopia
di un lavoro che non è il nostro e che probabilmente risulterebbe nel migliore
dei casi inadeguato?”.
Fu una delle poche
volte che per primo mi arresi ! Per fortuna.
Così, seduta stante,
decidemmo di trasferire immediatamente il tutto al vicino cantiere Dalò, mastro
d’ascia costruttore e restauratore di barche.
Che era un tipo alla
sua maniera, da prendere con le pinze, ma del quale il solito amico era già
stato ripetutamente cliente.
Dalò considerò con
distacco e sufficienza la nostra richiesta d’intervento, mise subito le mani
avanti dicendo che non aveva tempo, ma alla fine scaricò il barcone con il suo
attrezzato paranco elettrico e concluse che avrebbe visto cosa poteva fare, se
e quando avrebbe avuto tempo da dedicarvi.
Ma dopo circa un mese
il nostro Cat Boat era pronto, risanato, rinnovato e modificato. Su
suggerimento dello stesso Dalò avevamo ad esempio eliminato il motore entrobordo,
ritenendolo non indispensabile per la navigazione lacustre, ma che implicava
pericolose possibilità d’infiltrazioni d’acqua e complicazioni di risanamento
dello scafo.
Il costo totale
della nostra nuova Aglaja divenne così assai più importante di quanto non
avessimo preventivato…
Bisognava allora sfruttarla
al massimo per ammortizzare…!
Iniziammo con il
trasferirla lungo tutto il lago da Como a Domaso, facendo tappa a Bellagio, a
metà degli oltre 60 km.
del tragitto, considerato che da Como eravamo partiti tardi, a pomeriggio
inoltrato, procedendo sempre a motore, anche perché nel basso ramo Ovest del
Lario il vento è quasi sempre carente.
La mattina dopo
invece procedemmo finalmente con le vele spiegate, in totale armonia con le
nostre propensioni, godendo la bella giornata domenicale.
(qui sopra: lo "Sporting", circolo velistico di Domaso, in alto Lario)
E furono poi
fortunatamente molte le occasioni di navigazione, negli anni successivi, tra
Colico, Bellagio, Menaggio, nel ramo alto e ventoso del lago, quello che vede spesso
radunati velisti e surfisti provenienti anche in massa dalla vicina Svizzera,
dall’Austria e dalla Baviera.
Lo schema tipico
era: raggiungere l’alto lago in auto, talora con le mogli, il Sbato mattina e
rientrare la Domenica sera, dopo un intero week end a vela, giù e su per il
lago. A dormire andavamo perlopiù in un alberghetto vicino alla foce del
torrente Mera, non lontano da Domaso (non dormimmo mai in barca, ritenendolo
troppo scomodo). Facevamo perlopiù colazione a bordo e cenavamo in qualche
buona trattoria. Si navigava di solito in tranquillo dislocamento, sfruttando i
venti tipici del lago, la Breva ed il Tivano, che seguono le classiche termiche
indotte dall’irradiamento solare tra i monti, i lago e la pianura.
Ma a volte capitava
di dover affrontare anche venti molto tesi, che scendevano turbinosi dalle alpi
di confine, tra la Valtellina, la Svizzera e l’Austria, cioè essenzialmente
Saint Moritz, il Maloja, Davos. Ed allora bisognava impegnarsi, perché in
neppure 5 km.
di lago, tra Domaso e la foce immissaria dell’Adda, potevano formarsi onde di
due metri !
Per non parlare
delle raffiche.
Una volta, era un’incredibile
giornata di Novembre, ma quasi estiva, stavamo placidamente dondolando in barca
mentre facevamo colazione. Appena arrivati, nella tarda mattinata avevamo
preparato l’Aglaja ed eravamo usciti di qualche cento metri dal porticciolo,
verso Gravedona. Non lontano dalla costa, con le vele issate e totalmente
aperte, che neppure si muovevano nella totale assenza di vento.
