giovedì 6 giugno 2013

Mamma li Turchi...!



MAMMA...LI TURCHI !
 
La battaglia di Lepanto, cruciale scontro tra Occidente Cristiano ed Oriente Ottomano (*)
Nel Maggio del 2006 ero a Istanbul per motivi di lavoro.
Grande metropoli affacciata sul Bosforo, 8 milioni di abitanti, caotica
e rumorosa, come sempre sono le città meridionali del mondo..., ricca di cultura, di antiche vestigia, di doviziosi monumenti, di storia, di fatiscenti
strutture ma anche di tante nuove costruzioni moderne...
Ricca di contradizioni, come tante città del meridione del mondo.
Emblematiche quelle dei carretti trainati dagli asini, carichi di prodotti
dell'agricultura diretti all'antico mercato del Grand Bazar, avvicendati alle ricche Ferrari dei doviziosi esibizionisti del potere economico.
All'interno del Grand Bazar
Ma ancora più stridente era il look delle giovani Turche, che spesso sembravano apparentenere a gruppi raziali diversi: alcune alte, perfino altissime, spesso bionde e con gli occhi chiari, altre invece piccole, more, palesemente pelose per la peluria che appariva sul loro labbro superiore e tra le folte sopraciglia. Differenze quasi sempre enfatizzate, in maniera perfino abissale, dal diverso abbigliamento: le prime arrampicate su vistosi
tacchi a spillo, fasciate in minigonne pressochè inguinali e con decoltè dilatati
a sfiorare i capezzoli..., le seconde rigorosamente coperte da capo a piedi da goffe, ingombranti ed informi tonache monacali, prolungate a fasciare testa e collo, lasciando unicamente apparire il volto, assolutamente privo di trucco.
Queste ed altre differenze ebbi modo di notare in Fiera, negli stand che per lavoro mi trovai a frequentare nei miei tre, quattro giorni di permanenza
nella città che già fù capitale dell'Impero Bizantino (Bisanzio) e di di quello
Romano d'Oriente (Costantinopoli).
Differenze che denotavano il permanere di profonde, perfino abissali differenze culturali, che dopo quasi un secolo di "Repubblica"non erano ancora state appianate dall' importante, basilare normativa imposta da
Kemal Ataturk, il "Padre della Patria", fondatore della moderna Turchia,
riforma diretta innanzitutto a "laicizzarla", cioè ad affrancarla dai rigidi orpelli
dell'Islam medioevale.
la Instanbul giovane e moderna
Per farlo Ataturk, a capo dei Giovani Turchi (nulla a che fare con l'attuale
ala retrograda, reazionaria e conservatrice del PD), dovette affrontare una rivoluzione, armata ma scarsamente cruenta, per rovesciare il decrepito ed obsoleto potere del Sultanato Ottomano.
Ciò facendo Ataturk sdoganò la Turchia dall'immobilismo Islamico Ortodosso, caratteristico del confinante Oriente Persiano, per traghettarla verso il moderno mondo occidentale, verso l'Europa.