Vento che solitamente,
seguendo la termica, se non arriva nella tarda mattinata lo fa nel primo
pomeriggio. Ed appunto in attesa che arrivasse decidemmo di fare colazione. Tranquillamente
seduti nel pozzetto con tutte le vele issate ma cindolanti per la totale
assenza di movimenti d’aria, mangiavamo
un grosso e ben farcito filone di pane appena confezionato, tenendoci accanto,
a breve portata, il relativo beveraggio.
Io ero accanto al
timone, quando improvvisamente, senza alcun preavviso, senza la minima
premonizione, ci colse una fortissima raffica di vento, così, nata dal nulla !
E ci trovammo,
totalmente impreparati, con la barca inclinata sin quasi a scuffiare !
(in alto: cabinato che sta "scuffiando"...!)
Fortunatamente la barca,
completamente libera alle vele ed al timone, si allineò subito in parallelo al
vento, orzando sino a sventare, così da ritrovare automaticamente l’equilibrio
utile ad un sicuro galleggiamento.
Rimediammo quindi il
poco che si era salvato della nostra colazione e ci accingemmo a navigare con
molta circospezione !
Colpi di vento così
forti ed improvvisi capitano sul lago, seppure non sono frequenti e talora
fanno anche vittime tra i naviganti, soprattutto i surfisti, e tra coloro che
si buttano sul lago, dalle alte vette dei monti circostanti, con il deltaplano
o il parapendio.
Nell’Agosto dell’89 avevo
in corso un trasloco a Cantù, in una zona collinare prospiciente il ramo Sud
Ovest del Lario. Era una giornata limpida e molto calda e stavamo sistemando i
gerani sul grande terrazzo panoramico verso Como, cioè verso il lago, non
lontano dalla torre Baradello.
I pesanti vasi di
gerani, 15-20 kg.
ciascuno, erano posati a terra, sul pavimento piastrellato del terrazzo.
Improvvisamente, dal
nulla totale, arrivò una fortissima raffica di vento, come fosse nata da un
improvviso tsunamy…, un soffio di almeno 90 km. l’ora che raccolse tutti i vasi a terra
facendoli rapidamente scivolare sul pavimento sino ad arrembarli all’estremita
del terrazzo, contro la ringhiera…Mai vista una cosa simile !
Quella sera dai
Telegiornali imparammo di alcuni decessi verificati quel pomeriggio, alla
stessa ora, tra i deltaplanisti in volo sul lago e tra i surfisti in
navigazione: erano stati colti per aria o tra le onde e violentemente sbattuti
sott’acqua. Chi si era salvato raccontò che era stato solo per miracolo !
(Parapendii decollati dal Cornizzolo stanno veleggiando sul lago)
Ma a parte questi
rari episodi ed altre meno anormali situazioni di emergenza da non sottovalutare,
nell’alto Lario si navigava normalmente bene, in sicurezza, rilassati per la piacevole
atmosfera del lago, godendo dei magnifici panorami, fatti di paesaggi tipici,
villaggi e ville di rinomanza storica, Chiesupole, Monasteri, e le alte montagne
spesso innevate che fiancheggiano il lago e sin’inoltrano nella Valtellina,
verso la Svizzera ed il Trentino.
Nei tempi lunghi
anche quell’andare poteva finire con il risultare monotono, come girare in
continuazione intorno all’isola di Pelestrina…, ma risultava comunque sempre
ricreativo, soprattutto se arricchito di escursioni a piedi, passeggiate lungo
lago e, soprattutto per quanto mi riguarda, grandi nuotate.
Il vero lato
negativo era il viaggio in auto, soprattutto il ritorno la Domenica sera,quando
si rischiavano code di decine di chilometri sulla sponda Lecchese, ma anche
oltre, sulla superstarda Valassina che riporta a casa le miriadi di Milanesi dal
weekend. Un vero strazio, talora in grado di rovinarci tutto il divertimento,
facendocelo pagare con gli interessi. E fù soprattutto per questo motivo che sempre
più ralentammo negli anni la nostra frequenza a Domaso.
Capitò più di una
volta che il sabato mattina, partiti per andarvi tornavamo indietro dopo pochi chilometri,
prima ancora di Lecco, trovando la statale già bloccata dal traffico immane, spesso
ripiegando verso altre mete, come escursioni ai Corni di Canzo o ad altre
montagne del triangolo Lariano.
Da velisti a
scarpinatori d’altura, per giocoforza.
Ciònondimeno furono
tante le nostre piccole crociere con l’Aglaja, spesso in compagnia di altri amici,
grazie ai quali diventavano ai nostri occhi meno ripetitivi i soliti panorami
dejavù.
E con uno di questi
amici sperimentai la seconda, notevolmente pericolosa avventura di navigazione
con Aglaja, dopo quella del passaggio nel canale di Malamocco con mio fratello,
precedentemente raccontata.
Credo fosse il suo
battesimo della vela e…fù un gran bel battesimo !
Giunti a Domaso
nella tarda mattinata ripartimmo subito con l’Aglaja verso Sud,
veleggiando nella
calda e bella giornata estiva sulla spinta di un vento da Nord calmo e costante,
l’ideale per una tranquilla navigazione in totale relax.
Scendemmo così per
circa 30 km.,
sin quasi a Bellagio, dove s’incrociano i tre rami del Lario: quello Lecchese
raccontato dal Manzoni, dove l’Adda fuoriesce avviandosi verso il Po’, quello
Comasco, che và a morire nel chiuso ed inerte bacino Ovest del Capoluogo Lariano
e quello Nord, da cui noi provenivamo, scendendo dalla Valtellina e dal quale
soffiano sempre o quasi i venti più importanti.
Una navigazione
piacevolissima, con il vento perlopiù in poppa, con le vele perlopiù
organizzate“ad ali di farfalla”, cioè con la randa aperta su di un lato ed il
fiocco sull’altro: andatura molto redditizia ed anche spettacolare, perché la
barca si presenta in navigazione con le vele maestosamente spalancate per chi
la guardi in avanzamento da prua o in allontanamento da poppa.
Non è un assetto
facile da tenere, essendo soprattutto nell’abilità del timoniere correggere
continuamente la posizione della barra, in modo da conservare l’equilibrio ed
evitare che una delle vele possa improvvisamente girare dal lato opposto.
Non ero nuovo a quel
virtuosismo, comunque mi divertii molto ad ovviare così alla monotonia dell’andatura
al gran lasco, forse una delle più noiose per un velista che non abbia lo
Spinnaker da alzare, e sul Cat Boat non l’avevamo.
Ci rilassammo cosi
per circa 4 ore, bordeggiando dolcemente, gustando i splendidi panorami del
Lago, facendo colazione e chiaccherando..
Poi il ritorno,
quando sapevo mi sarei divertito a veleggiare di bolina per risalire il vento e
ritornare verso Nord, in alto lago. Ma non immaginavo…”quanto”… mi sarei
divertito !
All’inizio fù una
bella bolina, divertente, piacevole, gratificante, con la possibilità di fare ampi
bordi nella zona più larga del lago, quella centrale.
Ma via via che
risalivamo verso Nord il vento si faceva sempre più teso ed incostante,
con rafficche
improvvise, impegnative da controllare.
Il mio amico non
denunciava ancora preoccupazione, pur essendo alla sua prima esperienza
velistica, ma sicuramente cominciava a sentirsi meno tranquillo, anche perché andando
di bolina si viaggia normalmente sbandati, con la banca poco o tanto inclinata
su di un fianco, dando sempre ai neofiti la sensazione di potersi rovesciare da
un momento all’altro…
Io invece avevo
cominciato a divertirmi sul serio !
Quello era il vero
andare a vela !
E così continuai a
divertirmi per più di un’ora. Ma poi la situazione divenne eccessiva, con il
vento che turbinava fortissimo contro di noi, spesso incattivito da raffiche
improvvise ed il lago che, inizialmente solo increspato dal vento, ora ci muoveva
contro onde dirompenti, alte anche più di un metro, che ci facevano
beccheggiare fortemente e c’innondavano con spruzzi sempre più frequenti ed
abbondanti di acqua decisamente fredda.