Ma giusto in quei giorni del Maggio 2006, mentre ancora io mi trovavo
in quella affascinante metropoli, a cavallo tra Asia ed Europa, avenne un
eclatante fatto criminoso, una sanguinosa dimostrazione pluriomicida,
un attentato perpetrato nel cuore dell'estabilishment burocratico.
Nel principale Tribunale della città si stava celebrando un processo di natura
essenzialmente politico amministrativa, senza alcuna implicazione penale,
ma di rilevante importanza etica e fondamentalista, contro una donna rea di aver indossato il "burka", orpello medioevale islamico espressamente probito
dalla normativa a suo tempo instaurata da Kemal Ataturk e da tantissimi decenni in vigore.
Kemal Ataturk
Era chiaro che la donna che lo aveva indossato, sicuramente manovrata da ben precise manipolazioni strumentali, lo aveva fatto a scopo essenzialmente provocatorio e dimostrativo.
Il processo assumeva perciò un carattere di notevolissima rilevanza mediatica ed implicava la gestione di giudici togati d'importanza a ciò adeguata, più che non all'effimera importanza di quella mera mascherata.
Mentre si celebrava il processo un terrosista armato, eludendo gli onnipresenti e ribaditi controlli, metal detector inclusi, riuscì ad introdursi nell'aula del tribunale e ad a sparare contro i tre giudici uccidendone due e ferendo gravemente il terzo !
Ciò che fù possibile probabilmente grazie alla complicità di taluni addetti alla sicurezza, considerato che già allora in tutta la città erano palesemente in atto
controlli avanzati di ogni tipo: in Areoporto, in Fiera, perfino in Albergo c'erano un'infinità di passaggi obbligati, dotati di detetctor di vario tipo.
Arrivando all'Hotel, il bellissimo Metropol Suisse, direttamente affacciato sul Bosforo, il Taxi che ci portava sempre trovava un picchetto di sbarramento, con tanto di barriera antisfondamento e guardie in borghese che passavano il metal detector cerca mine tutto intorno e sotto il Taxi. Scesi dal Taxi dovevamo poi passare attraverso un altri metal detector...

Sono passati sette anni e quasi tutto è cambiato: allora si processava una donna rea di aver indossato il Burka, in aperta provocazione contro le norme repubblicane che lo vietavano. Oggi, la Turchia sempre più Islamizzata di Erdogan è ormai vicina a stigmatizzare brutalmente tutte le donne che NON
dovessero  indossarlo, il burka !
Erdogan = Komeini

Ed è un vero peccato, perchè la Turchia è una grande Nazione, in grado di esprimere potenzialmente inportanti valori e risorse nel mondo moderno occidentale, in particolare in Europa, sempre più mortificata dall'incombente avvento della globalizzazione totalizzante.

Ma sopratutto, ciò che dovrebbe farci riflettere è l'ulteriore progressione, sempre più incombente che non strisciante, dell'Islam, dell'intifada molto chiaramente rivolta alla conquista del Mondo ed alla cancellazione dell'Occidente. Eliminazione culturale, etica, politica, gestionale, se non perfino fisica, come sempre più spesso accade !
Ed Islam significa in grandissima parte regresso culturale, sopratutto per coloro che ne sono i propugnatori più attivi e cruenti.
Regresso a livelli di vita etico sociale men che medioevali, dove i valori tipici dell'Occidente, Laico prima ancora che Cristiano, diventano suscettibili di totale annullamento, in una normativa di vita che deriva da una visione totalmente legata ai parametri di un ortodossia inverosimilmente arcaica.
Basti pensare a ciò che significa per le "donne" !
Prive di anima, totalmente sottomesse, meri oggetti di piacere e di utilità ancellari al servizio dei maschi...
Le donne Turche come le vorrebbe Erdogan
Ma le sufraggette nostrane ed i loro tantissimi (fortunatamente dico io) supporter, così impegnati nel promuovere una migliore condizione femminile, ma anche così buonisti e politicamente corretti, così aperti e disponibili alla realizzazione di nuove Moschee (quando non perfino al loro finanziamento statale!), alla concessione di sempre nuovi spazi alla cultura "diversa" dell'Islam, hanno cognizione che potranno infine persino ritrovarsi con l'obbligo d'indossare il "burka", senza diritto di voto, suscettibili di dilapidazione pubblica, degradate a livelli d'inciviltà cui neppure le loro più lontane trisavole erano ridotte ?
Questa potrebbe "forse" apparire una prospettiva eccesiva, esagerata, ma neanche più di tanto, a giudicare da quello che ora sta accadendo nella Repupplica Turca, che il Padre della Patria, Kemal Ataturk riuscì a laicizzare promuovendone una nuova moderna condizione occidentale e che ora Erdogan e la sua cricca di potere stanno riportando indietro di cento anni, verso la Persia intransigente ed oltranzista di Komeini e di Mahmoud_Ahmadinejad. 
Mahmoud_Ahmadinejad_