In quella situazione
io avrei avuto bisogno di collaborazione per regolare meglio le vele, soprattutto
per aiutare le scotte in fase di virata (e andando di bolina in un percorso
lungo e stretto come quello del lago di Como, le virate si sprecano !).
Ma il mio amico non
solo era totalmente profano, ma non poteva ormai intervenire neppure sulle
manovre più semplici che io gli chiedevo di eseguire: lui infatti soffre di una noiosa
allergia al freddo, soprattutto se bagnato, per cui gli si gonfiano
incredibilmente le mani e non riesce più ad usarle !
In questa situazione sempre più precaria e pericolosa, con raffiche tesissime e onde frangenti che ormai raggiungevano i due metri, arrivammo infine all’altezza di Dongo (la località del mitico “oro mussoliniano”), poco prima di Domaso, dove facemmo una virata da regata, a pochi metri da riva, per il notevolissimo impegno che implicavano quelle condizioni.
Poi procedemmo, velocissimi e sbandati, per la riva opposta del lago, dove avremmo dovuto fare l’utlima virata all’altezza dell’imbocco del laghetto di Piona, una piccola e suggestiva baia dell’alto lago, pochi chilometri prima di Colico, dove il lago termina ed inizia la Valtellina.
Calcolai che, per
quanto la prua puntasse decisamente più avanti, causa deriva e scarroccio saremmo
infine giunti a virare sull’imbocco di quella baia o poco più
Oltre.
Nel frattempo curavo
la massima attenzione a non investire alcuni surfisti alla deriva sulle onde ! Come
spesso capita in queste circostanze molti di loro insistono nel veleggiare sulle
loro precarie ed instabili tavole nonostante il pericoloso rinforzo del vento,
finchè non riescono più a controllare la situazione per gestirsi in equilibrio
sino a riva, rimanendo quindi in balia di situazioni normalmente assai scomode,
talora anche pericolose.
Giunti all’altezza dell’imbocco della baia di Piona ne incontrammo alcuni alla deriva, sbattuti tra le onde, che ci chiedevano soccorso, ma dovetti purtroppo ignorarli, anche perché sapevo che non correvano pericolo di vita.
Per poterli aiutare avrei dovuto come minimo ammainare le vele e manovrare a motore, ciò che già avevo provato a fare, ma senza esito, avendo una scotta incattivita a prua. Avevo poi alle spalle altra analoga esperienza che mi demotivava dall’intervenire. Avvertii comunque con il cellulare il circolo velico di Domaso che provvedesse ad attivare i soccorsi del caso. Quei surfisti sarebbero comunque giunti a riva entro massimo mezz’ora, spinti dal vento e dalle onde, per quanto bagnati ed infreddoliti.
Facemmo l’ultima
virata alla disperazione, con le scotte incastrate nelle strozze
dalla forza del
vento, senza che io potessi azzardarmi ad abbandonare il timone
per intervenire a
prua, là dove occorreva e dove il mio amico non era in grado.
Così, senza poter
regolare le vele, procedemmo nell’ultimo bordo verso il nostro ricovero di
Domaso, con l’aiuto della spinta del motore fuoribordo, che subito
dopo la virata ero
riuscito a calare in acqua ed avviare.
Nonostante avessimo
tutte le vele spiegate ed il motore al massimo ci mettemmo più di un’ora per
percorrere quei due chilometri restanti !
Fù quasi come
rivivere l’ingresso in laguna Veneta a Malamocco, con mio fratello anni prima,
sbattuti tra le onde di poppa e la corrente dell’acqua alta in uscita !
Giunti poi a Nord
del porticciolo, relativamente riparati dall’ansa del lago, riuscii orzando ad
allentare la tensione di vele e scotte, così da poter ammainare in qualche modo
il tutto e rientrare in porto, con una manovra resa comunque impegnativa e
delicata dalla forza del vento e della corrente.
Sistemate le cose a
bordo scendemmo sulla banchina, stanchi, provati ma ormai tranquilli. Il mio
amico conservava ancora sulle mani i suoi guantoni da boxe naturali, da
allergia di probabile origine psicosomatica.
Quella fù, per ciò
che ricordo, la mia ultima impegnativa avventura di velista da diporto. Dopodichè,
lentamente nel tempo, rallentammo sempre più le nostre escursioni con Aglaja in
alto Lario. Un po’ per la ripetitività della cosa, sopratutto per il fastidio
che implicava quasi sempre lo stress del viaggio, in coda per decine di
chilometri fra andare tornare.
Buon ultimo io mi
trovai ad una importante svolta delle mie abitudini, alle prese con il gravoso
impegno della costruzione di una grande ed esagerata casa in campagna, sulla
collina dell’oltrepò Pavese, in direzione totalmente contraria al lago di Como,
impegnato per diversi anni in ogni weekend e per tutte le vacanze.
Negli ultimi 15
anni, a parte brevi periodi di qualche giorno alle terme di Abano Montegrotto
(dove abbinavo perlopiù occasioni di lavoro in zona), la mia unica vacanza è
stata una settimana in Sardegna…
Alla fine mettemmo
in vendita Aglaja.
Arrivò un Bolognese,
amatore del genere (vecchie barche classiche in legno dal gusto molto
particolare), che se la portò a casa, le costruì intorno un capannoncino e ci lavorò
per due anni a restaurarla, portandola infine di nuovo in Adriatico, ad
Albarella, un isolotto lagunoso non lontano dal delta del Po’, dove si trova un
importante residenziale turistico attrezzato nato almeno 40 anni fa.
Le ultime notizie,
fresche di poche settimane, indicano Aglaja essere ancora attiva in navigazione
dalle parti di Venezia.
E con la sua vendita
è purtroppo finita la mia carriera di velista !
Mi sono infatti
ritirato in campagna a tribolare nella costruzione di una nuova, esagerata casa
in collina nell’oltrepò Pavese, dive vivo “all’asciutto” da 9 anni,
prigioniero di tante
incombenze e problemi che implica la gestione e manutenzione
di una grande villa,
con grandi giardino, orto e frutteto e piscina.
Per non parlare di
tutti quelli affrontati per costruirla la meglio, incluso il “software”burocratico…
Ma quel che più mi
duole e mi disturba ogni volta che ci penso, è la mia ultima barca, acquistata dopo la
vendita di Aglaja, che è parcheggiata immobile e disarmata da 10 anni in cortile,
inutilizzata !
E’ un piccolo (4,10
mt.) Vaurien, glorioso tipo di deriva utilizzata da tante scuole di vela e per
tante regate.
(a destra: Vaurien, deriva classica francese)
Dopo averla comprata l’ho usata due volte, sul lago di Como e mai più, non avendo tempo ed opportunità ed essendo sempre troppo altrimenti impegnato. Il mare (Ligure) dista solo 45 km. in linea d’aria da casa mia, ma dovendo attraversare tutto l’appennino ci vogliono almeno un ora e mezza, due, per raggiungerlo…
(a destra: Vaurien, deriva classica francese)
Dopo averla comprata l’ho usata due volte, sul lago di Como e mai più, non avendo tempo ed opportunità ed essendo sempre troppo altrimenti impegnato. Il mare (Ligure) dista solo 45 km. in linea d’aria da casa mia, ma dovendo attraversare tutto l’appennino ci vogliono almeno un ora e mezza, due, per raggiungerlo…
Per anni mi sono illuso di riuscire ad utilizzarla, negli ultimi due ho anche pagato in posto barca a Chiavari, senza riuscire a portarvela.
Mi sono coì
rassegnato a metterla in vendita.
Amen e così sia. Ma
lo giuro, la mia prossima vita, se c’è, voglio viverla al mare, nuotando ed
andando a vela !
Promessa di
The lonely dolphin
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