Ed allora mi rammento anche di una giovane Turca, una bella ragazza bionda amica di mio figlio, che fu nostra ospite svariati anni or sono, ingeniere elettronico con un importante incarico a Bruxelles, poi promossa alla sede di New York, appartenente ad una moderna e progredita famiglia borghese di Insambul...
Lei come la maggior parte dei giovani Turchi di oggi, che affrontano le cruente cariche della polizia di Erdogan per conservare la propria dignità laica, di moderno popolo occidentalizzato, come potrebbe riconoscersi in un paese che fosse ripiombato nell'oscurantismo mediovale tipico dell'ortodossia islamica ?

The lonely dolphin


Nuove prospettive per la Turchia riformata da Erdogan


(*) La Battaglia di Lepanto costituì un'occasione emblematica dell'Occidente
per arginare l'incombente invasione Ottomana, paragonabile alla battaglia di Roncisvalle, altro grande ed importante scontro tra cristiani e musulmani,
mitizzata dal poema epico "la di Chanson de Roland", per cui l'eroico Orlando  venne immortalato come salvatore della Cristianità contro la dilagante aggressione di Maometto il conquistatore.
Qualche storico arrivò poi a sostenere che fù solo grazie a quella vittoria che poi L'Europa non venne islamizzata.

La Battaglia di Lepanto avvenne il 7 ottobre 1571, nel corso della guerra di Cipro, tra le flotte musulmane dell'Impero ottomano e quelle cristiane della Lega Santa che riuniva le forze navali della Repubblica di Venezia, dell'Impero Spagnolo (con il Regno di Napoli e di Sicilia), dello Stato pontificio, della Repubblica di Genova, dei Cavalieri di Malta, del Ducato di Savoia, del Ducato d'Urbino e del Granducato di Toscana, federate sotto le insegne pontificie. Dell'alleanza cristiana faceva parte anche la Repubblica di Lucca, che pur non avendo navi coinvolte nello scontro concorse con denaro e materiali all'armamento della flotta genovese.
La coalizione dei Cristiani conquistò una netta e fondamentale vittoria sugli
Ottomani, respingendone l'aggressione, nuovamente rivolta alla conquista dell'Europa.


































lunedì 29 aprile 2013

Della MONTAGNA

 
Osservatorio Radar in vetta al Monte Lesima (1.710 mt.s.l.m.)

LA MIA MONTAGNA (Racconto breve di montagna)

Nato in Liguria, a cento metri dal mare e vissuto sulle coste sino all'età di vent'anni io mi sento e definisco sopratutto un "animale" marino.
Ho infatti sempre sostenuto che, se la reincarnazione esistesse, nella mia precedente vita fui un delfino, che essendosi comportato male è poi rinato "uomo"...
Mi sfugge tuttavia come un delfino possa mal comportarsi.
E "Delfino" è appunto il mio pseudonimo nel principale dei miei blog :
"the lonely dolphin”, su cui ho appena pubblicato questo racconto http://swimmingeorge.blogspot.it/
La mia prima giovinezza l'ho vissuta sulle coste del mediterraneo occidentale (Ligure e Tirreno), a parte gli anni della prima guerra mondiale, dal 1942 al 1945, durante i quali la mia famiglia fù sfollata nell'entroterra Ligure. Così i miei primissimi anni di vita crebbi in campagna, tra colline ed alture modeste, accanto al passo del Giovo (5-600 mt. ?) che separa Busalla da Genova.
Ma le "montagne" sono ben altra cosa !
Anche rispetto alle modeste alture presso le quali fui episodicamente villeggiante sull'appenninco Ligure e nella Val d'Ossola (?).
Le mie prime escursioni in qualche modo organizzate, le feci tuttavia sulle alture circostanti Genova e consistevano in gite scolastiche dirette a ragginugere i “forti” ubicati sulle diverse cime, fortificazioni perlopiù risalenti alla prima guerra mondiale, aventi scopo diffensivo sopratutto verso il mare. Gite lunghe alcuni chilometri e poche centinaia di metri di dislivello che affrontavamo con allegro ardimento, guidati dal nostro maestro elementare o da un professore delle medie.
Salita al Monte Fasce (GE 800mt.s.l.m.)
Una vera avventura fù invece l’improvvida ascensione al monte Moro (già Monte “Fasce”), sulla cui vetta alta 800 mt. svettava una grande croce a traliccio che negli anni successivi venne quasi totalmente annullata dall’installazione di decine di altissime, importanti antenne e ripetitori. “Violare” quella vetta aveva per me, lo scoprii poi nell’età adulta, un subconscio significato catartico, ma allora avevo 11 anni ed ero mosso anche dal sapore ossessivo della sfida. Coinvolsi nell’avventura mio fratello di 8 anni e dopo aver acquistato un proibitissimo coltello da scout, un vero e proprio pugnale, una sorta di amuleto difensivo contro l’ignoto che ci attendeva, partimmo allegramente dal livello del mare, a pomeriggio inoltrato, più o meno indovinando l’itinerario mai prima percorso. 
Affatto privi di cibo e soprattutto di acqua giungemmo alla vetta stanchi ed affannati, ma ancora in grado di godere l’immane panorama del mare, della città con la Lanterna ed il suo grande porto, della costa Ligure di Levante sino al promontorio di Portofino.
Il promontorio di Portofino
Mancava ormai poco al tramonto e finalmente mi resi conto che saremmo tornati a casa molto tardi, con il buio. Vi arrivammo infatti verso le 22, accolti dal sollievo dei nostri parenti, ma anche dai loro aspri rimproveri e scapaccioni: a letto subito e senza cena !
Nel 1961, all'età di 20 anni, mi trasferii a Padova e presto mi fidanzai con una fanciulla che frequentava assiduamente l'Altipiano di Asiago, dove le montagne arrivano a toccare i 2.000 mt., quota ridicola per veri alpinisti, ma in qualche modo bisogna pur incominciare...Ed io lo feci iniziandomi allo sci, da rigoroso autodidatta, buttandomi a rottadicollo giù per i massimi pendii,
approfittando delle mie notevoli forma atletica, innata robustezza, coraggio ed incoscenza. Così, a furia di capitomboli imparai (male) ad affrontare qualsiasi discesa, a partire dalla classica pista del Kaberlaba sino alle "nere"
di...., sempre usando sci a noleggio.
Asiago, centro dell'omonimo Altipiano
Successivamente, ancora negli anni sessanta, incrementai le mie occasioni
montanare, in particolare sciistiche, frequentando per lavoro anche le zone del Bellunese, dal Nevegal sino al Cadore Cortinese, là dove univo l'utile
(lavoro nei giorni feriali) al dilettevole (sci ed escursioni nei week end).
Nel 1968 sposai a Padova una "montanara" DOC, originaria della val di Rabbi (v. Ortles Cevedale, Parco dello Stelvio) e nativa della Val Senales !
Ebbi così ulteriori occasioni di frequentazioni, sopratutto di escursioni estive
in quei luoghi, arrivando ad arrampicarmi sino ai tremila metri: una mattina
d'Agosto dei primi anni '70 uscii di casa a San Bernardo di Rabbi (poco più di 1.000 mt.) dicendo a mia moglie che andavo a comprare il giornale.
Saranno state le dieci, indossavo colzoncini, maglietta e scarpette Adidas da riposo. Era una bellissima giornata e decisi cosi di fare una passeggiata fino
alle Acque di Rabbi ( 3 km. solo andata). Ivi giunto mi venne spontaneo proseguire salendo sino al Fontanino e da lì poi al Sprasasso.
Non ero mai andato oltre e quando vi giunsi mi stimolò l'indicazione "Rifugio Dorigoni (1 ora e 30')...Già che son qui mi dissi...e così proseguii sino a quella meta, gita classica per escursionisti regolari. Quando vi giunsi erano ormai le 13, avevo percorso una decina di km. superando un dislivello di 1.500 mt. ! Al Dorigoni c'era un Bar Trattoria, io avevo ormai fame ma avevo spesa la pochissima moneta delle mie tasche per acquistare il giornale, unico accessorio della mia dotazione escursionistica. Mi limitai allora a bere acqua fresca alla fonte davanti al rifugio.
Pista di fondo sull'altipiano
Poi considerai che, nonostante tutto, mi mancava ormai solo un'ora di cammino per raggiungere i 3.000 mt. dello spartiacque che, sopra il Dorigoni, divide la Val di Rabbi dalla Val di Pejo.
Così proseguii ulteriormente, anche se cominciavo ad avvertire un pò di a freddo ed a girarmi un pò la testa...Gli ultimi  3-400 mt. li feci praticamente carponi, senza più fiato nè zuccheri nel sangue, la vista disturbata dal balenio di pallini fluttanti. Ciò che non mi impedì infine di ammirare, giunto sullo spartiacque, il favoloso panorama delle due valli e delle montagne che le circondavano.
Ma dopo pochi minuti, infreddolito abbandonai la postazione e ripresi a scendere, ed ebbi la sorpresa di verificare come riacquistassi le forze via via che abbassavo la quota del mio ritorno. Già al Dorigoni ero tornato quasi normale e quando infine, erano ormai le cinque del pomeriggio, ritornai alla base mi sentivo baldo ed aitante, se pur stanco ed affamato.
Ovviamente dovetti subire i giusti rimbrotti di mia moglie e dei suoi parenti,
per l'immancabile preoccupazione che aveva loro dato la mia lunga ed immotivata assenza.
Negli anni successivi ebbi regolari occasioni di vacanze sulla neve ed escursioni montanare estive nella zona di Salice D'Ulzio, Sestriere, Bardonecchia. Cominciai a praticare lo sci di fondo ed ebbi un'altra esperienza di arrampicata in solitario, affatto attrezzato, sempre in maglietta , braghe corte e scarpette da ginnastica, quando salii dai 2.000 mt. del Sestriere sino ai 3.400 del picco della Rognosa, massima vetta da me mai raggiunta.
Ma quella volta avevo avvertito famiglia e parenti.
La vetta della "Rognosa". 3400 mt. s.l.m.
La giornata bellissima, i ripetuti incontri vis a vis con i caprioli, lo splendido panorama compensarono ampiamente la fatica, la sete ( non c'erano sorgenti su per quell'itinerario) e la fame.
Col tempo poi imparai a partire attrezzato, a volte anche troppo, includendo macchina fotografica, cinepresa, binoccoli…

Ma nel frattempo dal Veneto mi ero trasferito in zona Como, venendo così
a contatto con altre montagne, sia per sciare che per arrampicarsi, incluse diverse della Svizzera Italiana e le vette che circondano il Lago di Como.
Da casa mia, in posizione molto panoramica, potevo anche ammirare la più gran parte dell’arco Alpino Occidentale, dall’incombente Monte Rosa sino al Cervino ed al Monviso, ma spaziando anche verso l’Oberland Svizzero, la JungFrau e le più alte vette della Valtellina, sino a SaintMoritz, in infilata oltre le vicinissime montagne del Triangolo Lariano.
Le Montagne intorno al Lago di Como (vista da Cernobbio)
Inizialmente da solo, poi con nuovi amici mi dedicai per oltre ventanni a più o meno assidue escursioni sulle vette più vicine, i monti Brallo, San Primo, i Corni di Canzo, il Generoso…, tutti compresi tra i 1.300 ed i 1.800 mt., ma anche su altre più lontane ed impegnative (le Grigne,…..) oltre i 2.000 mt.
Senza trascurare lo sci, soprattutto il fondo, sulle piste Svizzere di San Berardino, Splugen, Campra.
Trasferito poi nell’Oltrepò Pavese, in Val Stafora vicino a Varzi, mi sono dedicato per qualche anno a lunghe sgambate, scollinando i ripidi pendii che dai 3-400 metri del fondo valle salgono ai 6-700 ed oltre, fino a Sant’Alberto da Budrio, Pietra Gavina, Oramala, Castagnola, Guardamonte ecc…, toccando i quasi mille metri del monte Cucco.
Il Lesima svetta sugli Appennini, tra Liguria,Piemonte e Lombardia
Lungo i quasi 20 km. che vanno da Salice Terme a Varzi, su entrambi i lati della valle ho percorso quasi tutti i crinali, salendo su quasi tutte le cime, su itinerari lunghi anche 20-25 km., sperimentando spesso nuovi sentieri, a volte tentando anche impervie alternative.
Più volte poi sono salito sino alla più alta vetta dell’Appennino Pavese-Alessandrino (siamo in zona di confine tra provincie e Regioni), il Monte Lesima, che sul cucuzzolo dei suoi 1.710 mt. ospita un notevole osservatorio Radar, la cui stradina asfaltata di servizio permettrebbee anche in pieno inverno, con due metri di neve, di salire facilmente fin lassù anche in auto, ma io ho sempre percorso a piedi gli utlimi ripidi chilometri ed i circa 300 mt. di dislivello, così da godere più meritatamente i meravigliosi panorami a 360° , che nelle più terse giornate invernali, spaziano per centinaia di km., includendo almeno tre quarti dell’arco Alpino, tutto l’Appennino Ligure e buona parte di quello Emiliano ed il mar Ligure sino alla punta nord della Corsica (Capo Corso) !
Dal Lesima, oltre il mare si intravede la Corsica.
Purtroppo negli ultimi anni ho dovuto ridimensionare le mie sgambate a causa degli acciacchi dell’età incombente, rinunciando anche e definitivamente ai miei vecchi progetti di percorrere le “vie del sale” che dal Varzese portano al mar Ligure.
Come si dice del “pane e dei denti”, che quasi mai capita di avere in contemporanea: quando avevo gambe e cuore mi mancava il tempo, poi ho avuto il tempo ma mi scarseggiano quegli accessori così importanti per simili imprese…

Ma la mia vera “avventura”, che incluse una discreta dose di pericolo, la ebbi proprio facendo sci di fondo, in solitario, sull’Altipiano di Asiago, attorno al 1980.
Nonostante abitassi ormai da anni nel Comasco, spesso mi recavo a fare fondo sull’Altipiano di Asiago, un vero paradiso per questo tipo di sport, : chilometri di piste, snodate in un ambito perlopiù ondulato, tra boschi estesi e qualche puntata verso vette che arrivano a toccare i 2.000 mt..
Ad Asiago, nei primi anni ’60 avevo, in qualche modo, imparato a sciare.
Quasi vent’anni dopo ci tornai per praticare lo sci di fondo, spesso facendo base a Padova, distante poco più di un’ora, ospite di parenti o altrimenti ubicato negli alberghi termali di Abano e Montegrotto: era troppo bello alla sera, dopo chilometriche sgroppate superossigenanti sulle nevi dell’Altipiano, ritornare in Hotel per tuffarsi nelle calde acque termali, meglio se all’aperto, ed anche li macinare nuotando un bel po’ di vasche, sciogliendo e distendendo così la muscolatura contratta ed affaticata dalle tante ore di sci di fondo.
Ad Asiago salivo con un fratello di mia moglie che allora io ebbi occasione di avviare al fondo, sport che poi non ha mai più abbandonato, alternandolo alla bicicletta.
Fondisti sull'Altipiano
Con lui ci trovammo una volta, senza averla programmata, a percorrere fuori gara la Marcia Bianca, il top del fondo sull’altipiano, 50 km sulle piste innevate di un lungo itinerario che si sviluppa ad anello tra Asiago ed Enego (?)
Sull’Altipiano trascinai anche degli amici comaschi, con i quali vi trascorremmo lunghi weekend, impegnando non poco le mogli alle prime armi su itinerari non inferiori ai 20 km., il più classico dei quali partiva dai 1530 mt. di Campo Mulo, saliva ai 1730 del Rifugio Moline e poi ritornava ad anello a Campo Mulo passando dalla Malga Mandrielle, con possibilità di lunghe e più impegnative varianti.

Ma una volta vi andai da solo, approfittando di occasioni di lavoro in zona relativamente vicine ad Asiago. Alloggiando alle terme Euganee salivo come al solito nella mattinata e rientravo la sera, per tuffarmi nelle calde acque delle grandi vasche all’aperto. Ma quella volta, non ricordo in funzione di quale atipica opportunità, decisi di fermarmi a sciare anche il Lunedì, ed era una magnifica giornata !
Tra i boschi dell'Altipiano
A mezza mattina lasciai l’auto nel parcheggio innevato di Campo Mulo e sciando in un contesto favoloso all’ora di pranzo ero al Rifugio Moline, ancora in tempo per un’ottima colazione. Essendo lunedì c’era ben poca gente, ma mi sorprese il fatto che, come io finii per ultimo di pranzare, subito chiusero il rifugio e saltati sulla motoslitta se ne andarono via.
Rimasi così totalmente solo, nel silenzio totale, progressivamente sottolineato dall’allontanarsi del ronzio della motoslitta, a godermi il sole che innodava la terrazza del rifugio e la panca su cui io sedetti ancora un po’ a riposare.
Ripresi poi il mio dolce andare nel magnifico meriggio, scivolando sul lungo e lieve pendio, di candida neve che alla lunga scendeva dalle Melette verso Campo Mulo.
Il cielo terso, l’aria tiepida, il silenzio totale, unicamente ribadito dal leggero fruscio dei miei sci. Superata un curva tra i pini mi trovai ad un tratto faccia a faccia con una coppia di cervi, intenti a brucare bucce d’arancio, sicuro residuo di un breve ristoro dei sciatori mattutini. Subito fuggirono nel bosco, lasciandomi di nuovo da solo, totalmente isolato sul mio bellissimo itinerario.
Saranno state le 3 del pomeriggio quando mi ritrovai al bivio in cui la pista si divedeva in due rami, uno a destra per rientrare alla base di Campo Mulo, l’altro a sinistra per deviare sul più lungo itinerario che poi giunge al sottostante Rifugio Marcesina, la quota più bassa dell’itinerario, a 1.310 mt..
Valutai allora che era ancora presto (ma mi sbagliavo di grosso), la giornata era troppo bella ed io mi sentivo alla grande, inebriato da quel po’ po’ di contesto ed in grazia totale di corpo e di mente, così mi buttai a sinistra, per l’itineraio che sviluppa l’anello decisamente più lungo, in totale 35 - 40 km.
E continuai così a sciare dolcemente, spingendo su lievi pendii, prevalentemente in discesa, finchè giunsi nella conca della Marcesina, allora già ombreggiata dal precoce tramonto invernale. Il rifugio era ovviamente ormai chiuso, se mai fosse stato aperto nella mattinata di quel Lunedì. Sullo spiazzo innevato antistante c’era solo qualche cornacchia alla ricerca di eventuali residui alimentari.
Le principali piste di fondo sull'Altipiano di Asiago.
Il silenzio incombente era ora ribadito dallo sgraziato gracidio di quei volatili, mentre il cielo tendeva ormai verso il grigio.
Dopo un breve riposo, bevuta un po’ d’acqua e mangiati due quadretti di cioccolato fondente, mi accinsi ad affrontare l’impervio sentiero del ritorno, una “nera” che risaliva tra i boschi in direzione Asiago e la cui parte terminale discendeva infine alla base di Campo Mulo.
Col senno di poi avevo ormai compreso che avevo fatto tardi, troppo tardi…e sarei rientrato al buio della sera. Buio che dopo le 17 divenne completo, in assenza totale di Luna, le stelle pressochè totalmente celate dagli alti pini tra cui si snodava il ripido sentiero della pista nera che dovevo percorrere.
Pista che avevo prima di allora percorso una volta soltanto, in occasione della Marcia Bianca, in compagnia di mio cognato, ma alla luce del giorno.
Ad un certo momento non riuscivo più avedere neppure gli sci che avevo ai piedi !
Le Grigne sullo sfondo di Bellagio (Como)
Procedevo senza sbandare unicamente grazie al solco già traciato sulla pista, la cui “rotaia” mi preoccupavo molto di non perdere, perché avrei altrimenti corso il rischio di smarrirmi, di notte, in una zona totalmente isolata ed in assenza di qualsiasi possibilità di segnalazione e/o di orientamento (i primi telefoni cellulari, ammesso che là trovassero copertura, sarebbero arrivati solo dopo una decina di anni ed i primi GPS dopo almeno quindici !
Avevo ormai ben presenti i pericoli della mia situazione: trascorrere una notte all’adiaccio, con temperature nell’ordine dei meno dieci o peggio, avrebbe potuto essermi più che assai scomodo, perfino fatale.
Mi avvinghiai dunque alla mia rotaia, al solco sulla pista che era la mia unica ancora di salvezza, cercando assolutissimamente di non perderne la traccia.
Dopo aver proceduto per circa un’ora in salita, nel buio totale, iniziò la discesa e capii di non essere ormai troppo lungi dalla meta, ma dovetti fare non poca fatica per rallentare la mia marcia sull’inerzia del pendio: la velocità appena eccessiva avrebbe facilmente potuto farmi sbandare e quindi perdere il mio prezioso filo d’Arianna.
Alla fine sbucai su quello che avvertii, grazie ad un aumento quasi impercettibilmente della visibilità per il chiarore delle stelle, essere il pianoro di Campo Mulo, fuori dal bosco. Ma non riuscivo ad orizzontarmi, non vedevo l’unica costruzione rurale del posto, vicino alla quale avevo lasciato parcheggiata l’auto.
Se avessi tentato di salire di nuovo verso le Moline o di scendere verso Asiago avrei nuovamente rischiato di smarrirmi. Ebbi allora l’idea: azionare il telecomando del portachiavi dell’auto, nella fattispecie il tasto che ne attivava anche la sirena di allarme. Con mio immenso conforto ne udii allora il piacevolissimo, altrimenti insopportabile rumore, e vidi lampeggiare le luci di posizione ad un centinaio di metri verso monte..
Ero salvo !
Il termometro dell’auto indicava meno dodici, ma il motore si avviò senza problemi anche grazie al gasolio additivato. Erano le 18 e 30, dopo neppure due ore ero a godermi le calde acque della piscina da 25 mt. dell’Hotel Universal di Montegrotto.
Ma mentre nuotavo a lunghe e vigorose bracciate avanti e indietro svariate decine di vasche, rimuginavo l’azzardo che mi era occorso ed il grave pericolo cui era scampato, ripromettendomi di usare in futuro maggiore saggezza.
Ciò che non sempre fui tuttavia capace di fare.

Per altro, forse anche grazie ad un po’ di fortuna, sono ancora qui per poterlo raccontare.

The lonely dolphin.

Verso la vetta del San Primo (1700 mt. c.a) al centro del Triangolo Lariano